Renzo Ravenna

Renzo Ravenna

Podestà di Ferrara
Durata mandato16 dicembre 1926 –
17 marzo 1938
Capo di StatoVittorio Emanuele III di Savoia
Capo del governoBenito Mussolini
PredecessoreRaoul Caretti
SuccessoreAlberto Verdi

Dati generali
Partito politicoPNF
Titolo di studiolaurea
UniversitàUniversità degli Studi di Ferrara
Professioneavvocato

Renzo Ravenna (Ferrara, 20 agosto 1893Ferrara, 29 ottobre 1961) è stato un avvocato e politico italiano. Apparteneva a un'importante famiglia ebraica ferrarese e fu, con Enrico Paolo Salem a Trieste, uno dei due soli podestà fascisti di origini ebraiche in Italia prima dell'introduzione delle leggi razziali.[1]

Fu interventista e volontario durante la prima guerra mondiale e amico di Italo Balbo; questo lo fece prima avvicinare e poi iscrivere al Partito Nazionale Fascista, sino a venir nominato podestà. Si dedicò all'amministrazione della città con particolare attenzione per la situazione economica, la ricostruzione urbanistica e le iniziative culturali. Dopo le sue dimissioni, dovute alla istituzione delle leggi antiebraiche (1938) e con la morte di Balbo (1940), si allontanò definitivamente dal fascismo: la persecuzione con la sua famiglia da parte del regime, la fuga in Svizzera e il successivo ritorno a Ferrara, a guerra finita, ne chiusero definitivamente l'esperienza politica. La sua figura di personalità ebraica ricoprente cariche legate al fascismo lo rende oggetto, ancora oggi, di indagine da parte di storici e appartenenti al mondo culturale e politico.

I sei fratelli Ravenna nel 1908. In piedi, dietro, da sinistra: Renzo (1893 - 1961), Gino (1889 - Auschwitz 1944), Alba (1891 - Auschwitz 1944); in primo piano: Margherita (1885 - Auschwitz 1944), Lina (1896 - 1970) e Bianca (1886 - 1944).
Piazza Ariostea, a Ferrara. Qui, in una casa in corso Porta Mare di fronte alla piazza, nel 1898, si trasferì la famiglia Ravenna, dopo che da generazioni era vissuta in via Vittoria, nel ghetto.[2]

Primi anni, Grande Guerra, inizio carriera forense e matrimonio

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Figlio di Tullio Ravenna ed Eugenia Pardo, quinto di sei fratelli, Renzo fu nipote di Isaia Ravenna, primo docente ebraico nel Regio Liceo Ginnasio "L. Ariosto" di Ferrara. Per scelta dei genitori non frequentò scuole elementari israelite ma scuole pubbliche italiane.

Per il giovane Renzo l'incontro con Italo Balbo nella Palestra Ferrara, presso la quale entrambi furono inseriti nella squadra allievi, si rivelò determinante per tutta la sua vita.[3]

Nel 1912 si arruolò volontario nel Regio Esercito e nel 1913 si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Ferrara. Ravenna fu, nel settembre 1914, tra le 25 personalità ferraresi a fondare un gruppo interventista[4] e allo scoppio del conflitto, nel 1915, fu richiamato alle armi e mandato in guerra, prima nella zona di Vicenza e in seguito in Albania. Si congedò definitivamente col grado di capitano nel 1919[5], e nello stesso anno si laureò in giurisprudenza. Iniziò quindi a esercitare la professione di avvocato, inizialmente in un affermato studio cittadino e in seguito in uno proprio. Nello stesso tempo cominciò a ricevere incarichi nella Pubblica amministrazione della giustizia. Nel 1921 Ravenna sposò Lucia Modena.[6]

Adesione al fascismo e inizio carriera politica

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Situazione a Ferrara e rapporti con Italo Balbo

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Italo Balbo

A Ferrara lo squadrismo, sostenuto dai grandi proprietari terrieri che volevano in tal modo contenere le richieste operaie e sindacali socialiste, sfociò in vari episodi di violenza[7], quale ad esempio il delitto Minzoni. Dopo i primi anni violenti Italo Balbo cercò personalità fidate grazie alle quali modificare la sua immagine pubblica; tra queste vi furono Ravenna, il giornalista Nello Quilici e Umberto Klinger, per vari anni federale cittadino. Si rafforzò il legame tra fascismo e borghesia locale, anche con la componente ebraica, e in seguito, a tale scopo, vennero valorizzati gli aspetti culturali ispirati alla storia estense di Ferrara. Sulle pagine culturali del Corriere Padano, diretto da Quilici, scrissero personalità ferraresi che successivamente presero le distanze dal fascismo; tra questi Giorgio Bassani, Michelangelo Antonioni e Lanfranco Caretti. Bassani, in seguito, attorno al 1941, entrò in un gruppo antifascista e venne incarcerato.[8]

Ravenna fascista

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Epigrafe a ricordo del discorso di Cesare Battisti a Ferrara, il 27 novembre 1914. A invitare l'irredentista trentino fu l'allora ventunenne Renzo Ravenna, futuro podestà della città.

