Questione socratica

Testa di Socrate, scultura di epoca romana conservata al Museo del Louvre. Socrate fu il primo filosofo a essere ritratto. Tutte le altre immagini dei filosofi presocratici sono opere di fantasia.[1]

La questione socratica è un dibattito critico che riguarda l'interpretazione autentica del pensiero di Socrate.

Il filosofo ateniese, infatti, aveva deciso di non scrivere nulla della sua dottrina, convinto che non sia possibile dare risposte definitive al sapere, ma che questo sia sempre connesso a una ricerca incessante da condurre attraverso il dialogo con vari interlocutori.[2] Socrate pensava che la parola scritta fosse come il bronzo che, percosso, dà sempre lo stesso suono: un testo scritto non risponde alle domande e alle obiezioni dell'interlocutore, ma interrogato dà sempre la stessa risposta. Per questo, probabilmente, i dialoghi tra Socrate e i suoi discepoli apparivano spesso "inconcludenti", non nel senso che girassero a vuoto, ma piuttosto che non "chiudevano" la discussione, proprio perché la conclusione rimane sempre aperta, pronta a essere rimessa nuovamente in discussione tramite domande e obiezioni.

Un'eco del motivo per cui Socrate non scrisse nulla si può trovare nel Fedro di Platone, nelle parole che il re egiziano Thamus rivolge a Theuth, inventore della scrittura:

«Tu offri ai discenti l'apparenza, non la verità della sapienza; perché quand'essi, mercé tua, avranno letto tante cose senza nessun insegnamento, si crederanno in possesso di molte cognizioni, pur essendo fondamentalmente rimasti ignoranti e saranno insopportabili agli altri perché avranno non la sapienza, ma la presunzione della sapienza[3]

Il problema delle fonti

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La problematicità di quale sia il "vero" Socrate nasce in particolare dal fatto che, nonostante vi siano numerose e dettagliate testimonianze, sia coeve che successive alla sua morte, queste non concordano cosicché, a seconda di quale si privilegi, appare un personaggio molto diverso.[4]

Senofonte e Platone

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Friedrich Schleiermacher

La questione socratica viene trattata per la prima volta nel 1818 in uno scritto del filosofo tedesco Friedrich Schleiermacher che evidenziò la contraddizione tra la figura di Socrate riportata da Senofonte e quella rappresentata da Platone:

«Che cosa può essere stato Socrate, al di là di ciò che racconta Senofonte, senza tuttavia contraddire i tratti del carattere e i dati della vita che Senofonte rappresenta come socratici? Che cosa deve esser stato per aver dato a Platone l'occasione e il diritto di rappresentarlo come egli fa nei suoi dialoghi?[5]»

Da questo momento gli storici della filosofia hanno identificato un metodo per stabilire la figura autentica di Socrate:

  • confrontare le fonti alla ricerca di quelle testimonianze che appaiano convergenti;
  • inserire storicamente Socrate nell'Atene del suo tempo per evidenziare le differenze tra la cultura ateniese prima di Socrate e dopo Socrate e setacciarle per far emergere quelli che sono stati i reali contributi di Socrate.

Si potrebbe ricavare, quindi, il pensiero di Socrate dalle opere dei suoi discepoli, tra cui spicca soprattutto Platone che fu per lungo tempo uno di essi e che condivise, negli scritti giovanili, il pensiero del maestro, a tal punto che risulta difficile distinguere il pensiero socratico da quello platonico, che acquisì poi una maggiore originalità solo nella maturità e nella vecchiaia[6].

Un'altra fonte della vita e della filosofia socratica è rappresentata dalle opere cosiddette socratiche Apologia di Socrate (Aπολογία Σωκράτους), Simposio (Συμπόσιον), Detti memorabili di Socrate (Άπομνευμονεύματα Σωκράτους) dello storico Senofonte, discepolo di Socrate che la storiografia ottocentesca ha apprezzato per le notizie sulla vita del maestro mentre quella novecentesca le ha considerate di scarso interesse soprattutto se confrontate alle opere platoniche.[7] Dalle opere di Senofonte dedicate al maestro l'immagine di Socrate che complessivamente emerge sarebbe quella di un uomo virtuoso e morigerato, cittadino modello, timorato degli dei, instancabile nel predicare la virtù e nell'esortare i giovani all'obbedienza verso i genitori e alle leggi dello Stato[8].

