Cesare Battisti (cacciatorpediniere)

Cesare Battisti
Foto ufficiale del Battisti
Descrizione generale
Tipocacciatorpediniere
ClasseSauro
In servizio con Regia Marina
IdentificazioneBT
CostruttoriOdero
CantiereSestri Ponente
Impostazione9 febbraio 1924
Varo11 dicembre 1926
Entrata in servizio13 aprile 1927
IntitolazioneCesare Battisti, patriota italiano
Destino finaleautoaffondato il 3 aprile 1941
Caratteristiche generali
Dislocamentostandard 1130 t
pieno carico 1650 t
Lunghezza90,7 m
Larghezza9,22 m
Pescaggio3,8 m
Propulsione3 caldaie
2 gruppi di turbine a vapore su 2 assi
potenza 36.000 hp
Velocità35 (in realtà 30) nodi
Autonomia2600 mn a 14 nodi
2000 mn a 16 nodi
650 mn a 30 nodi
Equipaggio10 ufficiali, 146 sottufficiali e marinai
Armamento
Armamento
Note
dati riferiti al 1940
dati presi da [1], [2] e

[3]

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Il Cesare Battisti è stato un cacciatorpediniere della Regia Marina.

Nel 1930 fu protagonista di una collisione con il gemello Manin[1].

Nel 1935, in previsione del suo trasferimento in Mar Rosso, fu sottoposto ad ulteriori lavori per climatizzarne i locali: in seguito a tali lavori la velocità scese da 35 a 31,7 nodi, e l'autonomia (alla velocità di 14 nodi) da 2600 a 2000 miglia[2].

Nel 1939 fu inviato in Mar Rosso[1].

All'ingresso dell'Italia nel secondo conflitto mondiale faceva parte della III Squadriglia Cacciatorpediniere di stanza a Massaua, insieme ai gemelli Sauro, Nullo e Manin.

Il 27 giugno 1940 fu inviato a soccorrere il sommergibile Perla, che si era incagliato in seguito ad esalazioni di cloruro di metile che avevano intossicato gran parte dell'equipaggio e che era stato danneggiato da un cacciatorpediniere britannico[1].

Il 26 luglio uscì da Massaua unitamente al gemello Nullo ed al sommergibile Guglielmotti per cercare un piroscafo britannico, senza però riuscire ad individuare tale nave[3].

Fu adibito a compiti di intercettazione dei convoglio inglesi in transito nel Mar Rosso ed effettuò una decina missioni di questo tipo, senza conseguire successi[2].

Nella notte tra il 30 ed il 31 agosto fu in mare insieme al Manin, ma non trovò niente[4].

Il 19 dicembre lasciò Massaua insieme a Manin, Leone e Pantera per attaccare il convoglio «BN 5» (23 mercantili scortati dall'incrociatore leggero HMNZS Leander e dagli sloop Auckland, Yarra e Parramatta), ma rientrò in porto il 21, senza averlo individuato[5].

Il 21 ottobre 1940, nel corso di un'altra missione di intercettazione del traffico nemico, attaccò, alle 2.19 di notte, insieme ai gemelli Nullo, Sauro e Manin ed ai più grossi cacciatorpediniere Leone e Pantera, il convoglio britannico «BN 7», composto da 32 mercantili con la scorta dell'incrociatore leggero HMNZS Leander, del cacciatorpediniere HMS Kimberley e degli sloops Yarra (australiano), Auckland (britannico) e Indus (indiano)[6]. Il combattimento divenne sfavorevole alle navi italiane, che dovettero rinunciare all'attacco e ripiegare coprendosi la ritirata con una cortina fumogena, mentre il Nullo, rimasto isolato e rallentato da un'avaria al timone, fu affondato dopo un violento scontro con il Kimberley[6].

Si fece poi evidente l'ormai imminente caduta dell'Africa Orientale Italiana. In vista della resa di Massaua, fu organizzato un piano di evacuazione delle unità dotate di grande autonomia (mandate in Francia od in Giappone) e di distruzione delle restanti navi[7][8][9]. I 6 cacciatorpediniere che formavano le squadriglie III (Battisti, Sauro, Manin) e V (Tigre, Leone, Pantera) non avevano autonomia sufficiente a raggiungere un porto amico, quindi si decise il loro impiego in una missione suicida: un attacco con obiettivi Suez (Tigre, Leone, Pantera) e Porto Said (Sauro, Manin, Battisti)[7][8]. Se non fossero state in grado di proseguire, le unità non sarebbero rientrate a Massaua (dove peraltro non avrebbero avuto altra sorte che la cattura o l'autoaffondamento, in quanto la piazzaforte cadde l'8 aprile 1941), ma si sarebbero invece autoaffondate[7][8][9].

La V Squadriglia partì per la sua missione il 31 marzo, ma questo primo tentativo abortì quasi subito perché il Leone andò ad incagliarsi e, sviluppatosi un incendio indomabile a prua, dovette essere autoaffondato[7][8][9]. La missione fu quindi riorganizzata perché era venuta a mancare una prevista azione diversiva della Luftwaffe contro Suez: tutte le unità avrebbero attaccato Porto Said[7][8][9].

Il 2 aprile 1941, alle due del pomeriggio[10], i cinque cacciatorpediniere lasciarono definitivamente Massaua[7][8][9]. Il Battisti dovette tuttavia rinunciare alla missione perché colto da un'avaria all'apparato motore, che impedì di proseguire: diresse per le coste arabe e, alle 14 del 3 aprile, giunto in prossimità della località di Scio Aiba, si autoaffondò su fondali di circa 50 metri[1][7][8][9][10].

L'equipaggio sbarcò su una spiaggia deserta e dovette marciare in un'area desertica per una settimana prima di imbattersi in un insediamento umano: a salvare i superstiti dalla morte per sete – erano infatti privi di acqua e viveri – fu un violento acquazzone[11].

Ok == Note ==

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