Ravenna si avvicinò al fascismo inizialmente attratto dalle idee nazionaliste e irredentiste[nota 1], come avvenne del resto per vari esponenti della borghesia ebraica[nota 2], e influì molto, in questa fase, l'antica amicizia e stima per Balbo, malgrado l'evidente diversità tra i due.[9] Con Balbo e Panunzio fondò in città un gruppo di azione rivoluzionaria[10] ed entrò a far parte, nel 1922[11], di una piccola cerchia di stretti collaboratori del gerarca, venne candidato alle locali elezioni amministrative alla fine di quello stesso anno, in un clima di forte contrasto politico e violenze[12], e divenne assessore. Continuò intanto a esercitare la sua professione di avvocato, pur dedicandovi sempre meno tempo.[13] Nel 1923 il suo assessorato fu direttamente coinvolto nelle prime fasi dell'intervento urbanistico in città, in particolare con i restauri del Castello Estense e del palazzo del Comune. In quell'occasione contribuì alla decisione di riedificare la torre caduta nel 1570 all'inizio dello sciame sismico che colpì la città sino al 1574[14], partecipando anche con una donazione.[nota 3]

In seguito la sua estraneità agli atti di squadrismo che contraddistinsero l'affermazione del fascismo a Ferrara[15][nota 4], la sua posizione laica e la stima professionale della quale godeva spinsero Balbo a proporlo come capo del fascismo ferrarese, con un invito formale a iscriversi al Partito Nazionale Fascista (PNF), nel 1924.[16][nota 5] Ravenna iniziò quindi a dirigere la Segreteria Federale Ferrarese del PNF per poi seguire Balbo a Roma, quando questi venne nominato sottosegretario all'Economia Nazionale. Questa esperienza, comunque, fu di breve durata, anche per motivi di carattere personale. Verso la fine del 1926, con l'entrata in vigore delle leggi fascistissime, venne nominato commissario straordinario alla guida del Comune di Ferrara. Tali disposizioni, in particolare la legge n. 237/1926, sostituirono con autorità di nomina governativa tutte le amministrazioni comunali e provinciali sino ad allora elettive.

Podestà di Ferrara

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Amministratore della città

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Stemma del podestà Renzo Ravenna, Comune di Ferrara

Renzo Ravenna venne nominato Podestà di Ferrara il 16 dicembre 1926 con Regio decreto e ricevette un telegramma di felicitazioni augurali dall'amico Italo Balbo[17] che si era impegnato in prima persona per tale risultato. Iniziò così la sua attività di primo amministratore della città e, in tale ruolo, dimostrò di possedere, oltre all'onestà personale, le capacità richieste dall'importante funzione[18] nel pieno rispetto delle direttive fasciste.[nota 6][nota 7]

Inizio attività come podestà

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Uno dei suoi primi e significativi atti politici fu quello di confermare nei loro ruoli diversi validi tecnici dell'amministrazione precedente, anche se noti antifascisti; in particolare, tra gli altri, Girolamo Savonuzzi e Arturo Torboli, che vennero poi uccisi nel 1943, come in seguito riportato.[19] I problemi che da subito si trovò ad affrontare riguardarono principalmente la situazione delle finanze del Comune, la disoccupazione diffusa e l'indigenza di molti suoi concittadini. Ricevette infatti, per tutto il suo mandato, numerose richieste di aiuti, alle quali rispose sempre.

Non di rado poi intervenne non solo come amministratore ma contribuì personalmente anche sul piano economico a favore di alcuni in situazione di bisogno.[nota 8] Istituì inoltre mense per i poveri, attive specialmente nel periodo invernale, che rimasero in funzione sino alle sue dimissioni. L'impegno nell'amministrazione della città ridusse il tempo dedicato al suo studio professionale che tuttavia continuò l'attività, anche grazie ai suoi collaboratori.[20]

Intervento urbanistico
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La Scuola elementare Alda Costa, progettata da Carlo Savonuzzi, eretta fra il 1932 e il 1933 sull'area dell'ex ospedale S. Anna, trasferita nel 1927 nella sede in corso della Giovecca (attiva sino al 2012)

Sin da prima del suo incarico alla guida di Ferrara (ancora in veste di assessore) partecipò all'importante opera di rinnovamento urbanistico definita in seguito Addizione Novecentista. L'amministrazione coinvolse, in tempi successivi, vari architetti e ingegneri col compito di ridisegnare il volto cittadino che, nelle nuove costruzioni, seguì quasi sempre i nuovi dettami del razionalismo: Adamo Boari, Angiolo Mazzoni, Virgilio Coltro, Giorgio Gandini, Filippo Galassi, Girolamo Savonuzzi (ingegnere capo del comune) e il fratello Carlo Savonuzzi furono tra i principali artefici di questo rinnovamento.

Si misero in cantiere interventi in molti punti della città, oltre ai già ricordati Castello Estense e Palazzo del Comune. Si sistemarono le reti viaria e fognaria, si estese l'illuminazione pubblica, si costruirono vari edifici scolastici e di abitazione popolare. A questo periodo di intensa attività risalgono: il palazzo delle Poste, l'acquedotto, il mercato ortofrutticolo, la caserma Pastrengo, il palazzo dell'Aeronautica, la Casa del Fascio, il museo di storia naturale, il conservatorio Girolamo Frescobaldi, il complesso Boldini e si realizzò lo spostamento dell'arcispedale cittadino. Tale mole di lavori richiese ingenti finanziamenti che solo in parte attinsero alle spese correnti del Comune.[21] Vennero attivati mutui anche ventennali con istituti di credito pubblico, e parte dei fondi arrivò direttamente dal Governo, sia per preciso intervento di Balbo sia per scelta politica generale a livello nazionale.

