Panthera leo persica

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Leone asiatico

Un leone ed una leonessa con cucciolo nella foresta di Gir
Stato di conservazione
In pericolo[1]
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
PhylumChordata
ClasseMammalia
OrdineCarnivora
SottordineFeliformia
FamigliaFelidae
GenerePanthera
SpecieP. leo
SottospecieP. l. persica
Nomenclatura trinomiale
Panthera leo persica
Meyer, 1826
Sinonimi

P. l. asiaticus (Brehm, 1829)
P. l. bengalensis (Bennett, 1829)
P. l. goojratensis (Smee, 1833)
P. l. indica (de Blainville, 1843), P. l. persica

Areale
Mappa della foresta del Gir

Il leone asiatico (Panthera leo persica Meyer, 1826), chiamato anche leone indiano o leone di Gir è una sottospecie di leone. In natura sopravvive solamente nella Foresta di Gir, nello Stato federato indiano del Gujarat[2][3].

Nel 2010 il governo di questo Stato ha dichiarato che nell'area ne sono stati censiti 411 esemplari, 52 in più rispetto al precedente censimento del 2005[4], mentre nel 2015 il numero è cresciuto a 523 esemplari[5] e nel 2017 a 650[6][7]. Un'ulteriore stima effettuata nel 2020 ha portato ad un nuovo conteggio di 674 esemplari.[8]

Il leone asiatico è uno dei cinque grandi felini dell'India, insieme alla tigre del Bengala, al leopardo indiano, al leopardo delle nevi e al leopardo nebuloso[9]. Un tempo il suo areale si estendeva dal Mediterraneo alle regioni nord-orientali del subcontinente indiano, ma la caccia eccessiva, l'inquinamento idrico e la diminuzione delle prede naturali ne hanno ridotto notevolmente l'estensione[10]. In passato il leone asiatico veniva suddiviso in tre razze: leoni del Bengala, d'Arabia e persiani[11]. È tutt'oggi oggetto di dibattito se i leoni che vivevano in Europa (nei Balcani, in Macedonia e in Grecia) durante l'epoca ellenica fossero leoni asiatici o se appartenessero a un'altra sottospecie. Talvolta viene considerato l'animale nazionale dell'India, ma tale affermazione è sbagliata, dato che l'animale simbolo dell'India è la tigre (Panthera tigris)[12].

Distribuzione e habitat

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Gli studiosi ritengono che l'areale storico dei leoni asiatici della sottospecie persica si estendesse, attraverso l'attuale Iran, fino all'India settentrionale a est, ai margini settentrionali della penisola arabica a sud e alle attuali Grecia e Italia a ovest[13]. È da ricordare che resti fossili di leone delle caverne (Panthera leo spelaea), una sottospecie, oggi estinta, strettamente imparentata con il leone asiatico, sono stati rinvenuti in numerosi siti sparsi in tutto il Nordafrica, il Medio Oriente, la Siberia, l'Alaska e gran parte dell'Europa, fino alla Scozia[14]. Come detto, gli esperti dibattono se considerare i leoni che vivevano in Europa durante il periodo antico come leoni asiatici o se appartenessero a un'altra sottospecie. Alcuni sostengono addirittura che si trattasse degli ultimi esemplari di leoni delle caverne, sebbene questa ipotesi è generalmente ritenuta improbabile dalla comunità scientifica.

L'areale moderno del leone asiatico è ristretto solamente al Santuario della Foresta di Gir, situato nell'India nord-occidentale.

Descrizione e biologia

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Leone asiatico e sudafricano. Si notano il ciuffo sulla coda più grande, la criniera meno folta sulla testa, le orecchie più vistose e la pelle molle sull'addome del primo
Una leonessa asiatica nello Zoo di Ueno.