«La critica più recente guarda tuttavia con maggiore equilibrio agli scritti senofontei, riconoscendogli chiarezza e coerenza; la figura di Socrate che se ne ricava spicca per il carattere morale e una certa forma di ascetismo. Molto spazio viene dedicato all'intellettualismo socratico e alle nozioni di bene e di virtù, nonché alla dialettica del maestro...[9]»

Del tutto scettico che si possa delineare il Socrate storico è il critico Olof Gigon (1912-1988) il quale sostiene che i discepoli di Socrate non hanno analizzato documenti storici ma ci hanno riportato un personaggio ormai entrato nel mito:

«Ciò che possiamo conoscere non è il Socrate come personalità storica a capo di una schiera di discepoli, ma il Socrate come figura centrale di una poesia filosofica[10]

Un'altra testimonianza la troviamo ne Le nuvole, commedia di Aristofane dove Socrate viene rappresentato come veniva visto da alcuni ad Atene e cioè come un pedante seccatore perso nelle sue discussioni astratte e campate in aria. Aristofane infatti mostra Socrate dentro una cesta che cala dalle nuvole mentre è tutto intento a delle ricerche strambe e ridicole, come calcolare quanto è lungo il salto della pulce, o quale sia l'origine del ronzio delle zanzare. Secondo alcuni critici, tra cui Olof Gigon, Aristofane vuole evidentemente fare una caricatura di queste ricerche naturalistiche che egli impropriamente attribuisce a Socrate, e anche avvertire che chi si dedica allo studio della natura in genere è un ateo, che rigetta la religione tradizionale ridicolmente sostituita dal culto delle Nuvole.[11]

A fare quasi da mediatore tra Platone e Senofonte è stata avanzata l'interpretazione che di Socrate dà Aristotele che però non ebbe una conoscenza diretta di Socrate. Tuttavia la fonte aristotelica in passato fu molto apprezzata[12] per la conoscenza della vita e del pensiero socratico. La testimonianza aristotelica è stata però in seguito rifiutata[13][14] in base al principio metodologico dichiarato da Taylor in base al quale:

«Per ogni serio intendimento dobbiamo quasi interamente basarci su ciò che di Socrate ci vien detto da persone che potevano parlare per propria conoscenza diretta[15]»

Aristotele inoltre sull'interpretazione del pensiero socratico risulta poco attendibile poiché egli tende a esporre il pensiero dei filosofi precedenti interpretandolo secondo il suo personale punto di vista, operando distorsioni e fraintendimenti sui concetti originali. Aristotele infatti, presenta la dottrina socratica come incentrata, in un primo tentativo fallito, nell'individuare la definizione del concetto. A questo, secondo Aristotele, mirava la ricerca che si esprimeva nel continuo interrogare (ti estì, "che cos'è?") che Socrate effettuava nel dialogo: a ottenere, cioè, la definizione precisa della cosa di cui si stava parlando.

In particolare, Aristotele attribuiva a Socrate la scoperta del metodo della definizione e induzione, che lo Stagirita considerava costituisse l'essenza del metodo scientifico. Aristotele affermava pure che tale metodo non fosse adatto all'etica mentre Socrate lo avrebbe erroneamente applicato all'esame dei concetti morali fondamentali:

«D'altra parte, Socrate si occupava di questioni etiche, e non della natura nella sua totalità, ma nell'ambito di quelle ricercava l'universale, avendo per primo fissato la sua attenzione sulle definizioni. (...) Socrate si occupò delle virtù e per primo cercò di dare di esse definizioni universali. Fra i filosofi naturalisti solamente Democrito toccò questo punto, e in scarsa misura, e diede in certo qual modo, una definizione del caldo e del freddo. I Pitagorici, in precedenza, avevano cercato di dare definizioni di alcune poche cose, riducendo le nozioni di queste a determinati numeri: per esempio cercando di definire che cos'è il conveniente, il giusto, l'unione. Socrate, invece, cercava l'essenza delle cose e a buona ragione: infatti egli cercava di seguire il procedimento sillogistico, e il principio dei sillogismi è appunto l'essenza. La dialettica, infatti, allora non era ancora forte al punto di essere in grado di procedere all'esame dei contrari indipendentemente dall'essenza, e di stabilire se una stessa scienza tratti dei contrari. In effetti due sono le scoperte che si possono a giusta ragione attribuire a Socrate: i ragionamenti induttivi e la definizione universale: scoperte, queste, che costituiscono la base della scienza[16]

