Sulla virtù

Sulla virtù
Busto di Socrate, Musei Vaticani
AutorePlatone
1ª ed. originaleIV secolo a.C.
Generedialogo
Sottogenerefilosofico
Lingua originalegreco antico
PersonaggiSocrate, un allevatore di cavalli
SerieDialoghi spuri di Platone

Sulla virtù è un brevissimo dialogo pseudoplatonico che tratta il tema dell'insegnabilità della virtù, argomento a sua volta ripreso da vari dialoghi platonici, in particolare il Protagora e soprattutto il Menone, di cui sembra essere una pallida imitazione.[1]

Come altri dialoghi pseudoplatonici, Sulla virtù inizia con una domanda perentoria sull'insegnabilità della virtù – argomento centrale nella riflessione filosofica e morale del V secolo a.C. Per rispondere a questa domanda, Socrate, che discute con un allevatore di cavalli, afferma che, come per diventare medici o architetti bisogna andare a scuola da altri medici o architetti, così per diventare buoni bisogna ricevere lezioni da uomini buoni. Tuttavia, gli uomini del passato riconosciuti buoni, come i politici Tucidide, Temistocle, Aristide e Pericle, non sembrano aver lasciato allievi e nemmeno è possibile ricordare i nomi dei loro maestri (376c-d). Forse gli uomini buoni non vogliono rendere partecipi gli altri della loro virtù?

Gli uomini buoni, continua Socrate, sono anche giusti, e giusti sono coloro che fanno del bene al prossimo: per questo motivo, nessun giusto si rifiuterà di rendere migliore qualcun altro. Eppure, Temistocle educò il figlio ad essere migliore in vari campi, ma fallì per quanto riguarda la virtù, e lo stesso successe ad altri eminenti politici (377a-378b). A questo punto Socrate, attraverso un'analogia con i cavalli e i cani di razza, ipotizza l'esistenza di un'arte in grado di distinguere tra uomini buoni e uomini cattivi: la polis necessita infatti di uomini buoni, ma essi non diventano tali né per naturaeducazione, bensì solo grazie all'ispirazione divina (379a-d).

  1. ^ Platone, Opere complete, a cura di Gabriele Giannantoni, Bari 1984, vol. VIII, p. 95.

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