I leoni asiatici sono simili alle forme africane, ma hanno bolle timpaniche meno rigonfie, costrizione post-orbitale più breve e, di solito, foro infraorbitale diviso. Il leone asiatico maschio ha, in media, una criniera meno imponente di quella del cugino africano, però ha un pelame che nell'insieme è più sviluppato. In verità, molti leoni africani hanno la criniera ancora meno lussureggiante e sono noti anche alcuni esemplari maschi che ne sono completamente privi, come ad esempio i due esemplari imbalsamati conservati al Field Museum di Chicago, noti come i "mangiatori d'uomini dello Tsavo". Nel leone asiatico, i ciuffi di peli dei gomiti sono generalmente più sviluppati che nel leone africano. Ma anche questa particolarità ha un valore relativo, e lo stesso vale per il fiocco di peli terminali della coda, più folta e soprattutto più lunga nel leone asiatico. Quest'ultima particolarità è più costante rispetto alle due precedenti. Il colore della criniera e dei ciuffi di peli secondari va dal giallo chiaro al nero, passando per tutte le tinte di rosso, di ocra e di bruno; esso corrisponde per intero alla gamma cromatica che è propria del leone africano. Un buon numero di leoni asiatici ha una frangia longitudinale di peli sotto il ventre, ma questa frangia si ritrova ugualmente in alcuni loro omologhi del continente nero. I leoncini asiatici sono chiazzati e a volte se ne vedono di quelli ornati di macchie disposte in file più o meno trasversali, ciò che li fa somigliare alle tigri[15]. La criniera del leone asiatico, se sviluppata al massimo, arriva fino all'inguine e ricorda molto quella del leone dell'Atlante (Panthera leo leo), cugino africano più grande, oggi estinto in natura e con cui il leone asiatico è strettamente imparentato, in quanto proveniente da popolazioni di leoni nordafricani.

Le loro dimensioni corrispondono a quelle dei leoni diffusi nelle regioni centrali dell'Africa. Nei maschi adulti la lunghezza massima del cranio è di 330–340 mm, mentre nelle femmine è di 266–277 mm[15]. I maschi possono raggiungere il peso di 160–190 kg e le femmine di 110–120 kg[16]. Il più lungo maschio catturato misurava 292 cm di lunghezza[17], mentre la maggiore altezza alla spalla registrata è di 107 cm[18]. Il Capitano Smee uccise un maschio di 268 cm che, eviscerato, pesava 222,3 kg[17]. Secondo alcuni resoconti di caccia il più grande maschio selvatico conosciuto era lungo esattamente 3 m[19].

I leoni asiatici sono animali sociali che vivono in branchi. Questi sono meno numerosi di quelli dei leoni africani e in media comprendono due sole femmine, al contrario delle quattro-sei femmine che si incontrano nei branchi africani. Hanno abitudini meno socievoli e si congiungono con gli altri membri del branco solamente per accoppiarsi o attorno alla carcassa di una preda particolarmente grande. È stato ipotizzato che questo comportamento sia dovuto al fatto che a Gir si trovano prede più piccole di quelle che vivono in Africa, per la cui cattura necessita la collaborazione di pochi animali[20]. I leoni asiatici si nutrono prevalentemente di cervi (sambar e cervi pomellati), antilopi (nilgau), gazzelle (chinkara), cinghiali, bufali selvatici e bestiame domestico.

Conservazione

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Un maschio adulto di leone asiatico in cattività.

Nel Parco Nazionale della Foresta di Gir, in India occidentale, vivono circa 650[6][7] leoni in un rifugio di 1412 km² ricoperto da boscaglie e foreste decidue aperte. Si ritiene che nel 1907, quando il Nababbo di Junagadh assicurò loro completa protezione, fossero rimasti solo 13 esemplari. Questa notizia, comunque, è piuttosto controversa, dal momento che durante il primo censimento dei leoni di Gir, condotto nel 1936, vennero registrati 234 animali.

Un giovane maschio di leone asiatico.

Fino a circa 150-200 anni fa i leoni asiatici, diffusi in molte regioni dell'India occidentale e centrale, condividevano gran parte del loro areale con le tigri del Bengala e i leopardi indiani, oltre che con i ghepardi asiatici, oggi scomparsi dall'India. Tuttavia, i ghepardi asiatici prediligevano le praterie aperte, mentre i leoni asiatici preferivano le foreste aperte miste a distese erbose, aree che offrono dimora anche a tigri e leopardi. È probabile che un tempo le tigri del Bengala e i leoni asiatici fossero in competizione sia per le prede che per il territorio.

