New Zealand Cavaliers

New Zealand Cavaliers
Uniformi di gara
Manica sinistra
Manica sinistra
Maglietta
Maglietta
Manica destra
Manica destra
Pantaloncini
Calzettoni
 
Colori nero e giallo
Fondazione 1986
Scioglimento 1986
Selezionatore Colin Meads
Sponsor tecnico Adidas
Esordio
Sudafrica A 21-22 NZ Cavaliers
Johannesburg, 23 aprile 1986
Migliore vittoria
SA Barbarians 13–42 NZ Cavaliers
Johannesburg, 20 maggio 1986
Peggiore sconfitta
Sudafrica 24-10 NZ Cavaliers
Johannesburg, 31 maggio 1986

New Zealand Cavaliers fu una selezione non ufficiale di rugbisti a 15 neozelandesi che, nel 1986, effettuò un tour in Sudafrica mai riconosciuto dalla New Zealand Rugby Football Union.

Detto tour si compose di 12 incontri, 8 dei quali contro formazioni provinciali e gli Junior Springboks e gli altri 4 contro gli Springbok; benché per i neozelandesi tali 4 incontri non abbiano valore di test match la South African Rugby Board (e la sua erede, la South African Rugby Union) riconobbe la presenza internazionale ai suoi giocatori che vi presero parte.

L'iniziativa dei giocatori neozelandesi fu fonte di polemiche e contestazioni in patria dal momento che in Sudafrica vigeva ancora, all'epoca, il regime di apartheid che aveva provocato per tale Paese il bando internazionale anche sotto l'aspetto sportivo.

La serie degli incontri contro gli Springbok fu persa dai Cavaliers per un incontro a tre.

Controversa e tuttora mai chiarita è anche la circostanza per la quale i giocatori, recatisi in Sudafrica a titolo personale e individualmente[1], avrebbero ricevuto compensi per la loro presenza in tale Paese[2], in un periodo in cui la governance del rugby a 15 non permetteva ancora di giocare con status professionistico.

La federazione neozelandese sanzionò con la sospensione per i successivi due incontri internazionali[3] tutti i giocatori che presero parte al tour e chiese in via non ufficiale, ottenendole, le dimissioni dai propri ruoli dell'allenatore della spedizione, l'ex All Black Colin Meads[3].

Non potendo giocare con la maglia tradizionale, la squadra si presentò in campo con un'uniforme completamente nera[4] con inserti gialli in omaggio allo sponsor della spedizione, le Pagine Gialle sudafricane[5], che coprì anche le spese di soggiorno della squadra[5].

Nel 1981 gli Springbok avevano effettuato un tour in Nuova Zelanda che fu accolto in maniera molto negativa dagli abitanti del Paese oceaniano, i quali non mancarono di esprimere il loro dissenso alla politica di apartheid (segregazione razziale) vigente in Sudafrica; varie e ripetute furono le pressioni popolari sugli All Blacks perché si rifiutassero di scendere in campo contro i loro avversari.

Andy Dalton (qui nel 1979 contro l'Italia), capitano dei Cavaliers

Già nei primi giorni del tour un match infrasettimanale contro Waikato era stato annullato perché alcuni contestatori avevano disseminato il prato dello stadio di Hamilton di chiodi e schegge di vetro[6], e durante il terzo test match tra le due squadre, all'Eden Park di Auckland, un pilota d'aereo, Marx Jones, all'epoca trentaduenne, sorvolò con un Cessna il terreno di gioco lanciando bombe di farina sui giocatori per protesta[7]; la manovra gli costò sei mesi di carcere e la proibizione perpetua d'ingresso in tale stadio[7], sebbene in diverse occasioni egli vi abbia fatto ritorno, lì invitato dalla locale stampa[7].