Socrate inventa il concetto di anima

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Un aspetto del pensiero socratico su cui la critica filosofica si è divisa è la scoperta del concetto di anima.

Secondo le interpretazioni di John Burnet (1863-1928), Alfred Edward Taylor (1869-1945), Werner Jaeger (1888-1961)[17], Socrate fu di fatto il primo filosofo occidentale a porre in risalto il carattere personale dell'anima umana:

«Socrate, per quanto si sappia, creò la concezione dell'anima che da allora ha sempre dominato il pensiero europeo[18]

È solo con Socrate, e col suo discepolo Platone, che sarà utilizzato il termine psyché (anima) per designare il mondo interiore dell'uomo, a cui viene ora assegnata piena dignità.[19]

«Il concetto di psiche inventato da Socrate e codificato da Platone è centrale a questo proposito: Socrate diceva che il compito dell'uomo è la cura dell'anima: la psicoterapia, potremmo dire. Che poi oggi l'anima venga interpretata in un altro senso, questo è relativamente importante. Socrate per esempio non si pronunciava sull'immortalità dell'anima, perché non aveva ancora gli elementi per farlo, elementi che solo con Platone emergeranno. Ma, nonostante più di duemila anni, ancora oggi si pensa che l'essenza dell'uomo sia la psyche. Molti, sbagliando, ritengono che il concetto di anima sia una creazione cristiana: è sbagliatissimo. Per certi aspetti il concetto di anima e di immortalità dell'anima è contrario alla dottrina cristiana, che parla invece di risurrezione dei corpi. Che poi i primi pensatori della Patristica abbiano utilizzato categorie filosofiche greche, e che quindi l'apparato concettuale del cristianesimo sia in parte ellenizzante, non deve far dimenticare che il concetto di psyche è una grandiosa creazione dei greci. L'Occidente viene da qui[20]»

Sebbene la tradizione orfica e pitagorica avessero già identificato l'uomo con la sua anima, in Socrate questa parola risuona in forma del tutto nuova e si carica di significati antropologici ed etici:

«Labbro greco non aveva mai, prima di lui, pronunziato così questa parola. Si ha il sentore di qualcosa che ci è noto per altra via: e il vero è che, qui per la prima volta nel mondo della civiltà occidentale, ci si presenta quello che ancora oggi talvolta chiamiamo con la stessa parola [...] La parola "anima", per noi, in grazia delle correnti per cui è passata la storia, suona sempre con un accento etico o religioso; come altre parole; "servizio di Dio" e "cura di anime", essa suona cristiana. Ma questo alto significato, essa lo ha preso nella predicazione protrettica di Socrate[21]

«Tu, ottimo uomo, poiché sei ateniese, cittadino della Polis più grande e più famosa per sapienza e potenza, non ti vergogni di occuparti delle ricchezze, per guadagnarne il più possibile, e della fama e dell'onore, e invece non ti occupi e non ti dai pensiero della saggezza, della verità, e della tua anima, perché diventi il più possibile buona?[22]»

Non solo Platone poi in diversi passi dei suoi dialoghi, ma anche la cosiddetta tradizione "indiretta" testimoniano come Socrate, al contrario dei sofisti, riconducesse la cura dell'anima alla conoscenza dell'intima natura umana[23].

Altri argomenti decisivi a sostegno di questa tesi sarebbe poi il principio metodologico secondo il quale:

«È da notare che troviamo questa concezione dell'anima, come sede dell'intelligenza normale e del carattere, diffusa nella letteratura della generazione immediatamente posteriore alla morte di Socrate; essa è comune a Isocrate, Platone, Senofonte; non può quindi essere la scoperta di nessuno di loro. Ma è del tutto o quasi assente dalla letteratura delle epoche precedenti. Deve perciò avere avuto origine con qualche contemporaneo di Socrate, ma non conosciamo nessun pensatore contemporaneo al quale essa possa essere attribuita all'infuori di Socrate, il quale nelle pagine sia di Platone sia di Senofonte la professa costantemente.[24]»

In Socrate anima "immortale"?

