Discorso di Benito Mussolini del 3 gennaio 1925

«Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io ne sono il capo!»

Il discorso di Benito Mussolini del 3 gennaio 1925 (detto anche discorso di Mussolini sul delitto Matteotti)[1] è il discorso pronunciato dal presidente del Consiglio dei ministri Benito Mussolini nel pomeriggio del 3 gennaio 1925 alla Camera dei deputati del Regno d'Italia, ed è considerato il principio del ventennio fascista in Italia, concretizzatosi nei mesi seguenti con le leggi fascistissime. Quest'ultimo si concluderà poi nel 1945.

Il suo intento ebbe successo, per il corredo di minaccia che ebbe la sfida all’opposizione a presentare un formale atto di accusa contro di lui: le finali parole - "nelle quarantott'ore successive a questo mio discorso, la situazione sarà chiarita su tutta l'area" - furono seguite dalla circolare di Luigi Federzoni ai prefetti, che dispose drastiche limitazioni alla libertà di stampa e la chiusura di tutti i circoli dei partiti di opposizione in tutto il Paese.

Mussolini e i ministri fascisti seduti nei banchi del Governo alla Camera dei deputati del Regno d'Italia.

Il discorso[2] in Parlamento di Giacomo Matteotti del 30 maggio 1924 sui brogli elettorali, aveva creato grande disagio al governo Mussolini. Il successivo omicidio del parlamentare fu attribuito dalle opposizioni, e da parte della stampa indipendente e dell'opinione pubblica, alla diretta o comunque connivente responsabilità dei vertici del fascismo[3].

Nel mese di dicembre 1924, in una situazione di forti tensioni interne al Partito Fascista e al governo a causa di una discussa riforma dell'esercito, Mussolini propose una nuova legge elettorale che ripristinava il collegio uninominale, creando scompiglio tra l'opposizione e i partiti di maggioranza. Dato il contesto di instabilità del governo, e la minaccia della riforma elettorale che colpiva i partiti di massa socialisti e popolari, venne pubblicato dai capi dell'opposizione il memoriale di Cesare Rossi, che accusava e provava la complicità dei vertici del fascismo nel delitto Matteotti.

Il 29 dicembre 1924, Mussolini convocò i direttori dei giornali del Partito per dichiarare che "il tentare di separare il Capo dai gregari è fatica vanissima ed insana"[4] e che sarebbero stati adottati a breve "gli ordinati sviluppi legislativi della nostra Rivoluzione, che dovranno adeguare uomini ed istituti alle necessità sempre maggiori della Patria"[5].

Il giorno prima del discorso, l'Alta Corte di Giustizia aveva assunto una testimonianza, sia pure de relato, rilevante per risalire alla responsabilità di Mussolini nell'organizzazione delle violenze contro gli oppositori politici[6].

Mussolini cercò di superare l'impasse in un discorso, tenuto il 3 gennaio 1925, con cui, assumendosi la responsabilità "morale" e non materiale dell'omicidio, tentò di chiudere la questione e risolvere la posizione difficile in cui si era venuto a trovare il Partito fascista.

Di seguito si riportano l'incipit, il momento saliente e la chiusura del discorso:

«Signori! Il discorso che sto per pronunziare dinanzi a voi forse non potrà essere a rigore di termini classificato come un discorso parlamentare. Può darsi che alla fine qualcuno di voi trovi che questo discorso si riallaccia, sia pure traverso il varco del tempo trascorso, a quello che io pronunciai in questa stessa aula il 16 novembre. Un discorso di siffatto genere può condurre e può anche non condurre ad un voto politico. Si sappia ad ogni modo che io non cerco questo voto politico. Non lo desidero: ne ho avuti troppi. L’articolo 47 dello Statuto dice: «La Camera dei deputati ha il diritto di accusare i ministri del re e di tradurli dinanzi all’Alta corte di giustizia.» Domando formalmente se in questa Camera, o fuori di questa Camera, c’è qualcuno che si voglia valere dell’articolo 47. Il mio discorso sarà quindi chiarissimo, e tale da determinare una chiarificazione assoluta. Voi intendete che dopo aver lungamente camminato insieme con dei compagni di viaggio ai quali del resto andrebbe sempre la nostra gratitudine per quello che hanno fatto, è necessaria una sosta per vedere se la stessa strada con gli stessi compagni può essere ancora percorsa nell’avvenire. Sono io, o signori, che levo in quest’Aula l’accusa contro me stesso. Si è detto che io avrei fondato una Ceka Dove? Quando? In qual modo? Nessuno potrebbe dirlo. ...(omissis)

Ma poi, o signori, quali farfalle andiamo a cercare sotto l’arco di Tito?

