Pandinus imperator

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Scorpione imperatore
Esemplare femmina
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
SottoregnoEumetazoa
RamoBilateria
SuperphylumProtostomia
(clade)Ecdysozoa
PhylumArthropoda
SubphylumChelicerata
ClasseArachnida
OrdineScorpiones
FamigliaScorpionidae
GenerePandinus
SpecieP. imperator
Nomenclatura binomiale
Pandinus imperator
(Koch, 1841)

Lo scorpione imperatore (Pandinus imperator (Koch, 1841 )) è uno scorpione della famiglia Scorpionidae nativo dell'Africa.[1]

Pandinus imperator è uno tra i più grossi scorpioni al mondo, potendo raggiungere lunghezze fino a 20 cm.[1]

Il corpo è totalmente nero e lucido, mentre lateralmente nella zona tra tergum e sternum il colore è più chiaro, essendo il corpo meno protetto da segmenti sclerificati. Sotto luci ultraviolette appare fluorescente o di colore verdastro, come molte altre specie. Il telson si presenta di colore rosso-ambrato.

Malgrado sia uno degli scorpioni più grossi al mondo il suo veleno non è particolarmente pericoloso. Esso viene testato per la cura delle aritmie, nella sua principale componente proteica attiva, l'Imperatoxina.[2][3] Per uccidere le prede si serve delle chele.

Distribuzione e habitat

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Pandinus imperator è originario dell'Africa centrale e occidentale: la sua presenza è accertata nella Repubblica Democratica del Congo, in Costa d'Avorio, Ghana, Guinea, Guinea-Bissau, Nigeria e Togo, ma è probabile che sia presente anche in altri paesi della regione.[1]

Vive in ambienti umidi di foresta pluviale.

  1. ^ a b c (EN) Pandinus imperator, su The Scorpion Files. URL consultato il 2 ottobre 2015.
  2. ^ L'imperatore degli scorpioni, su National Geographic Italia. URL consultato il 2 ottobre 2015 (archiviato dall'url originale il 6 ottobre 2015).
  3. ^ (EN) Zamudio F.Z., Gurrola G.B., Arévalo C., Sreekumar R., Walker J.W., Valdivia H.H., Possani L.D., Primary structure and synthesis of Imperatoxin A (IpTxa), a peptide activator of Ca2+ release channels/ryanodine receptors, in FEBS Letters, vol. 405, n. 3, 1997, pp. 385–389, DOI:10.1016/S0014-5793(97)00227-5.

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