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Sino a Socrate l'anima veniva assimilata a un'immagine evanescente del corpo:

«Il termine greco che designa l'anima (psyche) indica in origine più genericamente la vita. Quando l'anima «se ne va», «se ne va» la vita; la morte è dunque un fuggire della vita o dell'anima. Si può parlare di una sopravvivenza dell'anima in qualche forma, proprio perché l'anima «se ne va», ma si tratta comunque di una sopravvivenza in forma diminuita; l'anima del defunto è solo un'immagine (èidolon) sbiadita, che ha perso il suo vigore vitale, cioè, in generale, le facoltà nelle quali consiste propriamente il vivere, dalla volontà alla coscienza[25]

Con la scoperta di Socrate, secondo gli autori citati, avviene un mutamento di prospettiva:

«La scoperta comportava qualcosa di più della semplice semantica del vocabolo psyché. Anche i pronomi greci, quelli personali e i riflessivi, cominciarono a trovarsi situati in nuovi contesti sintattici, ad essere usati per esempio come oggetti di verbi conoscere, o posti in antitesi col "corpo" o col "cadavere" in cui si riteneva che l'ego abitasse. Ci troviamo qui di fronte a un mutamento nella lingua greca [...] parte di una più ampia rivoluzione intellettuale che investì l'intero orizzonte dell'esperienza culturale della Grecia.[26]»

Che la concezione dell'anima immortale sia da riferirsi esclusivamente a Platone e non a Socrate è stato contestato anche da chi ha documentato come i riferimenti nei dialoghi, specie nel Fedro e nel Timeo, indicano come l'anima cui si riferisce Socrate non si possa ridurre ad una semplice sintesi di anima e corpo, bensì da concepire in opposizione dualistica con quest'ultimo.

«Dunque il corpo è coinvolto sì nel dialèghestai [nel discutere], ma che sia il soggetto di esso è solo ciò che appare a prima vista[27]

Secondo il Fedone di Platone, inoltre, Socrate afferma che solo con la morte egli potrà raggiungere la piena autenticità del proprio essere, prescindendo quindi dal corpo e sottintendendo l'immortalità dell'anima,[28] e così anche nell'Alcibiade Maggiore egli intesse un dialogo volto a distinguere nettamente l'anima dal corpo:

«Socrate: L'uomo non si serve di tutto il corpo?
Alcibiade: Senz'altro.
Socrate: Ma, a questo eravamo pervenuti, chi si serve di qualcosa è diverso da questa cosa di cui si serve.
Alcibiade: Sì.
Socrate: Allora l'uomo è diverso dal suo corpo?
Alcibiade: È chiaro.
Socrate: Che cos'è dunque l'uomo?
Alcibiade: Non saprei risponderti.
Socrate: Questo però lo sai, è colui che si serve del suo corpo.
Alcibiade: Sì.
Socrate: E chi altri, se non l'anima, si serve del corpo?
Alcibiade: Nient'altro.[29]

Appare evidente come Platone qui riproduca quel dialogare di Socrate «quel reinterrogare senza posa, con tutte le impennate di dubbio, con gli improvvisi squarci che maieuticamente tendono alla verità, non rivelandola ma sollecitando l'anima dell'ascoltatore a trovarla [...]» di modo che «in lui solo è riconoscibile l'autentica cifra del filosofare socratico»[30]»

Al di là del fatto quindi che la paternità dell'Alcibiade Maggiore possa essere attribuita o meno a Platone per via di alcune somiglianze con l'opera di Senofonte e Aristotele,[31] esso rimane comunque una valida testimonianza su Socrate.[32] Sulla stessa linea l'interpretazione di Giovanni Reale:

«Ma posto anche che si negasse l'autenticità dell'Alcibiade Maggiore (ma io sono ben lungi dall'essere di questo parere), rimane il fatto che il Fedone dice le stesse cose, sia pure con altro linguaggio, ossia che il vero uomo è la sua anima[33]