In India questi grandi felini persero gran parte delle giungle aperte e delle praterie in cui dimoravano a causa dell'incremento della popolazione umana, che convertì quasi completamente le pianure in terreni agricoli. Inoltre, divennero bersaglio sia dei cacciatori locali che dei coloni britannici.

Ancora oggi i leoni vengono talvolta avvelenati per aver attaccato il bestiame[21]. Tra le altre minacce alla loro sopravvivenza ricordiamo inondazioni, incendi ed epidemie. Il loro areale ristretto, infatti, li rende particolarmente vulnerabili.

Nell'area del parco sono stati scavati dagli agricoltori tra i 15.000 e i 20.000 pozzi aperti, utilizzati per l'irrigazione; essi, però, costituiscono anche delle trappole che hanno già portato a morte molti leoni per annegamento. Per contrastare il problema è stata suggerita la costruzione di muretti attorno a tali pozzi, nonché l'utilizzo di pozzi coperti scavati con delle trivelle.

Gli agricoltori che vivono ai confini della Foresta di Gir utilizzano frequentemente rudimentali e illegali recinzioni elettrificate alimentate dalle linee aeree ad alta tensione. Il loro scopo principale è quello di proteggere i raccolti dalle incursioni dei nilgau, ma uccidono anche leoni e altri animali selvatici.

Al declino dell'area della Foresta di Gir ha contribuito anche la presenza dei pastori nomadi conosciuti come Maldhari. Le loro comunità sono vegetariane e non praticano il bracconaggio, ma ogni famiglia possiede in media 50 bovini (le cosiddette «vacche di Gir») che arrecano notevoli danni di sovrapascolo[21]. La distruzione dell'habitat ad opera dei bovini e degli incendi boschivi appiccati per esigenze umane riducono il numero delle prede naturali e minacciano i leoni. Questi ultimi, costretti dalla mancanza di prede naturali, attaccano le mandrie e divengono a loro volta bersaglio degli uomini. Molti Maldhari sono stati trasferiti oltre i confini del parco dalle guardie forestali per garantire ai leoni un ambiente il più naturale possibile e una maggiore disponibilità di prede.

Rischi di inincrocio

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Si dice che l'attuale popolazione selvatica di più di 400 leoni asiatici derivi tutta da soli 13 esemplari, il che la renderebbe molto suscettibile ai rischi derivanti dall'accoppiamento tra consanguinei. Tuttavia, è molto probabile che questa notizia, risalente al 1910, sia stata messa in giro per scoraggiare la caccia ai leoni. La caccia a questi animali, infatti, era un'attività molto popolare tra i coloni britannici e i reali indiani, che sterminarono tutti gli altri leoni dell'India. I dati dell'epoca, invece, indicano che la popolazione di leoni asiatici rimasti si aggirava sulle 100 unità[22]. Molti studi hanno dimostrato che le popolazioni in cui sono frequenti accoppiamenti tra consanguinei possono essere più suscettibili a malattie dovute ad indebolimento del sistema immunitario e a deformazioni negli spermatozoi, che porterebbe all'infertilità. In alcuni vecchi studi genetici lo scienziato Stephen O'Brien sosteneva che «se si applicasse la tecnica dell'impronta genetica sui leoni asiatici si scoprirebbe che gli esemplari attuali sarebbero come gemelli identici... poiché discendono tutti da poco più di una dozzina di esemplari rimasti in vita agli inizi del XX secolo[23]». Ciò renderebbe questi animali particolarmente vulnerabili alle malattie e provocherebbe la deformazione del 70-80% degli spermatozoi - motivo che porterebbe all'infertilità nel caso questi leoni venissero fatti accoppiare tra loro in cattività.