Ebbene, io dichiaro qui, al cospetto di questa assemblea, ed al cospetto di tutto il popolo italiano, che assumo (io solo!) la responsabilità (politica! morale! storica!) di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il Fascismo non è stato che olio di ricino e manganello e non invece una superba passione della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il Fascismo è stato un’associazione a delinquere (omissis), a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato.

(omissis)...Ora io oso dire che il problema sarà risolto. Il Fascismo, Governo e Partito, è in piena efficienza. Signori, vi siete fatte delle illusioni! Voi avete creduto che il Fascismo fosse finito perché io lo comprimevo, che il Partito fosse morto perché io lo castigavo e poi avevo anche la crudeltà di dirlo. Se io la centesima parte dell’energia che ho messo a comprimerlo la mettessi a scatenarlo, oh, vedreste allora… Ma non ci sarà bisogno di questo, perché il Governo è abbastanza forte per stroncare in pieno e definitivamente la sedizione dell’Aventino. L’Italia, o signori, vuole la pace, vuole la tranquillità, vuole la calma laboriosa; gliela daremo con l’amore, se è possibile, o con la forza se sarà necessario. Voi state certi che nelle 48 ore successive al mio discorso, la situazione sarà chiarita su tutta l’area, come dicono. E tutti sappiamo che non è capriccio di persona, che non è libidine di governo, che non è passione ignobile, ma è soltanto amore sconfinato e possente per la Patria.»

In questo discorso Mussolini si assunse "la responsabilità politica, morale e storica" di quanto era avvenuto in Italia negli ultimi mesi e specificamente del delitto Matteotti, «ma al tempo stesso se ne chiamò fuori descrivendolo come la conseguenza del clima politico violento dell’Italia di quegli anni»[7]. Il discorso è ritenuto dagli storici l'atto costitutivo del fascismo come regime autoritario[8] come afferma anche Renzo De Felice,[9] uno dei maggiori studiosi del fascismo.[10][11]

I punti principali del discorso sono:[1]

«Art. 47.

La Camera dei Deputati ha il diritto di accusare i Ministri del Re e di tradurli dinanzi all’Alta Corte di Giustizia.»

La spavalda oratoria di Mussolini si cumulò all'incapacità dell'opposizione a reagire, nel decretare il successo della spregiudicata manovra politica sottesa al discorso.

«Gli oppositori non erano nell’aula, ma erano sparsi per i corridoi. Dovevano concertarsi, Eugenio Chiesa, Emilio Lussu ed Arturo Labriola avrebbero voluto rientrare nell’aula e dar battaglia. Amendola pensava di fare lo stesso; ma Giolitti, che era nell’aula, gli mandò a dire che non lo facesse, perché avrebbe “scoperto il re” (Questa informazione mi fu data da Guido Ferrando che stava in quei giorni a Roma accanto ad Amendola). Gli altri “tenevano la fiaccola sotto il moggio”»

Nella notte del 3 gennaio Luigi Federzoni, ministro dell'Interno, inviò ai prefetti due telegrammi riservati che traducevano in pratica i propositi autoritari di Mussolini. Le disposizioni invitavano, in particolare, le autorità a esercitare la sorveglianza più vigile su circoli, associazioni, esercizi pubblici che potessero costituire pericolo per l'ordine pubblico e, se del caso, ad attuarne la chiusura forzata. Le autorità erano altresì autorizzate ad avvalersi senza scrupoli del fermo temporaneo nei confronti degli oppositori politici. Inoltre i prefetti venivano invitati ad applicare con rigore assoluto il decreto-legge atto a «reprimere gli abusi della stampa periodica», approvato durante il Consiglio dei ministri del 7 luglio 1924, ma fino a questo momento usato quasi esclusivamente nei confronti della stampa di ispirazione comunista. Il decreto conferiva ai prefetti, ossia al governo, il potere di diffidare o addirittura sequestrare il giornale che diffondesse «notizie false e tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico». Una successiva circolare interpretativa del ministro Federzoni aveva subito sgombrato il campo dagli equivoci: il giornale poteva essere sequestrato anche se la notizia pubblicata si fosse rivelata vera. Era evidente, pertanto, lo scopo illiberale e dittatorio che il provvedimento doveva raggiungere: l'annientamento, grazie ai continui sequestri, di tutta la stampa d'opposizione. Nell'arco di una settimana il Ministro dell'Interno poté illustrare in sede di Consiglio dei ministri i risultati raggiunti dai provvedimenti adottati nella notte fra il 3 e il 4 gennaio: i prefetti si avvalsero senza esitazione dei poteri che erano stati loro attribuiti e centinaia di persone furono arrestate. Un gran numero di locali e associazioni venne chiuso usando qualsiasi pretesto.