Nel 1985 la federazione neozelandese, incurante delle polemiche, aveva organizzato a sua volta un tour in Sudafrica, ma in tale occasione le proteste salirono di livello[8] e, oltre alle manifestazioni in piazza, sopraggiunse anche un'azione giudiziaria promossa da due avvocati ed ex rugbisti, Patrick Finnegan e Philip Recordon[9]; questi promossero una causa civile nei confronti della Federazione sostenendo che essa violasse gli stessi principî che altresì si impegnava a tutelare[9]. I due legali, infatti, nel loro ricorso al tribunale, citarono il comma dello statuto della NZRFU nella quale essa si impegnava a «…promuovere, sviluppare e sostenere il rugby dilettantistico in Nuova Zelanda…»[9] e che la decisione di recarsi in un Paese che istituzionalizzava il razzismo infrangeva tali principî[9]. Il giudice Maurice Carey accolse il ricorso e intimò alla Federazione rugbistica di astenersi dall'organizzare il tour, che fu annullato[9].

La cancellazione del tour provocò generalmente dissenso da parte dei giocatori convocati, che si videro privati dell'unica possibilità di affrontare una Nazionale di alto livello[3]; d'altra parte, la decisione della corte neozelandese non fece recedere la federazione sudafricana dal proposito di organizzare una serie di incontri in casa propria[3], anche a costo di usare come estremo tentativo di persuasione l'arma economica[3]; in effetti, fu grazie alla pesante sponsorizzazione delle Pagine Gialle sudafricane, che coprirono i costi di soggiorno dei neozelandesi con l'equivalente di 850 000 sterline britanniche dell'epoca[5], che fu possibile, alfine, organizzare una serie di incontri contro una squadra di giocatori che non potevano ufficialmente presentarsi in Sudafrica in rappresentanza di alcunché di diverso da essi stessi: in effetti la gran parte dei 30 giocatori che avrebbero dovuto partecipare al tour del 1985 (David Kirk e John Kirwan si rifiutarono di prendere parte all'iniziativa[3], così come il tecnico degli All Blacks Brian Lochore[3]) presero separatamente il volo per Sydney, in Australia[3] (Andy Haden si trovava già a Città del Capo[3]) e da lì partirono per il Sudafrica[3].

Dato il clima ostile in patria alla presenza in Sudafrica dei giocatori, molti di essi portarono seco le proprie mogli e fidanzate per il timore di eventuali ritorsioni nei loro confronti[3]; gli sponsor si fecero carico anche dell'alloggio dei familiari che venne tenuto separato da quello dei giocatori[3]; mai chiarita fu anche la questione dell'eventuale compenso ricevuto, che avrebbe messo i giocatori a rischio di pesanti squalifiche stante la natura completamente dilettantistica del rugby a 15 (che assunse lo status professionistico solo nel 1995 dopo la III Coppa del Mondo). Ufficialmente non fu mai riconosciuta alcuna remunerazione ai giocatori neozelandesi, fatto salvo un rimborso spese giornaliero pari all'equivalente di 14 sterline britanniche[5].

Allenatore della squadra, stante il rifiuto di Brian Lochore, fu Colin Meads, che all'epoca ricopriva il ruolo di selezionatore per la federazione neozelandese[3]; team manager fu Ian Kirkpatrick. Tra i nomi noti che presero parte alla spedizione figurano Craig Green, Warwick Taylor, i gemelli Alan e Gary Whetton, Jock Hobbs e Wayne Shelford; capitano fu Andy Dalton. Quale uniforme, in omaggio allo sponsor, fu scelta una tenuta (approntata dall'Adidas) completamente neracon una felce sul petto; colletto della maglietta e inserti erano giallo-oro[5]. Il logo sulle maglie era una felce argentata sormontata da uno springbok (antidorcas marsupialis, specie di antilope simbolo del Sudafrica) e rinchiusa dal profilo dell'Ellis Park[2].

Il tour durò circa un mese e mezzo, e gli incontri delle prime tre settimane furono solo contro rappresentative provinciali che disputavano la Currie Cup; quello d'apertura fu disputato contro la formazione A sudafricana, gli Junior Springboks. Il gioco dei sudafricani, rimasto ancora fermo all'impatto fisico e alla potenza, e non adattatosi alle nuove tendenze internazionali a causa dell'isolamento, fu spigoloso e falloso[10]; durante la seconda partita del tour a Pretoria contro il Northern Transvaal, Andy Dalton fu messo fuori combattimento a causa di un pugno che gli ruppe la mascella[3][10].