Una della motivazioni che spinse alla realizzazione di tante opere, oltre alla principale di intervenire urbanisticamente sulla città, fu certamente il bisogno di dare occupazione al crescente numero di braccianti in cerca di lavoro, anche se questi ultimi rimasero sempre legati economicamente alle attività agricole[nota 9]. Lo stesso Ravenna, del resto, fedele alle indicazioni del partito, nel 1929, fece approvare e confermare varie misure per l'incremento demografico; tra queste un premio di 1 000 lire alle coppie che avessero avuto sei figli in buona salute in dieci anni e di 2 000 lire a quelle che ne avessero avuto dodici in venti anni[22], anche se tali misure peggiorarono il problema occupazionale. A partire dalla seconda metà degli anni trenta, Ravenna e Balbo pensarono alla creazione di un polo industriale per la città, e questo nell'ulteriore tentativo di trovare uno sbocco occupazionale che neppure le grandi opere di bonifica avevano offerto, malgrado le aspettative.

Carlo Bassi analizzò in seguito quest'opera di rinnovamento urbanistico nei suoi ampliamenti all'opera di Melchiorri, e ne criticò alcuni suoi aspetti. Citando il piano regolatore dell'ingegnere Ciro Contini presentato nel 1911, riguardante la riqualificazione della zona di San Romano, poi definita «sventramento», fa esplicito riferimento al successivo progetto modificato («che dire fantasioso è dire poco») dall'architetto Florestano Di Fausto, chiamato a Ferrara da Balbo, ed evidentemente condiviso dal podestà. In quella zona di Ferrara si realizzò poi, nel secondo dopoguerra, quello che Bruno Zevi definì: «lo stupro di Ferrara»[23]. Per Antonella Guarneri (responsabile del museo del Risorgimento e della Resistenza cittadino) lo sviluppo urbanistico attuato dal fascismo ferrarese fu inadeguato al preesistente disegno di Biagio Rossetti dell'Addizione Erculea, con l'edificazione di «monumenti pesanti» e di «quartieri borghesi» poco rispettosi dell'esistente.[24]

Cultura per valorizzare la città
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Nello Quilici

Un altro degli aspetti che contraddistinse il podestariato di Ravenna (già accennato in precedenza) fu la grande attenzione per la cultura. In quest'azione fu spinto e sostenuto da Italo Balbo e coadiuvato da Nello Quilici, direttore del Corriere Padano. Balbo intendeva, promuovendo questa politica, far dimenticare le violenze squadriste dei primi anni venti[25][26] e dare alla città un'immagine diversa e più accettabile del partito e della propria figura.[27] Le iniziative culturali furono strumento di propaganda per il regime ma lasciarono un patrimonio durevole a Ferrara, in particolare tre musei: il Museo archeologico nazionale, ospitato nella sede di Palazzo Costabili, che raccolse il materiale proveniente dagli scavi di Spina, il Museo Boldini e il Museo dell'Opera del Duomo. A differenza delle scelte del governo centrale il Comune di Ferrara puntò sulla tradizione locale, sulla rivalutazione della storia estense e su manifestazioni e mostre che ne rinnovassero gli antichi splendori.

Ecco così la ripresa del Palio, a partire dal 1933, e l'importante Mostra per celebrare il IV Centenario ariostesco, sempre nello stesso anno.[28][29][30] Da alcune fonti risulta che la mostra fu proposta e decisa dallo stesso Balbo già nel 1931, e nella sua organizzazione vennero coinvolti esperti del settore come il critico d'arte Nino Barbantini e lo storico dell'arte Adolfo Venturi, oltre al responsabile delle Belle Arti Arduino Colasanti. Per pubblicizzare queste iniziative a livello nazionale si fecero molti sforzi, coinvolgendo, per l'occasione, anche l'Istituto Luce. L'esposizione ebbe un successo notevole per l'epoca, con oltre settantamila visitatori, tra i quali i Principi di Piemonte e Vittorio Emanuele III. Spiccò invece, tra gli assenti, Benito Mussolini.[31]

Italo Balbo ottenne da queste iniziative culturali il riconoscimento personale che cercava e Renzo Ravenna materializzò il suo amore per Ferrara, stringendo rapporti spesso di vera amicizia con molti artisti cittadini, come, ad esempio: Arrigo Minerbi[32], Giovanni Boldini, Filippo de Pisis, Achille Funi, Giuseppe Mentessi e Annibale Zucchini.[33] Seppe instaurare e mantenere cordiali e proficue relazioni anche con la massima autorità religiosa, l'arcivescovo Ruggero Bovelli, e presenziò sempre, in veste ufficiale, a ogni manifestazione legata alle festività cattoliche. Con l'arcivescovo organizzò le celebrazioni per l'ottavo centenario del duomo, fondò l'ente Opera del Duomo e contribuì con impegno alla realizzazione del già ricordato Museo del Duomo.[34] Per quanto riguarda l'Università, che era «libera», Ravenna richiese più volte la sua «regificazione», in modo da farle ottenere maggiori contributi dallo Stato, ma questa venne concessa soltanto nel 1942.[nota 10]

Francesco del Cossa, aprile particolare delle corse del palio, Salone dei Mesi, Palazzo Schifanoia

Doveroso ricordare che parte delle attività culturali di forte impatto e successo per valorizzare la città, quali in particolare il Palio di Ferrara, furono viziate in modo eccessivo dalla propaganda fascista. Per citare due soli esempi: la contrada di San Luca altro non era che il Gruppo rionale fascista "Arturo Breveglieri" mentre la contrada di San Giorgio faceva riferimento al PNF Fascio di Borgo San Giorgio[35], e infatti, caduto il fascismo, il Palio venne sospeso e poi ripreso solo quasi trenta anni più tardi, nel 1967. Altro aspetto critico in seguito evidenziato fu che, malgrado l'organizzazione di mostre e l'apertura di nuovi musei, durante il periodo fascista a Ferrara l'istruzione elementare e secondaria passò in secondo piano. Si pensò alla borghesia ma non ai ceti più emarginati. Nell'immediato dopoguerra infatti la frequenza scolastica registrata nel ferrarese si rivelò sotto la media nazionale.[24]