Studi successivi, comunque, hanno suggerito che la bassa variabilità genetica potrebbe essere una caratteristica della popolazione originaria e non il risultato di incroci avvenuti in tempi recenti. Essi hanno mostrato anche che la variabilità negli immunotipi è simile a quella riscontrata nelle popolazioni di tigri e che non vi sono anomalie negli spermatozoi dell'attuale popolazione di leoni asiatici[24][25]. I risultati di questi studi sono stati però messi in questione a causa dell'utilizzo di tecniche RAPD, inadeguate per le ricerche di genetica delle popolazioni[26].

Inquinamento genetico in cattività tra leoni asiatici e africani

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Fino ad anni recenti i leoni asiatici tenuti in cattività negli zoo indiani venivano fatti tranquillamente incrociare con leoni africani confiscati ai circhi, il che ha portato all'inquinamento genetico dei leoni asiatici in cattività. Questo fatto portò alla completa interruzione dei programmi di riproduzione in cattività di questo animale condotti sia dall'European Endangered Species Programme (EEP) europeo che dallo Species Survival Plan (SSP) americano, dal momento che si scoprì che gli animali progenitori, originariamente importati dall'India, erano ibridi derivati dall'accoppiamento tra leoni africani e asiatici. Da allora, l'India ha posto rimedio ai propri errori e adesso consente l'accoppiamento solo tra leoni asiatici puri; in tale modo ha ridato il via al programma europeo per l'accoppiamento in cattività di specie minacciate (EEP) inerente ai leoni asiatici. Tuttavia, l'SPP americano, che aveva completamente interrotto il programma di riproduzione in cattività già dall'inizio degli anni '80, ha di nuovo ricevuto dall'India leoni asiatici di razza pura allo scopo di ricostituire una nuova popolazione progenitrice per le riproduzioni in cattività negli zoo del continente americano[26][27][28][29].

Reintroduzioni in natura

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L'areale attuale del leone asiatico è molto inferiore rispetto a quello del leone africano.

Per oltre un decennio sono stati effettuati dei tentativi per stabilire una seconda popolazione indipendente di leoni asiatici nel Santuario per la Natura di Palpur-Kuno, nello Stato indiano del Madhya Pradesh. I ricercatori dell'Istituto indiano per la Natura hanno infatti confermato che questo Santuario sia la località più promettente per ristabilire una popolazione selvatica di questi felini e i responsabili dell'area protetta hanno dichiarato di essere già pronti ad accogliere il primo stock di leoni[30] proveniente dal Santuario per la Natura di Gir, dove sono divenuti troppo numerosi. Il Santuario di Palpur-Kuno è stato scelto come sito di reintroduzione perché questa località è situata all'interno dell'areale storico dei leoni asiatici, dalla quale scomparvero nel 1873 in seguito alla caccia sconsiderata[30][31]. Tuttavia, lo Stato del Gujarat sta opponendo resistenza alla reintroduzione, dal momento che il Santuario di Gir perderebbe il suo status di unica dimora al mondo dei leoni asiatici. Il Gujarat ha sollevato varie obiezioni alla proposta e tutta la faccenda è ora in mano alla Corte Suprema Indiana. Nel frattempo, i gestori del Santuario di Kuno stanno portando avanti l'idea di rilasciare in natura dei leoni allevati in cattività, dopo averli addestrati alle tecniche di caccia e alle altre tecniche di sopravvivenza.

I leoni asiatici in Europa ed Asia sud-occidentale

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Panthera leo persica in uno schizzo di A. M. Kamarov (1826).

Un tempo anche in Europa si trovavano i leoni. Aristotele ed Erodoto scrissero che erano presenti nei Balcani. Quando il re persiano Serse avanzò attraverso la Macedonia nel 480 a.C. vari cammelli che trasportavano le vettovaglie furono uccisi dai leoni. Si ritiene che questi felini siano scomparsi dai territori dell'attuale Grecia attorno all'80-100 d.C. Nell'arte mitologica greca la figura del leone di Nemea è strettamente associata alle raffigurazioni di Eracle/Ercole.

Taluni studiosi ritengono la popolazione europea di leoni appartenente alla stessa sottospecie del leone asiatico (Panthera leo persica), ma altri la considerano una sottospecie separata, il leone europeo (Panthera leo europaea), o perfino un'ultima popolazione relitta del leone delle caverne (Panthera leo spelaea).