Anche l'Apologia di Socrate è, secondo Giovanni Reale, la testimonianza più attendibile in favore della tesi che vede Socrate come lo scopritore del concetto occidentale di anima:

«Per sostenere questa tesi basterebbe il documento della sola Apologia di Socrate. E che l'Apologia sia non una invenzione di Platone, ma un documento con precisi fondamenti storici è facilmente dimostrabile.[...] Il messaggio che nell'Apologia viene presentato come specifico messaggio filosofico di Socrate è, appunto, quello del nuovo concetto di anima con la connessa esortazione alla «cura dell'anima».[34]»

Infatti se si raffrontano la filosofia antica greca prima e dopo Socrate si evidenzia l'interesse rivolto nella Apologia alla dimensione interiore della persona, mentre prima la ricerca filosofica era rivolta esclusivamente allo studio della natura e a stabilire i principi primi del cosmo (archè)[35] Non tutti però concordano sull'impronta socratica prevalente nell'Apologia: secondo Mario Montuori si tratterebbe di un

«...falso di Platone che, alterando profondamente il carattere reale della personalità di socratica, ci presenta l'immagine letteraria e fittizia di un Socrate eusebés particolarmente devoto ad Apollo, che con il Socrate accusato, procesato e condannato, non ha più nulla a che fare[36]»

Per quanto riguarda il "Fedone", ultimo dialogo della prima tetralogia di Trasillo, che tratta del contesto in cui si svolge la morte di Socrate, lo studio stilistico dell'opera, più narrativa che dialogica, pur motivando alcuni studiosi ad assegnare l'opera al periodo della maturità della filosofia platonica[37] anziché a quello giovanile come sostenuto da altri,[38] avvalora, se non la dottrina, l'autenticità delle vicende relative alla vita di Socrate.[39]

Oltre alla dottrina delle idee e alla concezione della natura, infatti, un importante argomento di cui tratta il Fedone è, come dice lo stesso Platone, «il discorso di Socrate intorno all'anima».[40] Secondo alcuni interpreti:

«Certamente la struttura dialettica delle argomentazioni svolte a livelli diversi, di crescente profondità, e la teoria delle idee appartengono a Platone, che era sui quarant'anni quando scrisse il Fedone, e non a Socrate; tuttavia il messaggio della vita e della morte di Socrate, così come questo dialogo lo affida a noi, è, per quanto riguarda l'orientamento di fondo, un documento di genuino valore storico, a meno che non si voglia supporre Platone stesso capace di una conscia e deliberata falsificazione, riconoscibile come tale dalle persone che egli cita come fonti del suo racconto.[41]»

Platone e non Socrate l'autore del concetto di anima

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Tra i primi a contestare questa interpretazione del pensiero socratico è Guido Calogero che recensendo la monografia di Taylor a proposito di Socrate come scopritore dell'idea occidentale di anima, osserva:

«L'audacia di questa ricostruzione, che non si basa su alcuna testimonianza positiva, ma solo sulla mancanza di strumenti di transizione tra gli antichi concetti naturalistici dell'anima e la concezione etica che ne presuppone il platonismo è anche più forte di quella che conduce ad ascrivere a Socrate la teoria platonica delle idee[42]

Concordemente anche Gabriele Giannantoni ha messo in discussione la cosiddetta interpretazione "evolutiva" della filosofia platonica, che è piuttosto antiquata e messa già in crisi dal nuovo paradigma interpretativo della scuola di Tubinga,[43] cioè l'idea che nel suo lungo itinerario filosofico Platone avesse sviluppato e mutato, anche profondamente, il suo pensiero, passando gradatamente da una fase giovanile di preponderante impegno apologetico nei confronti di Socrate, di difesa della sua memoria e di riflessione appassionata sulla sua eredità filosofica, a una fase di progressivo distacco dal maestro (la fase della cosiddetta "crisi del socratismo"), fino alla conquista della sua piena maturità e originalità, caratterizzata dalla dottrina delle idee, dalla dottrina della natura e del destino dell'anima umana e dalla costruzione del suo grande edificio filosofico ed etico-politico».[44]