A partire dalla seconda metà degli anni trenta la situazione a Ferrara (e in tutta Italia) cominciò a diventare sempre più difficile per le comunità ebraiche. La permanenza dello stesso Ravenna, in quanto ebreo, nella funzione di podestà, incominciò a essere messa in discussione. In varie occasioni giunsero dal Governo, indirizzate al prefetto Amerigo Festa, a partire dal 1934, sollecitazioni che richiedevano le sue dimissioni (talvolta fondate su accuse antisemite anonime). L'alto funzionario, amico di Ravenna, dopo le necessarie indagini affidate alle forze dell'ordine, mandava a Roma rassicurazioni sulla correttezza e sulla considerazione della quale il podestà godeva in città, ricordando la stima che in lui riponeva anche Italo Balbo. In seguito poi, da Roma, arrivavano le indicazioni di sospendere ogni provvedimento.[36][37]

Verso la fine del 1935, quando stava per scadere il suo secondo mandato, malgrado nuovi tentativi ministeriali di esautorarlo per la sua religione, il sostegno del prefetto Festa e la lontana protezione di Balbo fecero rinnovare l'incarico e arrivò quindi la riconferma romana[38]. Nella vicenda non vennero provati interventi diretti di Mussolini, anche se era nota la rivalità che contrapponeva il capo del governo e il gerarca originario di Ferrara, in quel momento governatore in Libia. Oggi quindi rimane solo un'ipotesi che nell'attacco a Ravenna di quegli anni fosse nascosto, in realtà, una sfida al potere di Balbo.[39] Contemporaneamente a questi fatti, in provincia di Ferrara, cominciarono a essere esonerati dai ruoli pubblici che ricoprivano molti funzionari, professionisti e insegnanti di fede ebraica[40][nota 11]

Stemma del prefetto Amerigo Festa nella Sala degli Stemmi del Castello estense, Ferrara

Apparvero sui muri scritte antisemite (che inizialmente vennero cancellate) e a poco a poco il clima mutò, mentre si preparava la promulgazione delle leggi razziali. La protezione di Italo Balbo si estese sino all'inizio del 1938 ma, quando fu evidente che non era più possibile opporsi alle direttive nazionali, lo stesso Ravenna preferì evitare di essere destituito d'autorità, anticipando i tempi solo di qualche mese e diventando, di fatto, una delle prime vittime illustri del nuovo indirizzo del regime.[41] Il prefetto Festa, intanto, a dimostrazione che il clima politico era mutato, era già stato promosso e rimosso, con l'assegnazione a un altro incarico, a Roma.

Dimissioni e presa di distanza dal fascismo

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Vicinanza di Italo Balbo

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Il 17 marzo 1938 Renzo Ravenna si dimise dalla carica di podestà[42][43], e alla cerimonia non volle mancare l'amico di sempre, Italo Balbo. Il Corriere di Ferrara dedicò all'avvenimento due numeri. Su uno, in prima pagina, titolò: «Dopo dodici anni di feconda attività l'avv. Renzo Ravenna lascia la Podesteria»; mentre sull'altro: «Alla presenza delle LL.EE. Balbo e Rossoni S.E. il Prefetto insedia a nuovo Podestà di Ferrara l'on Alberto Verdi in sostituzione dell'avv. Renzo Ravenna».[44] Nei giorni immediatamente successivi, raccontò la moglie Lucia, Balbo si informò dall'amico se, durante gli anni alla guida della città, avesse in qualche modo approfittato della sua posizione per incrementare le finanze personali. Sentendo la risposta negativa di Renzo pare che gli abbia replicato, in modo affettuoso: «Che fesso!»[45]

Alle dimissioni, ufficialmente presentate per motivi di salute (era in effetti stato colpito da un attacco cardiaco, dal quale si era ripreso), seguì una decisione grave e importante. Ravenna, sempre più in disaccordo con un governo nel quale aveva creduto, e deluso dal PNF, del quale era stato un entusiasta sostenitore, amareggiato inoltre per gli attacchi antisemiti sempre più evidenti e quindi umanamente provato, restituì, nel luglio 1938, la tessera e il distintivo del partito.[46]

Isolamento sociale e ripresa dell'attività forense

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Cominciò in quel momento un lento ma progressivo allontanamento, almeno sul piano pubblico, di tutte le persone che pure gli erano state tanto vicine quando esercitava le funzioni di podestà. Quilici, ad esempio, e l'arcivescovo Bovelli, pur continuando, privatamente, a mandargli auguri e segni di vicinanza, mantennero una posizione pubblica di piena condivisione delle leggi razziali. Solo Balbo, sino al momento della sua morte, manifestò sempre amicizia e vicinanza. Lo ospitò tra l'altro in Libia, dove era governatore, e dove applicava in modo molto permissivo le leggi a difesa della razza[47][48]. Le disposizioni sempre più stringenti esclusero Ravenna e tutti gli ebrei anche dai principali luoghi di ritrovo di Ferrara, e quando si trattò di circoli, i soci di fede ebraica vennero semplicemente considerati dimissionari.[49]

