Eustochia Calafato

Sant'Eustochia Smeralda Calafato
 

Clarissa e badessa

 
NascitaMessina, 25 marzo 1434
MorteMessina, 20 gennaio 1485 (50 anni)
Venerata daChiesa cattolica
Beatificazione22 agosto 1782 da papa Pio VI
CanonizzazioneMessina, 11 giugno 1988 da papa Giovanni Paolo II
Santuario principaleMonastero di Montevergine, Messina
Ricorrenza20 gennaio

Eustochia Smeralda Calafato (Messina, 25 marzo 1434Messina, 20 gennaio 1485) è stata una badessa italiana dell'ordine delle monache clarisse, fondatrice del monastero messinese di Montevergine. Beatificata nel 1782, è stata proclamata santa da papa Giovanni Paolo II nel 1988.

Molto si sa sulla vita di Eustochia grazie ad uno scritto biografico redatto da una consorella, suor Jacopa Pollicino, due anni dopo la morte e rinvenuto solo negli anni quaranta del XX secolo.

Suor Eustochia, al secolo Smeralda Calafato, era figlia di Bernardo Calafato, ricco mercante messinese e di Mascalda Romano Colonna.[1] Il vero nome del padre pare fosse Bernardo Cofino che era nominato Calafato perché era calafatore cioè un incantramatore di barche e madre una donna di fede che trasmise alla figlia. Smeralda fu quarta di sei figli.

La Nascita e l'adolescenza

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Nell'anno in cui venne alla luce, la città di Messina fu colpita da un'epidemia di peste ed i genitori di Smeralda, per sfuggire alla pestilenza, decisero di recarsi fuori dalla città, presso il vicino Villaggio della SS. Annunziata e fu lì, presso una mangiatoia, che la madre Mascalda la diede alla luce il 25 marzo 1434 di giovedì santo e giorno dell'Annunciazione. Si tramanda che sin da piccola la sua bellezza non passasse inosservata.

Sua madre la indirizzò verso la pratica religiosa verso cui Smeralda si sentiva molto attratta ma il padre e i fratelli volevano che si sposasse. E così all'età 11 anni la fecero fidanzare con Nicolò Perrone, un mercante di 35 anni, il quale, però, morì nel 1446 alla vigilia delle nozze. Due anni dopo, nel 1448, fu promessa in sposa ad un altro giovane che morì addirittura prima di conoscerla.[1]

La chiamata Divina

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Questi avvenimenti pur traumatici per Smeralda erano preludio che la sua vita era destinata a traguardi celesti. [2]All'età di 14 anni ebbe la chiamata del Signore. Come si apprende dagli scritti di Suor Jacopa, un giorno si trovava a passeggiare presso il suo luogo natale ed entrò in una piccola chiesa che era l'eremo di San Nicola. Lì dentro ebbe la visione che in un'atmosfera caliginosa, i santi improvvisamente si muovessero luminosi e gli altri oggetti e tutto il resto diventò buio. Fu colpita da quella esperienza ed ella sentì incondizionatamente di abbandonarsi al Signore e di rinunciare a qualsiasi forma di ricchezza.