Occorrerebbe cioè constatare che

«...il riconoscimento nell'attività di Platone, di una fase letteraria giovanile, alla quale venivano fatti risalire quei dialoghi (Ippia minore, Liside, Carmide, Lachete, Protagora, Eutifrone, Apologia e Critone) nei quali manca ogni riferimento alla dottrina delle idee, qualsiasi indagine di filosofia della natura e di antropologia, non compare la dottrina dell'immortalità dell'anima e ci si limita a indagini morali, considerate tradizionalmente più proprie del Socrate storico[44]

Un altro tema dibattuto nella questione socratica è il valore che Socrate, che accetta l'ingiusta condanna, riconosce alle leggi.

La morte di Socrate: "un sonno senza sogni"

Come racconta Platone nel dialogo del Critone, Socrate, pur sapendo di essere stato condannato ingiustamente, una volta in carcere rifiutò le proposte di fuga dei suoi discepoli, che avevano organizzato la sua evasione corrompendo i carcerieri.

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Platone introduce quindi per mezzo delle parole di Socrate una prosopopea delle leggi. Le Leggi di Atene, quasi come fossero delle persone fisiche, sicuramente lo criticherebbero e lo accuserebbero se egli cercasse di sfuggire alla sua pena, in quanto esse sono state come dei genitori per lui, hanno garantito alla sua vita un sistema di controllo cui affidarsi nelle questioni civili; trasgredirle significherebbe quasi ricusare l'ordine che la sua vita ha avuto. L'ingiustizia era considerata causa di danno per l'animo, la parte umana di cui più dovremmo curarci. Inoltre, secondo Socrate è bene che le leggi terrene possano introdurlo come più si conviene alle loro sorelle dell'aldilà, che comunque andranno affrontate.

Secondo l'interpretazione di Giannantoni è errato ritenere che il comportamento di Socrate vada inteso come l'assenso a un principio di legalità, a un obbedire alle leggi sempre e comunque. Socrate invece ci spiega che, se è pur vero che le leggi che egli a suo tempo dialogando con loro aveva esaminato ritenendole giuste - e per questo egli è vissuto sempre ad Atene -ora, per il fatto che erano divenute ingiuste verso di lui, non sarebbe stato comunque moralmente corretto infrangerle con la fuga. Egli obbedirà alle leggi per non danneggiare gli ateniesi[45] che, avendolo condannato, continuano a credere di averlo fatto secondo giustizia. Il rispetto della legge, insegna Socrate, non è subordinato al nostro interesse particolare: essa va rispettata anche quando la si ritiene ingiusta, ma, nel contempo, è nostro dovere fare di tutto per modificarla col consenso degli altri[46]. Poiché allora il solo criterio per stabilire ciò che è giusto e ciò che non lo è, non essendoci una Giustizia a cui sempre obbedire, è quello di confrontarsi con gli altri con il dialogo.[47]

C'era infatti un solo modo di fuggire alla condanna: convincere gli ateniesi dialogando con loro ma ormai, dice Socrate, me ne manca il tempo.[48]. Come già aveva detto al processo: «E però, come vi dicevo fin da principio, sarebbe davvero un miracolo se io fossi capace di levarvi dal cuore in così breve tempo questa calunnia che vi ha messo radici così fitte e profonde.»[49]) Aggiunge poi Socrate:

«Io sono persuaso di non aver fatto mai, volontariamente, ingiuria a nessuno; soltanto, non riesco a persuaderne voi: troppo poco tempo abbiamo potuto conversare insieme. [...] Ecco la cosa più difficile di tutte a persuaderne alcuni di voi. Perché se io vi dico che questo significa disobbedire al daimon, e che perciò non è possibile io viva quieto, voi non mi credete e dite che io parlo per ironia; se poi vi dico che proprio questo è per l'uomo il bene maggiore, ragionare ogni giorno della virtù e degli altri argomenti sui quali m'avete udito disputare e far ricerche su me stesso e su gli altri, e che una vita che non faccia di cotali ricerche non è degna d'esser vissuta: s'io vi dico questo, mi credete anche meno. Eppure la cosa è così com'io vi dico, o cittadini; ma persuadervene non è facile. E d'altra parte io non mi sono assuefatto a giudicare me stesso meritevole di nessun male[50]