Quilici pubblicò, nel settembre 1938, un articolo che sicuramente addolorò molto Ravenna[50], anche se formalmente ancora il rapporto personale tra i due rimase improntato a cortesia e apparentemente non si incrinò. Un altro momento doloroso, che lo toccò profondamente, fu l'allontanamento dall'esercito imposto dal governo, con un congedo di tutti gli ufficiali di razza ebraica, divenuto effettivo dal primo gennaio 1939.[51] Ravenna fu costretto a riconsegnare distintivo dell'esercito, tessera e libretto delle ferrovie.[52] Malgrado questo, nel giugno 1940, dopo l'entrata in guerra dell'Italia, scrisse al Prefetto di Ferrara chiedendo di poter servire ancora il suo Paese, dimostrando di essere sempre fedele alla Patria, anche se fuori dal Partito Fascista.[53]

Importante ricordare che negli stessi giorni anche Silvio Magrini, presidente della comunità israelitica ferrarese, scrisse una lettera alle autorità cittadine confermando (malgrado le discriminazioni razziali che nella lettera sottaceva), il patriottismo e la fedeltà di tutti gli ebrei ferraresi[54][55], nell'evidente tentativo di difendere la posizione della comunità ebraica da accuse di scarsa vicinanza al Paese. Dal punto di vista professionale ed economico i primi tempi senza incarichi pubblici gli portarono diversi benefici. Da podestà aveva trascurato il suo studio, e non di rado era intervenuto con mezzi propri per aiutare chi aveva bisogno, mentre ora poteva riprendere a seguire a tempo pieno chi si rivolgeva a lui, quindi le sue finanze migliorarono notevolmente. Il suo studio venne frequentato dalla ricca borghesia ebraica che tentava o di difendere i propri beni, rinunciando a diritti civili e politici, oppure che voleva intraprendere la difficile strada dell'arianizzazione, nei casi di matrimoni misti.[56]

Morte di Balbo e distacco definitivo dal fascismo

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La morte di Italo Balbo, il 28 giugno 1940, incise profondamente sulle vicende successive di Ravenna e della sua famiglia. Prima di tutto venne a mancare un amico importantissimo, al quale era molto legato. Poi cadde la protezione che il potente gerarca aveva sempre esteso su di lui, e, infine, venne meno anche l'ultimo legame col fascismo. Infatti era stata anche l'ammirazione per Balbo a far abbracciare a Renzo Ravenna, negli anni giovanili, la fede fascista.[57] Al dolore per la perdita dell'amico si aggiunse poi, in quelle giornate, pure quello di non poter prendere parte al rito funebre che si tenne in città in sua memoria[58]. Malgrado lo studio legale proseguisse l'attività, la situazione intanto peggiorava. L'isolamento sociale e le disposizioni razziali imposero nuove rinunce che Ravenna accettò con dignità, senza chiedere aiuti, né per sé né per familiari e parenti. La caduta di Mussolini del luglio 1943 fece sperare in un mutamento favorevole, che però venne presto deluso nei fatti. Tutto precipitò infatti quando arrivò l'armistizio dell'otto settembre, si creò la Repubblica Sociale Italiana e le truppe tedesche occuparono anche Ferrara. In ottobre si verificarono i primi arresti sia di persone ritenute antifasciste sia di alcuni ebrei, tra i quali il rabbino Leone Leoni.[59][60]

La numerosa famiglia Ravenna iniziò a pensare alla fuga, mentre un nipote di Renzo già veniva arrestato. Una sorella abitava a Roma da tempo e un'altra la raggiunse, con la sua famiglia. Gli avvenimenti poi precipitarono; nella capitale si ebbe un rastrellamento e la sorella Alba venne arrestata, rinchiusa in un carro bestiame sigillato e mandata verso il campo di concentramento di Auschwitz. Il convoglio fece una brevissima sosta a Ferrara e lei riuscì fortunosamente, parlando a un ferroviere dall'interno del vagone, a far avvisare il fratello perché fuggisse. Ravenna, raggiunto dal messaggio, preparò il viaggio verso la Svizzera, rifiutando l'offerta dell'arcivescovo Bovelli a trovargli salvezza in Vaticano ma accettando un aiuto economico dalla vedova dell'amico Balbo per il costoso espatrio in terra elvetica.[61] Rosetta Loy racconta in parte la vicenda di Alba Levi Ravenna, sorella di Renzo, nel suo La parola ebreo. Di tutta la numerosa famiglia dell'ex podestà deportata ad Auschwitz solo il nipote Eugenio (Gegio), il primo a essere arrestato, sopravvisse e riuscì a tornare in Italia.[62]

Esilio in Svizzera

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La famiglia Ravenna (Renzo, Lucia e i tre figli), arrivò il 20 novembre a un controllo doganale elvetico vicino a Lugano. Sulle prime rischiò di essere rispedita in Italia e solo un caso permise l'intervento in loro favore di un diplomatico ferrarese loro amico, presente nell'ambasciata di Berna.[nota 12][63] All'inizio dovettero affrontare difficoltà di varia natura, come la separazione dei membri della famiglia, i problemi economici e anche quelli legati alla sistemazione in un alloggio adatto. Dopo il trasferimento a Losanna, Ravenna si inserì nel gruppo dei fuorusciti italiani[64]. Qui venne in contatto con Luigi Zappelli, un industriale di ispirazione socialista che sosteneva i connazionali e che, a un certo momento, fornì alla sua famiglia anche un alloggio gratuito, aiutandola così economicamente.[65] Durante il suo soggiorno a Losanna strinse o rinsaldò rapporti con molti esuli, come Luigi Preti, Vittorio Cini e Giuseppe Volpi, ex ministro delle finanze[66]. Collaborò con Raffaele Cantoni e Angelo Donati, personalità di spicco del mondo ebraico in Italia, e tentò in vari modi di avere notizie dei suoi familiari arrestati e deportati.[67][68] Nel 1944 fece nascere, assieme ad altri, un Comitato di soccorso per deportati italiani politici e razziali[69][70], e mise al servizio di questa iniziativa la sua capacità di tessere rapporti umani e le sue doti organizzative. Con la fine delle ostilità passarono ancora vari mesi prima che la famiglia di Renzo Ravenna potesse rientrare in Italia, e il primo a farlo, ormai nell'estate 1945, fu il figlio Paolo.