Il 14 gennaio la Camera approvò in blocco e senza discussione moltissimi decreti-legge emanati dal governo, la cui conversione era stata rinviata a seguito della chiusura dei lavori a giugno dell'anno prima. Il discorso di Mussolini costituì quindi un atto di forza, con cui convenzionalmente si fa iniziare la fase dittatoriale del fascismo[13]: nel giro di due anni ebbe luogo il mutamento conseguente dell'ordinamento giuridico, mediante quelle che poi furono denominate leggi fascistissime.

Gli aventinisti, sia per la paura di ritorsioni sia per i forti frazionismi interni, si attestarono nella sterile testimonianza[14]. Conseguenze del discorso furono successivi atti formali che portarono, come atto finale della secessione dell'Aventino, alla decadenza del mandato parlamentare per le opposizioni e alla graduale delegittimazione e annullamento delle funzioni democratiche del Parlamento[15].

Carlo Bazzi, il giornalista filofascista coinvolto nel delitto Matteotti, dall'esilio francese scrisse nel 1925 che “della forza Mussolini non ha che la maschera, le espressioni verbali, i gesti esteriori. Mussolini è un debole. Chi lo ha visto da presso nei primi giorni del delitto Matteotti sa in quale miserando stato si era ridotto. Per rimetterlo, ci sono voluti quasi sei mesi, durante i quali il più animale istinto di conservazione lo ha tratto ad ordire una rete d'inganni e di insidie, da cui quella disperata consigliera che è la paura gli prometteva salvezza. Quando, nel gennaio 1925, ha creduto maturi gli inganni da un lato, dall'altro preclusa ogni diversa via e sufficientemente compromessi i compagni di lotta, ha rifatto la voce grossa”[16].

Lo stesso Mussolini, nella voce da lui curata nella Enciclopedia Treccani, sostenne il valore fondativo di quel discorso: "Che cosa essa avrebbe potuto dare all'Italia, nel caso che le fosse riuscito di gettare a terra il fascismo? Un nuovo e peggior caos... Fino a che, il 3 gennaio 1925, un discorso di Mussolini, alla Camera, mostrò come egli riprendesse a pieno il timone della barca e fosse pronto a ingaggiare battaglia decisiva"[17]. Di conseguenza, esso entrò nell'eulogia del regime: ad esempio, nel 1938 il discorso venne commemorato al Teatro Adriano dal poeta, scrittore e drammaturgo e membro dell'Accademia d'Italia Filippo Tommaso Marinetti[18].

Il discorso è rievocato nei punti salienti nel film Il delitto Matteotti di Florestano Vancini, dove Mussolini è impersonato da Mario Adorf.[19]

Qualificazioni giuridiche

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L'articolo 3 del decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159 qualifica come "colpo di Stato" quello del 3 gennaio 1925. Il testo del relativo discorso è conservato negli atti del secondo processo per il delitto Matteotti, condotto nel secondo Dopoguerra[20].

