Dio (religione greca)


Il termine con cui nella lingua greca antica si indica genericamente un dio è theós (θεός; pl. Θεοί theoí). Se l'equivalenza tra l'italiano e il greco antico è questa, tali termini si differenziano però nei loro significati. Già Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff aveva evidenziato come il termine theós non dispone in greco antico del vocativo, osservazione dirimente se prendiamo in considerazione l'importanza del culto in questa religione. Infatti con il vocativo vengono indicati esclusivamente i nomi propri degli Dei. Károly Kerényi[4] osserva in aggiunta che theós possiede la funzione di predicato, chiarendo che «è specificatamente greco dire di un evento: "È theós!». Kerényi cita ad esempio Euripide che in Elena fa sostenere che «O dèi! Perché è dio quando si riconoscono i propri cari.»[5]. Theós è quindi l'irrompere dell'"evento divino" (theîon θεῖον). E tale "divino" è, per la concezione religiosa dei Greci, nota Walter F. Otto:
Come ha acutamente evidenziato Jean-Pierre Vernant[6] gli dèi greci non sono persone con una propria identità, quanto piuttosto risultano essere "potenze" che agiscono assumendo poliedriche forme e segni non identificandosi mai completamente con tali manifestazioni. Gabriella Pironti[7] ricorda a tal proposito l'Anabasi (VII, 8, 6-1) di Senofonte (430-354 a.C.) il quale si trova in condizioni di difficoltà economiche perché pur avendo onorato Zeus Basileus (Re) si è dimenticato di onorare Zeus Melichios (termine che evoca il miele) collegato alle fortune familiari e quindi economiche.
Queste potenze sono, come già ricordava Walter F. Otto nel classico Die Götter Griechenlands. Das Bild des Göttlichen im Spiegel des griechischen Geistes (Bonn 1929)[8] "il motore del mondo".
E André Motte aggiunge:
Così in Omero non si sostiene che si 'ha' un modo giusto di vedere, ma si 'comprende' tale modo, e lo si comprende perché esso ci appare per mezzo delle divinità[9]. E tale apparizione può essere da loro offuscata come denunciano Omero e i tragici, quindi chi sbaglia non lo fa per cattiva volontà ma perché gli dei decidono di offuscargli la mente[9]. Allo stesso modo «in ogni azione importante dell'uomo agisce un Dio»[10].
Anche se, come evidenzia Max Pohlenz, persino nei momenti in cui è condizionato da tali "potenze" egli non si percepisce come privo di "libera scelta":
Gli dèi greci sono dunque "potenze" caratterizzate dall'essere estranee agli affanni (akedes) e dalla sofferenza (achnymenoi) come ricorda l'eroe Achille:
«ὡς γὰρ ἐπεκλώσαντο θεοὶ δειλοῖσι βροτοῖσι
ζώειν ἀχνυμένοις· αὐτοὶ δέ τ' ἀκηδέες εἰσί.»
«Questo destino hanno dato gli dèi ai mortali infelici:
vivere afflitti, ma loro sono immuni da pena»
Anche se, notano Giulia Sissa e Marcel Detienne[11], questa demarcazione tra dèi e uomini non sempre è rispettata come nel caso, ad esempio, di Efesto e di Teti che si qualificano come colpiti dal dolore (achnymenoi)[12].
Il corpo fisico, spesso di forma umana, con cui possono manifestarsi gli dèi non coincide con quello naturale: in esso, infatti, non circola il sangue ma un altro umore, l'ichór (ἰχώρ). Questo perché gli dèi non si alimentano di cereali e di vino[13]:
«ἰχώρ, οἷός πέρ τε ῥέει μακάρεσσι θεοῖσιν·
οὐ γὰρ σῖτον ἔδουσ', οὐ πίνουσ' αἴθοπα οἶνον,
τοὔνεκ' ἀναίμονές εἰσι καὶ ἀθάνατοι καλέονται.»