Rientro a Ferrara

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Come ricordato il ritorno non fu facile. Prima di tutto non fu possibile attraversare subito il confine poiché questo venne chiuso dalle autorità elvetiche immediatamente dopo il 25 aprile. Inoltre vari motivi legati alle prime fasi post belliche resero poco opportuno per Ravenna rivedere Ferrara. Il clima politico non era favorevole, e in molti gli scrissero di tale situazione. Ad esempio Aristide Foà, suo cugino e nominato viceprefetto di Parma dal CLN, il figlio Paolo, nel frattempo rientrato, e l'amico Giuseppe Bignozzi.[71][72] Furono giorni nei quali Ravenna fu costretto a riflettere sul senso del suo fascismo, e scrivendo a Mario Cavallari, socialista, nominato da poco presidente del Comitato di Liberazione cittadino, suo vecchio amico, sintetizzò con «amore quasi morboso per la mia città» e «devozione quasi affettuosa per un Uomo sulla cui vita e sulla cui morte solo la storia potrà pronunciarsi» gli aspetti essenziali della vicenda nella sua percezione.[72]

Giudicato per il suo passato

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Ravenna, tornato a Ferrara, venne sottoposto a giudizio in merito a due provvedimenti di epurazione. Il primo, il decreto legislativo luogotenenziale 31 maggio 1945, n. 364, riguardava la confisca dei beni legati a profitti di regime[73] e il secondo, legato al decreto legislativo luogotenenziale n. 702 del 9 novembre 1945, per l'eventuale cancellazione dall'ordine degli avvocati.[74] Entrambi i procedimenti, per certi versi dovuti, si risolsero a favore dell'ex podestà e avvocato Ravenna. Il procedimento legato al sequestro dei beni, già cautelativamente bloccati dal tribunale, si risolse abbastanza velocemente, anche in considerazione del fatto che il suo patrimonio in quel momento era decisamente molto scarso, e poiché, esaminando la sua attività pubblica, non era stato riscontrato alcun episodio di abuso o comportamento atto a trarre vantaggi personali.[75] Il giudizio di epurazione dall'ordine riguardò poi anche altri professionisti, tra i quali Alberto Verdi, suo successore nella carica di podestà. Nel suo caso specifico si dispose che poiché «non era stato commesso alcun atto di faziosità o di malcostume», non si procedeva a nessun provvedimento di epurazione. Il presidente dell'ordine degli avvocati Cavallari tuttavia implicitamente commentò che per talune personalità che avevano ricoperto importanti cariche per tanto tempo durante gli anni del regime sarebbe stata opportuna una misura sanzionatoria, seppure di minore gravità di quella prevista dalla legge.[76][77]

Ferrara, Castello Estense, muretto del fossato. Lapide caduti per la libertà in corso Martiri della Libertà.

Michele Tortora, sindaco di Ferrara dal 1945 al 1946, attaccò duramente le amministrazioni precedenti (quindi anche quella di Ravenna, durata dodici anni), sostenendo, in una sua relazione al Consiglio comunale, che gli effetti del malgoverno fascista erano stati deleteri. Sentendosi direttamente chiamato in causa Ravenna indirizzò a Tortora una lettera nella quale rivendicava la quantità di opere pubbliche realizzate durante il suo podestariato e il costante miglioramento della situazione rispetto ai periodi precedenti, testimoniato dai cittadini che vissero quei momenti. Approfittò anche della circostanza per rendere omaggio ai suoi collaboratori, primi tra tutti Girolamo (Mimmo) Savonuzzi e Arturo Torboli, uccisi poi dai fascisti nel 1943[78][79]. Alla lettera fece seguito una visita privata del sindaco nell'abitazione di Ravenna, che chiuse in modo ufficioso la questione con un riconoscimento implicito dell'operato dell'ex podestà. In nessun'altra occasione la gestione della cosa pubblica realizzata da Ravenna venne poi messa sotto accusa.[80]

Nel lento ritorno alla quotidianità, a Ferrara, mantenne rapporti con l'avvocato Alberto Verdi, che gli era succeduto nella podesteria, con Luigi Zappelli, conosciuto in Svizzera, con la vedova di Italo Balbo, con la famiglia di Nello Quilici, con Amerigo Festa, il prefetto che lo aveva difeso, e al quale scriveva spesso. Riallacciò i legami con quanti aveva conosciuto e con i quali aveva lavorato, anche se di diversa appartenenza politica, e continuò a esercitare la sua professione di avvocato ma rifiutò di assumere ruoli pubblici o politici. Ebbe un attacco cardiaco (il secondo, dopo quello già accusato nel 1936) che lo costrinse a ridurre l'attività, ma mai ad abbandonarla. Intanto il figlio Paolo, pure lui avvocato, iniziò a lavorare nel suo studio.[81]