L'osservanza incondizionata della legge

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Secondo una diversa interpretazione, che fa capo a Giovanni Reale, Socrate non considerava ingiuste le Leggi della polis, ma unicamente il comportamento degli uomini. Immaginando di dialogare con le Leggi, Socrate fa dire loro: «Ora dunque tu te ne andrai all'Ade ingiustamente condannato non da noi Leggi, ma dagli uomini»[51]. Socrate considera le Leggi delle entità vive, non impersonali, da rispettare in ogni caso, perché da esse, in fondo, egli ha ricevuto la vita: «E poiché sei venuto al mondo, sei stato allevato ed educato, come puoi dire di non essere, prima di tutto, creatura nostra, in tutto obbligato a noi, tu e i tuoi avi?»[52]. Secondo Socrate quindi, la Giustizia va seguita sempre e comunque, (almeno secondo la testimonianza di Platone) anche se da ciò derivasse un male per noi.

Rivolto a Critone inoltre afferma:

«Non dobbiamo curarci tanto di quel che dirà la gente, ma del parere di chi si intende di giustizia e di ingiustizia, di colui che è la verità stessa. Tu non fai dunque un ragionamento corretto quando affermi che dobbiamo preoccuparci del parere della gente su ciò che è bello o buono e viceversa. È vero che qualcuno potrebbe obiettare che la gente può anche farci morire... Importante non è vivere, ma vivere rettamente[53]

Perché dunque, pur sapendo di aver ricevuto ingiustizia, Socrate accetta la condanna a morte? Occorre a questo punto ricordare come Socrate nelle sue scelte si lasciasse guidare da un demone, ossia da una voce divina: come dice Emanuele Severino,

«in effetti è, questa, la voce della fede, secondo cui è necessario si regoli chi non possiede la verità: altrimenti (se cioè non esistesse un criterio in base al quale decidersi in un senso o nell'altro) non potremmo più vivere. Il contenuto di questa fede socratica è attinto soprattutto da quei primi filosofi, di cui Socrate pur avvertiva la grandezza: un governo divino del mondo da cui l'uomo deve lasciarsi guidare. Per Socrate questo governo si esprime nelle stesse leggi della sua città, per non violare le quali egli rifiuta la proposta di fuggire dal carcere, fattagli dall'amico Critone. In questa fede è quindi presente anche l'accettazione della società in cui Socrate vive[54]