L'unica sconfitta occorsa contro una squadra provinciale fu a Johannesburg contro il Transvaal per 19-24; i quattro incontri contro gli Springbok, che si tennero dal 10 al 31 maggio rispettivamente a Città del Capo, Durban, Pretoria e Johannesburg, furono diretti dall'arbitro gallese Ken Rowlands[11], che in tale occasione chiuse la sua carriera direttiva internazionale[11].

La serie degli incontri con il Sudafrica fu vinta per 3 incontri a 1 dai locali, che si aggiudicarono il primo e gli ultimi due match; i Cavaliers vinsero per 19-18 l'incontro di Durban, il secondo della serie. Solo il Sudafrica riconobbe la presenza internazionale ai suoi giocatori.

Le conseguenze

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Al ritorno in Nuova Zelanda la federazione chiese a Colin Meads di non ripresentarsi candidato per la posizione di selezionatore l'anno successivo[3], e a tutti i giocatori fu inflitta una sospensione di due incontri, che per alcuni di essi significò la fine della carriera internazionale[3].

Relativamente pochi, della trentina di giocatori che presero parte alla spedizione in Sudafrica, furono poi convocati per la successiva Coppa del Mondo di rugby 1987 che la Nuova Zelanda disputò tra le mura amiche: a seguito della squalifica i giocatori non poterono prendere parte alla Bledisloe Cup di quell'anno e, quando gli All Blacks intrapresero il loro tour di fine anno in Francia, il commissario tecnico Lochore si presentò in Europa con una formazione con 11 esordienti assoluti[12], nota come Baby Blacks [12] le cui prestazioni resero difficile per molti elementi della vecchia rosa riguadagnare il posto: in effetti solo 12 elementi superstiti del tour figurarono anche nel torneo mondiale (Albert Anderson, Kieran Crowley, Andy Dalton, Steve McDowall, Grant Fox, Craig Green, Murray Pierce, Wayne Shelford ― peraltro ancora senza presenze per gli All Blacks ― Warwick Taylor e i gemelli Whetton) e si laurearono campioni.

Quanto al Sudafrica, la manovra organizzata dalla South African Rugby Board, la federazione che gestiva il rugby bianco nel Paese, valse un indebolimento politico del suo presidente Danie Craven[13], un ulteriore isolamento da parte dell'International Rugby Football Board[13] e l'accelerazione della crisi della federazione; di lì a cinque anni la SARB avrebbe dovuto accettare un compromesso, proposto dall'African National Congress, e fondersi con la South African Rugby Union, organizzazione antirazzistica nata nel 1966 in alternativa alla SARB[13]; la nuova federazione, che assunse il nome di South African Rugby Football Union, è quella che oggi è nota come South African Rugby Union.

I giocatori invitati

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Tre quarti
Giocatore Ruolo Provincia
Kieran Crowley Estremo Taranaki
Mike Clamp Tre quarti ala Wellington
Robbie Deans Estremo Canterbury
Andrew Donald Mediano di mischia Wanganui
Grant Fox Mediano d'apertura Auckland
Bernie Fraser Tre quarti ala Wellington
Craig Green Tre quarti ala Canterbury
David Kirk[15] Mediano di mischia Auckland
John Kirwan[15] Tre quarti ala Auckland
Dave Loveridge Mediano di mischia Taranaki
Bill Osborne Tre quarti centro Wanganui
Steven Pokere Tre quarti centro Auckland
Bryce Robins Tre quarti ala Taranaki
Victor Simpson Tre quarti centro Canterbury
Wayne Smith Mediano d'apertura Canterbury
Warwick Taylor Tre quarti centro Canterbury

Staff tecnico-manageriale

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Città del Capo
10 maggio 1986
Sudafrica Sudafrica (bandiera)21 – 15 NZ CavaliersNewlands Stadium (38000 spett.)
Arbitro: Galles (bandiera) Ken Rowlands