In alcuni reperti di arte scita provenienti dall'Ucraina, risalenti al IV secolo a.C., sono raffigurati molto realisticamente dei cacciatori che danno la caccia ai leoni. I leoni sopravvissero nella regione del Caucaso fino al X secolo. Tale area dette dimora alla loro popolazione più settentrionale ed era l'unico luogo dell'ex Unione Sovietica ad aver ospitato dei leoni in epoca storica. Questi felini scomparvero dall'Armenia attorno all'anno 100 e dall'Azerbaigian e dalla Russia sud-occidentale nel corso del X secolo. Il motivo prevalente della loro scomparsa da queste zone fu la caccia data loro in quanto ritenuti dannosi predatori. Nella regione questi grandi felini davano la caccia a bisonti europei, alci, uri, tarpan, cervi ed altri ungulati.

Una pagina tratta dal Kelileh o Demneh (1429), proveniente da Herat; quest'opera è la traduzione persiana del Panchatantra dell'India antica (raccolta di racconti i cui protagonisti sono gli animali selvatici locali presenti nelle giungle dell'India, tra cui il leone asiatico/indiano) derivata dalla versione arabaKalila wa Dimna. In quest'immagine è raffigurato il manipolatore visir-sciacallo Dimna mentre cerca di convincere il suo re-leone ad entrare in guerra.

I leoni rimasero ancora largamente diffusi fino alla metà del XIX secolo, quando l'avvento delle armi da fuoco li fece scomparire da vaste aree. In Iran l'ultimo avvistamento di un leone asiatico in vita risale al 1941 (in un'area tra Shiraz e Jahrom, nella Provincia di Fars). Nel 1944 venne ritrovato il corpo senza vita di una leonessa sulle rive del fiume Karun, nella Provincia di Khuzestan. Da allora non vi sono più state testimonianze attendibili sulla sopravvivenza del leone in Iran[32]. In Turchia, invece, il leone scomparve alla fine del XIX secolo[33][34].

Il leone berbero

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Lo stesso argomento in dettaglio: Panthera leo leo.

Nel 1968 uno studio basato sul confronto tra i crani degli estinti leoni berberi (del Nordafrica) e del Capo con quelli di leoni asiatici e africani mostrò che quelli berberi e asiatici presentavano una stessa caratteristica - una barra orbitale molto sottile. Tale aspetto dimostra una stretta parentela tra i leoni delle regioni più settentrionali dell'Africa e quelli dell'Asia. Si ritiene che i leoni europei delle regioni meridionali del continente europeo, scomparsi attorno all'80-100 a.C., potrebbero aver rappresentato un anello di congiunzione tra i leoni nordafricani e quelli asiatici. Inoltre gli studiosi sostengono che i leoni berberi possedessero la stessa piega ventrale (nascosta sotto la criniera) presente nei leoni asiatici odierni.