  1. ^ Ubaldo Nicola, Antologia di filosofia. Atlante illustrato del pensiero, Giunti Editore, 2002, p.465
  2. ^ La vita e la "questione socratica": Socrate e le scuole socratiche - StudiaFacile | Sapere.it, su sapere.it. URL consultato il 1º maggio 2022.
  3. ^ Platone. "Fedro", trad. it. di C. Mazzarelli in "Tutti gli scritti" a cura di Giovanni Reale, Milano, 1991.
  4. ^ Il filo di Arianna. Rivista on line per la didattica nelle scuole superiori (ISSN 2036-8458) - La questione socratica, su ariannascuola.eu. URL consultato il 1º maggio 2022.
    «ISSN 2036-8458 (WC · ACNP)»
  5. ^ F.E.D.Schleiermacher, Über den Werth des Sokrates als Philosophen in Sämmtliche Werke, 3 abt., Zur Philosophie, Berlin 1838, pp.287-308
  6. ^ Gabriele Giannantoni, intervento contenuto in Le radici del pensiero filosofico VI puntata: Socrate (Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche)
  7. ^ Senofonte, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
    «Ci rappresentano il filosofo rimpicciolito e immeschinito, per dir così, a immagine e somiglianza di Senofonte.»
  8. ^ Anna Santoni, Introduzione a: Senofonte, Memorabili, a cura di A. Santoni, Milano 1997
  9. ^ Enciclopedia Treccani in Dizionario di filosofia (2009) alla voce "Senofonte"
  10. ^ Olof Gigon, Sokrates, Sein Bild in Dichtung und Geschichte, Berna, A.Francke, 1947, p.16
  11. ^ Olof Gigon, Sokrates, op.cit., p.19
  12. ^ Th.Deman, Le témoigne d'Aristote sur Socrate, Parigi, 1942
  13. ^ Magalhaes-Vilhena, Le problème de Socrate, Parigi 1952, pp.231-302
  14. ^ O.Gigon, Die sokratische Doxographie bei Aristoteles in Museum Helveticum (16), I959 pp.174-212
  15. ^ Alfred Edward Taylor, Socrate, Firenze 1969 p.6
  16. ^ Aristotele, Metafisica, A,6; M,4,178b 17-31, trad. di G. Reale
  17. ^ Werner Jaeger. Paideia II,60 e segg.
  18. ^ A. E. Taylor, Socrate, Firenze 1952, pag. 98
  19. ^ Francesco Sarri, Socrate e la genesi storica dell'idea occidentale di anima, Abete, 1975.
  20. ^ Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, Vita e pensiero, Milano 1975
  21. ^ W. Jaeger, Paideia. La formazione dell'uomo greco, vol. II, Firenze 1967, pagg. 62-3
  22. ^ Apologia di Socrate, traduzione di Giovanni Reale, Rusconi, 1993
  23. ^ F. Sarri, Socrate e la nascita del concetto occidentale di anima, Vita e Pensiero, Milano 1997.
  24. ^ Taylor, Socrate, cit. in F. Sarri, Socrate e la nascita del concetto occidentale di anima, Vita e Pensiero, Milano 1997
  25. ^ Platone, Fedone, traduzione di Manara Valgimigli, a cura di Bruno Centrone, Biblioteca Filosofica Laterza, Bari 2005, p. 8
  26. ^ E. A. Havelock, Cultura orale e civiltà della scrittura, Laterza, Roma-Bari 1973, pp. 161-162
  27. ^ Maurizio Migliori, Linda M. Napolitano Valditara, Arianna Fermani, Interiorità e anima: la psychè in Platone, Vita e Pensiero, 2007 Introduzione, p.XI nota 11, p.XXXI nota 40 , p.XXXIV nota 46.
  28. ^ Fedone, 67 d-e.
  29. ^ Alcibiade Maggiore, 128 e - 130 e.
  30. ^ G. Reale, I problemi del pensiero antico dalle origini a Platone, Milano 1972, p. 347).
  31. ^ La paternità era stata contestata dalla critica ottocecentesca e in particolare da Friedrich Schleiermacher, ma approvata in seguito da diversi interpreti quali M. Croiset, P. Friedlander, M.C. Vink e Francesco Sarri.
  32. ^ F. Sarri, Socrate e la genesi storica dell'idea occidentale di anima, Volume 1, Abete, 1975, p.159 e seguenti.
  33. ^ G. Reale, La concezione dell'anima in Platone, in Interiorità e anima: la psychè in Platone, a cura di Maurizio Migliori, Linda M. Napolitano Valditara e Arianna Fermani, Vita e Pensiero, 2007, p. 222
  34. ^ G. Reale, introduzione a Socrate e la nascita del concetto occidentale di anima, Vita e Pensiero, Milano 1997, p. XVI.
  35. ^ Giovanni Reale, Socrate, Rizzoli, Milano, 2001
  36. ^ Mario Montuori, Socrate. Fisiologia di un mito, Vita e Pensiero, p.217
  37. ^ L. Brandwood, Stylometry and chronology, in The Cambridge Companion to Plato, edited by R. Kraut, Cambridge 1992, p. 109, 115.
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  44. ^ a b G. Giannantoni, Dialogo socratico e nascita della dialettica nella filosofia di Platone, Bibliopolis, Napoli 2005, ibidem
  45. ^ Dicono le Leggi: «Se fuggirai così vergognosamente...facendo male a coloro a cui meno dovresti, cioè a te stesso, agli amici, alla patria»
  46. ^ Dicono infatti le Leggi a Socrate che egli è in difetto perché «non hai cercato di persuaderci se non facciamo bene qualcosa»
  47. ^ G.Giannantoni, Dialogo socratico e nascita della dialettica nella filosofia di Platone, pag.227 e segg.
  48. ^ Cioffi ed altri, I filosofi e le idee, Vol.I, Milano 2006 p.139
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