Durban
17 maggio 1986
Sudafrica Sudafrica (bandiera)18 – 19 NZ CavaliersKings Park (42000 spett.)
Arbitro: Galles (bandiera) Ken Rowlands

Pretoria
24 maggio 1986
Sudafrica Sudafrica (bandiera)33 – 18 NZ CavaliersLoftus Versfeld (68000 spett.)
Arbitro: Galles (bandiera) Ken Rowlands

Johannesburg
31 maggio 1986
Sudafrica Sudafrica (bandiera)24 – 10 NZ CavaliersEllis Park (72000 spett.)
Arbitro: Galles (bandiera) Ken Rowlands

Gli altri incontri

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Johannesburg
23 aprile 1986
Junior Springboks21 – 22 NZ CavaliersEllis Park

Pretoria
26 aprile 1986
Northern Transvaal9 – 10 NZ CavaliersLoftus Versfeld
Arbitro: Galles (bandiera) Ken Rowlands

Bloemfontein
30 aprile 1986
Orange Free State9 – 31 NZ CavaliersFree State Stadium

Johannesburg
3 maggio 1986
Transvaal24 – 19 NZ CavaliersEllis Park

Città del Capo
6 maggio 1986
Western Province15 – 26 NZ CavaliersNewlands

Durban
13 maggio 1986
Natal24 – 37 NZ CavaliersKings Park

Johannesburg
20 maggio 1986
SA Barbarians13 – 42 NZ CavaliersEllis Park

Potchefstroom
27 maggio 1986
Western Transvaal18 – 26 NZ Cavaliers

  1. ^ Rugby pour nuls, pag. 26.
  2. ^ a b (EN) Cavaliers rugby tour, 1986, su nzhistory.net.nz, New Zealand History Online. URL consultato il 29 giugno 2014 (archiviato il 14 aprile 2017).
  3. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p (EN) Alan Perrott, The rebel rugby tour: Boots and all, in The New Zealand Herald, 7 settembre 2011. URL consultato il 29 giugno 2014.
  4. ^ Copia archiviata, su realrugby.co.za. URL consultato il 14 settembre 2023 (archiviato dall'url originale il 7 aprile 2023).
  5. ^ a b c d e (EN) Eric Marsden, Striking gold on rugby fields of South Africa, in The Glasgow Herald, 23 aprile 1986. URL consultato il 29 giugno 2014.
  6. ^ (EN) Neil Reid, Arresting times, in Stuff, Fairfax Media Ltd., 27 marzo 2011. URL consultato il 29 giugno 2014.
  7. ^ a b c (EN) James McOnie, Flour-bomber goes back to Eden Park, in The New Zealand Herald, 9 luglio 2006. URL consultato il 29 giugno 2014.
  8. ^ Remo Musumeci, Nuova Zelanda, una sfida senza senso (PDF), in l'Unità, 20 aprile 1985, p. 19. URL consultato il 17 settembre 2021.
  9. ^ a b c d e Waring, pag. 121.
  10. ^ a b (EN) Andrew Austin, The rivalries: Battle against Boks fiercest clash of all, in The New Zealand Herald, 3 agosto 2011. URL consultato il 29 giugno 2014.
  11. ^ a b (EN) Howard Evans, Rowlands recalls heady days for Welsh referees, in South Wales Echo, Cardiff, 9 gennaio 2007. URL consultato il 29 giugno 2014.
  12. ^ a b (EN) Sean Fitzpatrick, Rugby World Cup memories: Sean Fitzpatrick recalls 1987, in Talk Sport, 19 novembre 2010. URL consultato il 7 luglio 2013 (archiviato dall'url originale il 17 agosto 2011).
  13. ^ a b c Black, pag. 108.
  14. ^ Invitato in corso di tour.
  15. ^ a b David Kirk e John Kirwan si rifiutarono di prendere parte alla spedizione e furono sostituiti.

Collegamenti esterni

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