La vita conventuale

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A 15 anni decise di prendere i voti contro il parere dei familiari, i suoi fratelli minacciarono pure di bruciare il monastero;[3] I conflitti familiari la portarono pure a tentare di fuggire dalla casa paterna ma inutilmente. Nel 1448 suo padre morì e più nulla distolse da questo proposito la giovane Smeralda che finalmente poté appagare il suo desiderio entrando nel monastero di Basicò ove rimase per oltre dieci anni, con il nome di suor Eustochia. Amante della povertà, come cella preferì un sottoscala; viveva in penitenza dormendo sulla nuda terra e portando il cilicio.[3] Si adoperava con entusiasmo e dedizione, con forte vocazione faceva lavori umili, viveva con mortificazioni, nella preghiera e assisteva le inferme. Ma in quel monastero nel contempo colse e ritenne che non si osservasse alla lettera la regola delle clarisse ed a questo proposito ebbe molte discussioni con le consorelle e con la badessa. Accadeva che, per venire incontro alle esigenze delle ragazze di buona famiglia che non intendevano rinunciare alle loro comodità, venivano date dispense e favoritismi perdendo di vista lo spirito di povertà che doveva animare le clarisse[3] Il monastero di Basicò all'epoca era uno dei più importanti della Sicilia ed asilo delle nobili fanciulle e quindi oggetto dei privilegi del re. Allora Eustochia iniziò a ricercare altrove ciò che mancava a Basicó, progettò una riforma e chiese al Papa Callisto III il permesso di fondare un nuovo monastero. Così con un decreto, dopo altre difficoltà, con due bolle del 1457 e del 1458 ella ottenne l'autorizzazione.

Grazie agli aiuti finanziari da parte di sua madre e della sorella, Eustochia si trasferì nel nuovo monastero di S. Maria Accomandata, assieme alla madre, la sorella Mita, la nipote Paola, suor Lisa Rizzo e suor Jacopa Pollicino, che avevano abbandonato S. Maria di Basicò.[1] All'inizio la Calafato ebbe, comunque, l'ostilità della badessa e di tutto il clero, e solo una bolla di Pio II (1461) riuscì ad obbligare i frati minori osservanti a seguire la vita spirituale delle religiose del monastero.[1] Eustochia Smeralda riuscì poi a trovare un manoscritto della regola di Santa Chiara alla quale si riformò per la direzione della comunità.

Nei locali della Accomandata, che sembra fossero costituiti dai resti di un vecchio ospedale, presto il numero delle consorelle aumentò velocemente e questi diventarono inadeguati ed insufficienti. Così grazie alla generosità di Bartolomeo Ansalone, nel 1463, suor Eustochia ottenne di poter stabilire la comunità con le Clarisse Riformate, nei locali di Montevergine, in un nuovo complesso claustrale[3] nel quale ella iniziò ad essere la guida spirituale delle sue consorelle che si erano ormai a lei affidate educandole allo spirito del francescanesimo, spronandole alla passione di Cristo, alla preghiera, basandosi sulle sue esperienze ascetiche.

Suor Eustochia come Santa Chiara viveva la consacrazione a Dio con estrema povertà, sull'aiuto del prossimo e nella fervente preghiera. Una sua supplica al Crocifisso mostra da quale desiderio di soffrire fosse animata:

«O dolcissimo mio Signore, vorría morire per lo tuo santo amore, cosí come Tu moristi per me! Forami il cuore con la lancia e con i chiodi de la tua amarissima Passione; le piaghe che tu avesti nel tuo santo corpo, che io le abbia nel cuore. Ti domando piaghe, perché mi è grande vergogna e mancamento vedere Te, Signore mio, piagato, che io non sia piagata con Te»

Il suo monastero ebbe scambi culturali e spirituali con altre case dell'Osservanza, in una vera e propria rete di monache-umaniste tra le quali spicca ad esempio Camilla da Varano, ossia suor Battista da Camerino.

Per rafforzare la fede delle religiose e la completa dedizione a Dio, Eustochia scrisse un libro sulla Passione, in seguito andato perduto. Annotava le grazie ricevute in una sua agenda e leggeva continuamente le Laudi di Iacopone da Todi e le cantava assieme ad inni religiosi alla Madonna e a Cristo. Tra i suoi libri c'era il Monte de la orazione, un trattato ascetico scritto in toscano e in siciliano, e quelli di teologia.[3]

Con la sua costituzione gracile nascondeva sempre i disturbi che affliggevano il suo corpo ed è stata protagonista di diversi eventi prodigiosi durante la vita e dopo il suo trapasso.