Si ritenne sempre una vittima e non il complice di una dittatura, e negli ultimi anni iniziò a pensare di rivalutare la memoria dell'amico Balbo, dimenticandone le oggettive responsabilità.[82] Pensò di scrivere un libro sul gerarca ferrarese, ritenendo fosse necessario un approfondimento sulla sua figura, a suo parere dimenticata troppo velocemente dopo la sua morte. Per tale scopo valutò la possibilità di coinvolgere uno storico a quei tempi poco più che trentenne, Renzo De Felice, e successivamente venne in contatto con Meir Michaelis, studioso israeliano che lo cercò perché stava lavorando alla ricostruzione di quel periodo storico.[nota 13][83]

Tomba del podestà Renzo Ravenna nel Cimitero ebraico

Con Michaelis ebbe uno scambio di lettere, rimaste nella documentazione del suo archivio personale, nelle quali difese l'amico descrivendolo come contrario alle leggi razziali, vicino a molti ebrei, sempre pronto a difenderlo e uomo coraggioso, capace di accettare il suo ruolo di grande responsabilità come governatore della Libia.[84] Nel 1957 Salvatore Aurigemma, fondatore e direttore del Museo archeologico nazionale di Ferrara e direttore degli scavi di Spina dal 1924 al 1939, ricevette dal Comune di Ferrara una medaglia in riconoscimento del lavoro svolto, e in quell'occasione l'archeologo ricordò il sostegno determinante avuto nella sua azione da Italo Balbo e Renzo Ravenna.[85] Verso la fine iniziò a ricevere riconoscimenti[86] ma la sua personalità continuò a essere discussa, e in occasione del suo funerale il Comune di Ferrara non inviò né una sua rappresentanza ufficiale né il gonfalone municipale.[87] Dal 1961 Renzo Ravenna riposa nel Cimitero ebraico di via delle Vigne.

Riconoscimenti postumi

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Nel dicembre 1961, quando era ormai scomparso, la stampa ferrarese volle premiare l'impegno dell'ex podestà a favore della cultura cittadina. Fu il figlio Paolo a ritirare il riconoscimento.[88] Nel Consiglio comunale di Ferrara l'amico Antonio Boari, eletto come esponente della Democrazia Cristiana, circa un mese dopo la sua morte, lo ricordò come uomo capace di «grande equilibrio e serenità», animato da «amore per la sua città», asserendo che «Renzo Ravenna concepì la Ferrara moderna».[89] Alberto Cavaglion, nella sua postfazione al testo della Pavan Il podestà ebreo, analizza la figura complessa di Ravenna, definendolo «un personaggio di spicco della storia ferrarese», «un unicum per la simpatia che suscita il personaggio-uomo», e «Un originale stile di amministratore della cosa pubblica, ciò che gli consentì di porre le basi... della Ferrara moderna»[90], ricorda che in lui «la passione politica non sia mai stata tale da far passare in secondo piano l'amore per la sua città o il valore dell'amicizia», nota «il suo forte senso della famiglia», e fa sospettare in lui «una qualche forma di ingenuità» nella sua fede fascista.[91]

Ferrara, Via Vignatagliata, lapide scuola ebraica

Renzo Ravenna e Giorgio Bassani

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Paolo Ravenna, Giorgio Bassani, Roseda Tumiati e Bruno Zevi a Roma nel 1987

Giorgio Bassani fu sempre molto critico nei confronti della borghesia ebraica ferrarese e in genere dei suoi concittadini per il loro comportamento durante il ventennio fascista.[92][nota 14] Nel racconto Una lapide in via Mazzini (contenuto in Cinque storie ferraresi) parlò chiaramente del podestà Ravenna, pur mutandone il nome, descrivendolo come «quel vecchio fascista dell'avvocato Geremia ... talmente benemerito dal Regime, quello là, da riuscire per almeno due anni, dopo il 1938, a continuare a frequentare di tanto in tanto anche il Circolo dei Negozianti».[93][94]

Si deve aggiungere che Bassani appartenne a una generazione successiva a quella di Renzo Ravenna, più vicina a quella di suo figlio Paolo al quale fu legato a lungo, ad esempio nella tutela dei beni ambientali e culturali. Lo scrittore nel suo racconto enfatizzò alcuni aspetti della figura immaginaria del Tabet che non appartenevano alla persona reale e che lo stesso podestà fu colpito, come lo scrittore, dalle leggi razziali, quando anche i suoi figli furono costretti ad abbandonare la scuola pubblica, a partire dall'anno scolastico 1938-1939[95], per iscriversi alla scuola ebraica di via Vignatagliata, nel ghetto, la stessa dove Bassani, appena laureato, insegnò.[96] In un volume edito nel 2014 che raccoglie vari lavori di Bassani, curato da Piero Pieri, viene ribadito molto bene il punto di vista dello scrittore sulla borghesia ebraica ferrarese, e in particolare su Renzo Ravenna. Quest'ultimo tuttavia nel testo non viene nominato esplicitamente, ma solo indicato come podestà a lungo in carica nella città.[97]

Rapporti con ebrei e cattolici

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Per tutta la durata del suo podestariato ebbe rapporti ufficiali molto limitati con la comunità ebraica cittadina, e addirittura sospese il contributo che l'amministrazione concedeva annualmente al cimitero ebraico. La sua fu una condivisione culturale di valori, una fede personale, un rispetto delle tradizioni e dei momenti comunitari ma poco di più. Ebbe cioè un approccio laico e non un'adesione ortodossa alla religione.[98] Indicativo e curioso che, anche se una sola volta all'anno, sulla tavola della famiglia Ravenna facesse la sua comparsa un piatto tipico della cucina ferrarese, la salama da sugo.[99] Mantenne legami di stima e di vera amicizia reciproca per lunghi anni con l'arcivescovo Bovelli, sino al suo rientro definitivo a Ferrara, con scambi di auguri in occasione delle festività testimoniati da lettere che sono arrivate sino a noi.[100] Gli attacchi che subì a causa della sua religione, a partire dal 1934, furono pretestuosi.[nota 15] Infatti rispettò sempre le gerarchie cattoliche e collaborò con esse, come già ricordato, spinto prima di tutto dall'amore per la sua città.