«l'icore che scorre nelle vene agli dèi beati,
perché non mangiano pane, non bevono il vino lucente:
per questo non hanno sangue e sono chiamati immortali.»
Purtuttavia questi corpi fisici si manifestano come potenze come quando Apollo colpisce con la mano Patroclo[14], e sono individuabili anche se utilizzano corpi simili agli uomini, proprio per mezzo delle loro tracce (ichnos, ἴχνος) come osserva Aiace Oileo dopo aver scorto Posidone[15].
Resta che, come notano Giulia Sissa e Marcel Detienne:
Gli dèi greci posseggono inoltre la caratteristica di differenziarsi nell'ambito delle loro rispettive "potenze" e di pagarne caro il prezzo qualora si avventurassero in ambiti che non gli sono propri, come ricorda Zeus ad Afrodite ferita da Diomede dopo il suo tentativo di proteggere Enea[16]. O ancora corrono a chiedere il sostegno della potenza altrui, come fa Hera, ottenendo il nastro ricamato "dov'erano tutti gli incanti" proprietà di Afrodite, allo scopo di sedurre il re degli dèi Zeus[17].
Separati dagli uomini per natura, condizione e destino, gli dèi vengono rappresentati dai greci secondo i canoni assoluti della bellezza. In questo, sottolinea Mircea Eliade, si distingue un tratto preciso della religione greca:
La religione greca è dunque indubbiamente, almeno nei suoi aspetti più diffusi, una religione politeistica. Occorre tuttavia precisare che sia il termine che la nozione di "politeismo" non sono conosciuti nel mondo greco. Tale termine, "politeismo" (dal greco πολύς polys + θεοί theoi ad indicare "molti dèi"), è attestato solo nelle lingue moderne ed ha origine in Francia a partire dal XVI secolo, esso deriva dall'analogo termine greco polytheia coniato dal filosofo giudaico di lingua greca Filone di Alessandria (20 a.C.-50d.C.) per indicare la differenza tra l'unicità de dio ebraico rispetto alla nozione pluralistica dello stesso propria delle religioni antiche[18].
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ «Apollo accanto a Zeus è il dio greco più significativo. Su questo punto non vi può essere dubbio alcuno nemmeno in Omero.»
- ^ Walter Burkert. Op.cit..
- ^ Stefania Ratto. Grecia. Milano, Mondadori Electa, 2006, pag.103
- ^ Károly Kerényi. Griechische Grundbegriffe. Zurigo, Rhein-Verlag, 1964.
- ^ Károly Kerényi. Religione antica (Antike Religion). Milano, Adelphi, 2001, pag. 209.
- ^ Gabriella Pironti.Il "linguaggio" del politeismo in Grecia: mito e religione vol.6 della Grande Storia dell'antichità (a cura di Umberto Eco). Milano, Encyclomedia Publishers/RCS, 2011, pag. 31
- ^ Gabriella Pironti. Il "linguaggio" del politeismo in Grecia: mito e religione, cit., pag.31.
- ^ Traduzione in italiano: Gli dèi della Grecia, Adelphi, Milano 2004.
- ^ a b Walter F. Otto. Theophania. Genova, Il Melangolo, 1996, pagg. 63-4
- ^ Walter F. Otto. Theophania, cit., 1996, pag.67
- ^ Giulia Sissa e Marcel Detienne. La vita quotidiana degli dei greci. Bari, Laterza, 2006, pag.20
- ^ Iliade I, 588; XIX, 8
- ^ Qui va citata la nota n.8 (del capitolo II) di Giulia Sissa e Marcel Detienne. La vita quotidiana degli dei greci. Bari, Laterza, 2006, pag.20 dove si evidenzia che non è la carne a rendere tale il sangue agli uomini.
- ^ Iliade XVI 789 e segg.
- ^ Iliade XIII, 43 e segg.
- ^ Iliade V, 330 e segg.
- ^ Iliade XIV, 198 e segg.
- ^ Gabriella Pironti. Il "linguaggio" del politeismo in Grecia: mito e religione, cit., pag. 22.