Al momento della sua morte, avvenuta il 20 gennaio 1485, nel monastero c'erano già 50 consorelle.[3] Queste furono le sue parole a loro rivolte prima di morire:

«Figlie mie abbiate il Crocefisso come un Padre e ne riceverete tutti gli insegnamenti di cui avrete necessità; ho fatto anche io così e, senza mai cercare conforto in esseri umani, mi sono sempre interamente abbandonata a Lui e ne ho ricevuto tutte quelle consolazioni che nessuno può dare…»

Dopo la morte in aria di santità venne riesumata più volte. Manifestava infatti una perfetta conservazione e stato esteriore, come se dormisse, emanava un profumo soave e le sanguinava dolcemente il naso; le consorelle avvertirono anche segnali, come battiti, rumori, deducibili in interpretazioni della sua volontà da parte di Dio di non voler essere sepolta e da allora si prese la decisione di esporla alla venerazione come avviene fino ad oggi. Nel 1690 l'allora arcivescovo di Messina ne annotó alla S. Congregazione un esame sul suo corpo da lui diligentemente veduto, tra i particolari spicca quello della mano destra cui due dita sono distese in segno di benedizione rivolto forse a una sua consorella.

Da un decreto del senato di Messina del 1777 avviene ogni anno l'offerta del "cero di 38 libbre lavorate" e la visita al suo tempio il 22 agosto o il 20 gennaio, tradizione ripresa nel 1957 dopo un'interruzione negli anni 1860-70

Il suo corpo, dopo più di cinque secoli, è ancora incorrotto: è rimasto intatto anche dopo il terremoto di Messina del 1908 ed è conservato in una teca di vetro, in posizione eretta, nel Monastero di Montevergine di Messina.[4]

Fu beatificata da Pio VI il 22 agosto 1782 e venne canonizzata da Giovanni Paolo II l'11 giugno 1988, durante una sua visita a Messina, nella Chiesa di Montevergine. Il papa la definì la "Santa in piedi"[5]

Viene ricordata il 20 gennaio:

«A Messina, santa Eustochia Calafato, vergine, badessa dell’Ordine di Santa Chiara, che si dedicò con grande ardore a ripristinare l’antica disciplina della vita religiosa e a promuovere la sequela di Cristo sul modello di san Francesco.»

Secondo alcuni critici d’arte, Eustochia sarebbe stata ritratta da Antonello da Messina nel quadro che raffigura l’Annunziata.[6]

  1. ^ a b c d Enrico Pispisa, CALAFATO, Eustochia, beata, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 16, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1973. URL consultato il 16 aprile 2015. Modifica su Wikidata
  2. ^ Santa Eustochia, su www.granmirci.it. URL consultato il 14 gennaio 2025.
  3. ^ a b c d e f Santa Eustochia (Smeralda) Calafato di Messina, in Santi, beati e testimoni - Enciclopedia dei santi, santiebeati.it.
  4. ^ Copia archiviata, su messinaierieoggi.it. URL consultato il 4 febbraio 2018 (archiviato dall'url originale il 4 febbraio 2018).
  5. ^ https://www.assisiofm.it/santa-eustochia-da-messina--1615-1.html
  6. ^ http://www.lettore.org/2017/07/27/santa-eustochia-smeralda-calafato-la-santa-di-messina/
  • F. Maurolico, Vita beatae Eustochii abbatissae cenobii Montis Virginum [1543], a cura di L. Bensaja, Messina 1936;
  • G. Perrimezzi, Dela vita della venerabile serva di Dio sor' Eustochia Calefato e Romano, Napoli 1729, Messina 1812;
  • L. Perroni Grande, A proposito della beata Eustochia (un documento inedito), in Archivio storico messinese, VII (1906), pp. 128-131;
  • G. Cara, Ismaralda Catafato (la beata Eustochia): quando nacque, in Archivio storico messinese, XXII (1921-22), pp. 129-135;
  • L. Perroni Grande, Le clarisse di Montevergine nel 1483. Un documento inedito del Quattrocento, ibid., XXII (1921-22), pp. 271-274;

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