Alla luna
Alla luna | |
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Autore | Giacomo Leopardi |
1ª ed. originale | 1819 |
Genere | poesia |
Lingua originale | italiano |
Alla luna è una delle liriche dei Canti di Giacomo Leopardi, composta a Recanati presumibilmente nel 1819.[1] Si tratta di un componimento poetico molto significativo, in quanto qui troviamo un tema che sarà molto frequente nella lirica leopardiana: il ricordo (lo stesso titolo originario della poesia era La ricordanza).
Testo e parafrasi
[modifica | modifica wikitesto]Testo | Parafrasi |
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Analisi
[modifica | modifica wikitesto]Contenuto
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L'attacco dell'idillio, composto in endecasillabi sciolti, è affidato a un'apostrofe alla luna, intima amica di Leopardi e muta confidente dei suoi affanni. A distanza di un anno (v. 2, «or volge l’anno») il poeta ritorna nuovamente sulla sommità del Monte Tabor, un colle che si erge a sud di Recanati (si tratta dello stesso scenario contemplativo dell'Infinito), per ammirare l'astro, della quale ribadisce la piacevolezza estetica e le qualità morali: al primo verso, infatti, la luna è qualificata dall'aggettivo «graziosa», da intendersi anche come «leggiadra» e «amabile», come più avanti (precisamente al v. 10) è definita «diletta». Davanti allo spettacolo offerto dalla luna, che rischiara la selva sottostante con una luce ovattata e lattiginosa, il poeta cerca, in petrarchesca solitudine, di trovare consolazione ai suoi travagli interiori, pur comprendendo che neanche l'astro - pur essendogli favorevole - avrebbe potuto genuinamente comprenderlo. Questo timore è espresso al terzo verso, che è caratterizzato infatti da una struttura quasi ossimorica, siccome accosta nella medesima locuzione il gesto assiduo (come suggerito dal verbo «venia» all'imperfetto) del poeta di recarsi a contemplare il paesaggio lunare all'«angoscia» che tormentava il suo animo: «io venia pien d’angoscia a rimirarti». All'equilibrio spaziale dei primi cinque versi si contrappone quello temporale dei secondi, dove è ancora protagonista l'io soggettivo del poeta, che si scopre ancora travagliato dal dolore e dalle sofferenze, proprio come un anno addietro, tanto che la vista dell'astro gli era impedita dalle copiose lacrime (vv. 6-7, «ma nebuloso e tremulo dal pianto / che mi sorgea sul ciglio»).[2]
Giunti al decimo verso termina la parte narrativa del componimento, ed ha inizio quella teorico-filosofica, dove Leopardi sviluppa una tematica che sarà assai frequente sia nello Zibaldone che nelle sue liriche della maturità. Si tratta, come già accennato nell'incipit, del ricordo: nella gioventù, come osservato dal poeta, la «rimembranza» di un'esperienza dolorosa del passato pur essendo triste è comunque gradita, essendo la memoria breve e la speranza lunga.[2]
Stile
[modifica | modifica wikitesto]Alla luna presenta un lessico denso di arcaismi, tesi a nobilitare il componimento (v. 4: «pendevi»; v. 10: giova; v. 11: «noverar l’etate»), e ricco di parole che evocano efficacemente una sensazione di vago e di indeterminatezza, e pertanto definite dallo stesso Leopardi «poeticissime». Sono presenti numerosi enjambement, che conferiscono al testo un ritmo armonioso senza spezzarne eccessivamente la struttura, e la sintassi è semplice e piana.[2] Riportiamo di seguito il commento del critico Walter Binni:
Precedenti letterari
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Diversi sono i modelli letterari che hanno ispirato Leopardi nella composizione dell'idillio, alcuni classici ed altri più recenti. L'incipit di Alla luna, ad esempio, si conforma con un idillio attribuito al poeta greco Mosco di Siracusa, al cui studio Leopardi si accostò nel 1815 con la stesura del Discorso sopra Mosco.[2] Riportiamo di seguito una delle strofe del poema di Mosco:
[...] Tu della luna argentea
sol cedi al chiaro splendere;
ascolta, astro carissimo,
ascolta i miei sospir»
Altra fonte letteraria che servì da spunto per la composizione fu quella petrarchesca. In tutto il testo di Alla luna sono disseminati riferimenti all'Aretino: li troviamo al v. 2 («or volge l'anno» ricorda le espressioni usate dal poeta laureatus per sottolineare il tempo trascorso dalla morte di Laura), al v. 7 («alle mie luci» è una metafora assai ricorrente nel Canzoniere) e al v. 9 («né cangia stile», stilema squisitamente petrarchesco).[2]
Lo stesso tema del ricordo verrà ripreso da Leopardi in idilli cronologicamente successivi ad Alla luna: la questione della «rimembranza» sarà affrontata dal poeta di Recanati nell'Infinito, nella Sera del dì di festa, nelle Ricordanze[2] e in alcuni passi dello Zibaldone, dove leggiamo:
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Achille Tartaro, LEOPARDI, Giacomo, su Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 64 (2005). URL consultato il 10 settembre 2023 (archiviato dall'url originale il 16 agosto 2023).
- ^ a b c d e f Alessandro Cane, Leopardi, "Alla luna": analisi del testo, su oilproject.org, Oil Project. URL consultato il 24 ottobre 2016.
- ^ Binni, pp. 95-96.
- ^ Leopardi, Zibaldone, p. 1341, 25 ottobre 1821.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Walter Binni, Leopardi, Scritti 1964-1967 (PDF), 1ª ed., Il Ponte Editore, 2014.
- Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri (PDF), Firenze, Einaudi, 1921.
Altri progetti
[modifica | modifica wikitesto]Wikisource contiene una pagina alla poesia Alla luna