  1. ^ a b Il discorso di Mussolini sul delitto Matteotti
  2. ^ Italia - 30 maggio 1924, Discorso alla Camera dei Deputati di denuncia di brogli elettorali - Wikisource, su it.wikisource.org. URL consultato il 12 settembre 2016.
  3. ^ Emilio Gentile, In Italia ai tempi di Mussolini, MONDADORI, 7 ottobre 2014, ISBN 9788852058554. URL consultato il 12 settembre 2016.
  4. ^ L'accusa di avere scaricato un gregario per salvarsi risaliva proprio al memoriale di Cesare Rossi pubblicato dal Mondo il 27 dicembre 1924. Nella sua confutazione Renzo De Felice fa rientrare anche il pronunciamento di una quarantina di consoli della Milizia che, guidati da Enzo Emilio Galbiati, il 31 dicembre 1924 si presentarono a palazzo Venezia per chiedere a Mussolini di farla finita con il rispetto della legalità: a dispetto della versione dei protagonisti, la ricerca storica contenuta in Mussolini il fascista. Vol. I: La conquista del potere, 1921-1925, Einaudi, Torino, 1966, dimostrerebbe che la situazione non sarebbe mai sfuggita di mano dal presidente del consiglio. Anche l'arrivo dei consoli a Roma si sarebbe inquadrato nei disordini, creati ad arte da Mussolini, per alimentare il timore di una guerra civile incipiente se il re e le Forze armate non gli avessero dato il pieno "via libera".
  5. ^ Ermanno Amicucci, La stampa della rivoluzione e del regime, Milano, 1938, Mondadori, pp. 43-45.
  6. ^ ASSR, Ufficio dell'Alta corte di giustizia e degli studi legislativi, 1.2.257.1.13, Verbale della testimonianza del giornalista Giorgio Schiff-Giorgini, 2 gennaio 1925), pp. 10-11: «Mussolini si dichiarò, mercé la tregua che le opposizioni gli avevano dato i primi giorni dopo il delitto Matteotti, di nuovo arbitro della situazione; ma non al punto di poterlo subito reintegrare nella carica perduta. Terminò, affermando che suo primo compito sarebbe intanto stato di riordinare e rafforzare la «Ceka» affermando che essa fosse in Italia l'organo di Governo più necessario. Aggiunse: «Addio Aldo, ci siamo intesi». Da quel momento ebbi l'impressione che il Finzi si sia pentito di aver compiuto quel passo verso i capi delle opposizioni, comunicando loro a mio mezzo, e del Silvestri, il contenuto della sua lettera testamento. Ebbi l'impressione di un uomo assolutamente terrorizzato. Pretendeva che io smentissi ad Amendola e ad Albertini di aver compiuto quel passo dietro suo invito. Parlava di fuga nel Polesine, e di organizzazione armata dei suoi fidi. In una parola «quel ci siamo intesi» aveva gettato lo scompiglio nella sua mente».
  7. ^ R. Michelucci, Cronaca di una morte annunciata. Intervista allo storico M. Canali, Focus storia, n. 212 del 21 maggio 2024, p. 31.
  8. ^ 1924, il delitto Matteotti Archiviato il 6 settembre 2013 in Internet Archive.
  9. ^ Renzo De Felice, Mussolini il fascista I, su einaudi.it. URL consultato il 4 settembre 2013 (archiviato dall'url originale il 2 settembre 2013).
  10. ^ Vidotto, p. 21: "....Renzo De Felice, il maggiore studioso del fascismo italiano e il primo a fornire nuovi strumenti concettuali per l'analisi e la comprensione del ventennio fascista."
  11. ^ Aga Rossi, p. 128.
  12. ^ Questa, insieme alla precedente sull'Aventino, è la parte dell'intervento più rilevante, e che sollecitò la maggiore attenzione dei contemporanei: ad esempio, nella corrispondenza con Anna Kuliscioff, Filippo Turati - alla rivendicazione della responsabilità politica, morale, storica fatta da Mussolini - chiosò: "ma non penale!": Turati-Kuliscioff, Carteggio: 1923-1925, Einaudi, 1977, pagina 518.
  13. ^ P. Lyttelton, 2003
  14. ^ Sull'eccessiva fiducia nel potere di ribellione morale della società, v. Nicola Tranfaglia, "Rosselli e l'Aventino: l'eredità di Matteotti", in Movimento di Liberazione in Italia, (1968): 3-34.
  15. ^ Giampiero Buonomo, La decadenza dei deputati nella Camera del regno d'Italia del 9 novembre 1926, in Historia Constitucional, n. 13, 2012, pagg. 697-715.
  16. ^ Giuseppe Rossini, Il delitto Matteotti tra il Viminale e l'Aventino, Il Mulino, Bologna, 1966, p. 476.
  17. ^ Enciclopedia Treccani, Voce Fascismo.
  18. ^ Rievocazione discorso del 3 gennaio.
  19. ^ Delitto Matteotti, discorso di Mussolini 3 gennaio 1925
  20. ^ Archivio di Stato di Roma, Corte d'assise speciale, Procedimento penale contro Amerigo Dumini e altri per l'omicidio dell'on. Giacomo Matteotti (secondo processo), num. 76, "Documenti esibiti all' udienza dal pubblico ministero (volume 84)", 1924 - 1928, num. 211, Parla l'on. Mussolini, ritaglio stampa, s.d..

Voci correlate

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