Il leone asiatico nella mitologia e nell'arte

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La dea indù Durgā, una delle varie forme di Parvati, ha un leone asiatico come suo vahana (cavalcatura divina).
  • Il simbolo del leone è strettamente connesso con i popoli persiani. È risaputo che sui troni e sugli indumenti dei re achemenidi fossero presenti delle raffigurazioni di leoni. Lo Shir-va-Khorshid, o Leone e Sole, è uno dei più importanti simboli dell'Iran. Risale alla dinastia safavide e comparve sulla bandiera dell'Iran fino al 1979.
  • Molto presente su numerose bandiere e stemmi di Asia ed Europa, il leone asiatico compare anche sull'emblema nazionale dell'India.
  • Narasiṃha («uomo-leone», detto anche Narasingh o Narasinga) viene descritto come un'incarnazione (avatara) di Visnù nei testi puranici dell'induismo ed è venerato come «Dio Leone»; nei tempi antichi, quindi, quando i leoni indiani o asiatici erano comuni in gran parte dell'India, venivano considerati sacri da tutti gli indù.
  • I Singalesi sono il più importante gruppo etnico dello Sri Lanka. Il nome Sinhala significa «popolo di leoni» e si riferisce ai miti legati all'origine del leggendario progenitore del popolo singalese 2500 anni fa, il Principe Vijaya.
  • Singh è un cognome molto comune tra i Sikh e gli Indù e significa «leone»; risale ad oltre 2000 fa, ai tempi dell'antica India. Deriva dal termine sanscrito «simha», che vuol dire «leone». Originariamente veniva utilizzato solamente dai Rajput, una kshatriya (o casta militare) indù, presente in India già nel VII secolo. Dopo la nascita dell'organizzazione dei Khalsa nel 1699, i Sikh adottarono il nome «Singh» in onore di Guru Gobind Singh. Oggi, oltre che tra milioni di Rajput indù, questo cognome è presente anche tra una decina di milioni di Sikh di tutto il mondo[35][36].
  • Singhāsana (letteralmente «sedia del leone») è il tradizionale nome sanscrito con cui veniva chiamato il trono dei re indù fin dall'antichità.
  • La nazione insulare di Singapore (Singapura) deve il nome alle parole malesi singa («leone») e pura («città»), a loro volta derivate dal sanscrito siṃha (सिंह) e pura (पुर)[37][38]. Secondo gli annali malesi, questo nome venne scelto da un principe malese di Sumatra del XIV secolo chiamato Sang Nila Utama, il quale, giunto sull'isola dopo un temporale, avvistò sulla costa un animale di buon auspicio che il suo ministro più importante identificò come un leone[39]. Recenti studi effettuati a Singapore, però, hanno indicato che sull'isola non vi sono mai stati dei leoni ed è quindi probabile che l'animale visto da Sang Nila Utama sia stato più propriamente una tigre.
  • Il leone asiatico compare più volte nella Bibbia; il più famoso di essi è quello che combatte contro Sansone nel Libro dei Giudici.
  • Il leone asiatico è l'animale che ha ispirato la cosiddetta danza del leone, parte importante delle celebrazioni tradizionali per il capodanno cinese e di altri Paesi asiatici.
Questo capitello romanico del XIII secolo raffigura Sansone e il leone.
  • In Cina sono molto diffusi i cosiddetti «leoni guardiani». I leoni non sono originari della Cina ma vivevano in regioni situate ai suoi confini, come l'India e il Tibet occidentale. I leoni[40] raffigurati nei templi indiani sono stati il modello di quelli presenti nell'arte cinese. In passato si riteneva che i monaci buddisti, o forse dei mercanti, avessero riportato in Cina la descrizione di questi leoni scolpiti posti all'ingresso dei templi. In seguito gli scultori cinesi utilizzarono tali descrizioni per realizzare i cosiddetti «Leoni Fo» («Fo», 佛, è il termine cinese per Buddha), modellando raffigurazioni di cani del luogo (probabilmente mastini tibetani) e aggiungendogli un'ispida criniera. Le più antiche raffigurazioni di questi «Leoni Fo» nell'arte religiosa cinese risalgono al 208 a.C.
Un dirham (moneta persiana) di Cosroe II proveniente da Sivas (638 d.C.).
  • Il leone delle nevi tibetano (in tibetano གངས་སེང་གེ་, traslitterato in Wylie come gangs seng ge) è un animale mitologico del Tibet. Simboleggia la mancanza di paura, l'allegria, il quadrante orientale e l'elemento della Terra. Si diceva che questo animale vivesse sulle montagne e viene comunemente raffigurato bianco con la criniera turchese. Due leoni delle nevi compaiono sulla bandiera del Tibet.
  • Un dakini dalla faccia di leone compare sia nell'induismo che nel buddhismo tibetano. Questa divinità indù è nota come «Narasimha» e la forma del buddhismo tibetano è detta «Simhamuka» in sanscrito e Senge Dongma (in Wylie seng ge gdong ma) in tibetano[41].
  • Il leone asiatico è apparso nel remake del 2010 del film del 1925 Il mondo perduto.
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