VVV (rivista)
VVV | |
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Stato | Stati Uniti |
Lingua | inglese, francese |
Periodicità | varia (4 numeri in totale) |
Genere | rivista d'arte |
Fondatore | André Breton |
Fondazione | 1942 |
Chiusura | 1944 |
Direttore | André Breton |
Condirettore | David Hare |
ISSN | 0749-8926 |
VVV è una rivista surrealista, pubblicata a New York in soli quattro fascicoli dal 1942 al 1944. Alcuni numeri sono conservati presso il Metropolitan Museum of Art.[1]
Genesi e contenuti
[modifica | modifica wikitesto]Rifugiatosi a New York dal mese di luglio 1941, André Breton tentò di ricomporre un gruppo surrealista insieme ad altri artisti europei in esilio. Al gruppo si unirono vari artisti americani.
Negli Stati Uniti dal 1940 esisteva già la rivista View, curata dal poeta ed artista Charles Henri Ford e pubblicata fino al 1947, in cui tuttavia il surrealismo costituiva soltanto uno degli argomenti trattati. Le idee del nuovo gruppo surrealista trovarono espressione nel periodico VVV.
In quanto cittadino francese, per la legislazione statunitense Breton non poteva essere l'unico direttore di un periodico. Pertanto assegnò il ruolo di condirettore al pittore David Hare; nel comitato di redazione entrarono a far parte Marcel Duchamp e Max Ernst.[2]
La rivista nacque sul modello del Minotaure, il maggiore periodico surrealista. Se pure non fu possibile eguagliarne lo sfarzo a causa del periodo bellico, venne mantenuta la consuetudine di rendere speciali le copertine attraverso la commissione di opere destinate allo scopo.[3]
Le tre "V" del titolo stavano per Victory (Vittoria), View (Vista) e Veil (Velo), parole con le quali André Breton faceva riferimento alla "vittoria sulle forze della regressione, la vista intorno a noi e dentro di noi, il mito nel processo di formazione sotto il velo di ciò che accade".[4]
Ogni uscita era dedicata alla poesia, alle arti plastiche, all'antropologia, alla sociologia ed alla psicologia, come dichiarato nel sottotitolo Poetry, Plastic Arts, Anthropology, Sociology, Psychology.[2]
La rivista era sperimentale sia per il formato di stampa, sia per il contenuto. Conteneva pagine ripiegate, fogli di formati differenti e carta grezza, oltre a caratteri tipografici marcati e colori accesi.
Su VVV Breton pubblicò fra l'altro i Prolégomènes à un troisième Manifeste du surréalisme ou non ("Prolegomeni ad un terzo Manifesto del surrealismo o meno").[5]
Alcuni critici, fra i quali Yve-Alain Bois,[6] considerarono VVV la risposta di Breton alle idee espresse da Paalen sulla rivista DYN, sostenendo la tesi di un dialogo sotterraneo fra i due periodici.[7]
Collaboratori
[modifica | modifica wikitesto]VVV fu il prodotto dei maggiori surrealisti dell'epoca. Il periodico era diretto da David Hare in collaborazione con Marcel Duchamp e Max Ernst, sotto la guida di André Breton.
Alla redazione parteciparono anche pensatori ed artisti quali Aimé Césaire, Philip Lamantia, Robert Motherwell, Harold Rosenberg, Roger Caillois e Claude Lévi-Strauss.[5]. Inoltre la rivista venne illustrata da artisti surrealisti quali Giorgio de Chirico, Roberto Matta e Yves Tanguy.
Fascicoli
[modifica | modifica wikitesto]Della rivista non vennero pubblicati che quattro numeri in tre uscite, essendo riuniti in un unico volume il secondo e terzo fascicolo.
Il primo numero del giugno 1942 conteneva i Prolégomènes à un troisième manifeste ou non di Breton. La copertina di tale numero venne realizzata da Max Ernst.
Nel numero doppio 2-3 pubblicato nel marzo 1943 venne inserito il testo di una conferenza tenuta da Breton presso l'Università di Yale nel dicembre 1942, intitolato Situation du surréalisme entre les deux guerres ("Situazione del surrealismo fra le due guerre"). La copertina era caratterizzata da un ready made di Marcel Duchamp, realizzato con il ritaglio di una figura femminile prigioniera del filo metallico normalmente utilizzato per le recinzioni dei pollai.
Nel numero 4 del febbraio 1944 vennero pubblicati testi di Benjamin Péret (La Pensée est UNE et indivible) e di Pierre Mabille (Le Paradis). La copertina di quest'ultimo numero venne realizzata da Roberto Matta.[8]
Note
[modifica | modifica wikitesto]Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- (EN) Lucy R. Lippard (a cura di), Surrealists on art, Englewood Cliffs, N.J., Prentice Hall, 1970, ISBN 0-13-878090-0, LCCN 78104858, OCLC 98274, SBN IT\ICCU\VEA\0093025.
- Ivos Margoni (a cura di), Per conoscere André Breton e il surrealismo, traduzioni di Liliana Magrini, Concetta Scognamiglio, Giordano Falzoni, Milano, Mondadori, 1976, p. 178, ISBN non esistente, OCLC 797701474, SBN IT\ICCU\VIA\0015869.
- (FR) Adam Biro e René Passeron, Dictionnaire général du surréalisme et de ses environs, Fribourg, Paris, Office du livre, Presses universitaires de France, 1982, p. 426, ISBN 2-13-037280-5, LCCN 82185860, OCLC 797384265, SBN IT\ICCU\UFI\0008117.
- (EN) Ian Chilvers, A dictionary of twentieth-century art, Oxford ; New York, Oxford University press, 1998, pp. 94, 644-645, ISBN 0-19-211645-2, LCCN 98186633, OCLC 39800892, SBN IT\ICCU\PUV\0374811.«Victory over the forces of regression, View around us, View inside us [...] the myth in process of formation beneath the Veil of happenings»
- (EN) Hal Foster, Art since 1900 : modernism, antimodernism, postmodernism, et al., London, New York, Thames & Hudson, 2011, pp. 292 e segg., ISBN 978-0-500-23889-9, LCCN 2011922639, OCLC 765578047, SBN IT\ICCU\PMI\0018297.
- (DE) Andreas Neufert, Auf Liebe und Tod Das Leben des Surrealisten Wolfgang Paalen, Berlin, Parthas Verlag, 2014, ISBN 978-3-86964-083-9, OCLC 865735630.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- (EN) Paul McRandle, Surrealist NYC - VVV, 10 East 40th Street, Room 3308, su surrealistnyc.tumblr.com, 6 gennaio 2013. URL consultato il 6 ottobre 2015.
- (EN) Irene E. Hofmann, Documents of Dada and Surrealism: Dada and Surrealist Journals in the Mary Reynolds Collection - Surrealism in New York, su artic.edu, The Art Institute of Chicago, 2001, p. 4. URL consultato il 4 ottobre 2015 (archiviato dall'url originale il 28 novembre 2015).
- (EN) VVV su Watsonline : The Catalog of the Libraries of The Metropolitan Museum of Art, su library.metmuseum.org, Metropolitan Museum of Art. URL consultato l'11 ottobre 2015.