Annotazioni
  1. ^ Da ricordare a tal proposito che fu lo stesso Ravenna, alcuni anni prima, a invitare a Ferrara Cesare Battisti per un intervento che si concluse col pubblico inneggiante: «Viva Trento, Viva Trieste!», cfr. Pavan 2006, p. 18.
  2. ^ Considerazione in parte corretta dalla seguente: «Studi recenti hanno ridimensionato l'immagine di una adesione unanime e convinta della comunità ebraica ferrarese al primo fascismo… Tra i primi firmatari c'era ad esempio Enrico Bassani, padre dello scrittore, e non Renzo Ravenna, il futuro podestà», cfr. Provasi 2010, p. 94.
  3. ^ Nella sottoscrizione pubblica per la costruzione della torre promossa dal Corriere Padano, compaiono Balbo e Ravenna, che donarono rispettivamente 500 e 200 lire. Si contarono oltre 4 000 donazioni tra cui appaiono i nomi di molti membri della locale comunità ebraica, cfr. Pavan 2006, p. 44.
  4. ^ Italo Balbo in quel momento stava cercando personalità oneste e preparate, oltre che a lui fedeli, per allontanare da sé e dal fascismo le ripercussioni negative legate all'omicidio Minzoni, cfr. Pavan 2006, p. 43.
  5. ^ La vicenda di Ravenna va inserita in un'analisi più precisa della presenza ebraica a Ferrara. «La prima guerra mondiale, alla quale gli ebrei ferraresi, come pure quelli del resto della penisola, avevano partecipato numerosissimi, finì per rappresentare il primo vero e proprio riconoscimento ufficiale di appartenenza alla nazione italiana». A questo va aggiunto che molti ebrei della comunità ferrarese, appartenendo alla borghesia dei proprietari terrieri, scelsero poi il fascismo a difesa dei propri interessi e per contrastare il socialismo, cfr. Guarnieri 2011, p. 49. Qui occorre precisare che la famiglia Ravenna era di commercianti, non di proprietari terrieri.
  6. ^ Un esempio della fedeltà citata nell'operato del podestà è individuabile anche nella piena adesione alla politica demografica, con l'apertura, a Ferrara, nel 1927, di una sezione dell'OMNI. Renzo Ravenna ne fu membro di diritto, e operò in linea con le indicazioni nazionali, cfr. Archivio di Stato di Ferrara, Prefettura, Gabinetto, b. 169, fasc. 5; lettera del prefetto Cesare Bertini al Ministero dell'Interno, 8 ottobre 1926.
  7. ^ In particolare Ravenna diede la sua piena adesione alla politica demografica fascista organizzando a Ferrara, nel 1927, una sezione dell'OMNI. Renzo Ravenna ne fu membro di diritto, e operò seguendo fedelmente le direttive del regime, cfr. Pavan 2006, p. 63.
  8. ^ Non furono rari i casi nei quali sostenne personalmente il costo degli studi universitari di alcuni giovani privi di mezzi, come avvenne nel caso del futuro storico Carlo Zaghi, cfr. Pavan 2006, pp. 39-41.
  9. ^ Stando ai dati ufficiali dell'epoca, il numero di disoccupati in provincia di Ferrara, dal 1926 al 1938, passò, nel mese di gennaio, da 17 136 a 61 273 unità, con una punta di 78 274 nel 1935. Nel mese di agosto passò da 1 115 a 23 172, cfr. Comune di Ferrara Bollettino statistico, Archivio di Stato di Ferrara, Prefettura, Gabinetto, b. 394, fasc. 2; b. 404, fasc. 2.
  10. ^ Università libera, cioè, dal punto di vista economico, sostenuta esclusivamente dagli enti locali, prima di tutto dal Comune; per ottenere contributi dallo Stato serviva la «regificazione», cfr. Pavan 2006, p. 67.
  11. ^ Vari ebrei vennero sostituiti con cattolici in Comune, nella sede della Banca d'Italia, nella protezione antiaerea e in alcune scuole, cfr. Pavan 2006, p. 117.
  12. ^ Si trattava del barone Zanetto Scola Camerini.
  13. ^ In seguito infatti pubblicherà Mussolini e la questione ebraica.
  14. ^ Il giudizio negativo di Bassani viene in parte mitigato da A. Guarnieri: «Numerosi furono i ferraresi, anche fascisti sino a quel momento di provata fede, i quali decisero, quando le persecuzioni si fecero incessanti, di aiutare gli ebrei della Comunità locale», cfr. Guarnieri 2011, p. 59.
  15. ^ L'attacco al podestà – anche se apparentemente originato da un'azione partita contro di lui dalla stessa Ferrara – nasceva, in realtà, dal centro ed era motivato esclusivamente da ragioni di appartenenza religiosa anche senza che di fatto, a Renzo, fosse stato contestato alcun fatto specifico o messa in conto qualche eventuale mancanza nella sua condotta o nella sua attività di amministratore, cfr. Pavan 2006, pp. 109, 110.
Fonti
  1. ^ Sandro Scandolara, Storia di Paolo Salem l'ebreo fascista che fu podestà a Trieste, in Il Piccolo, 12 giugno 2009. URL consultato il 20 giugno 2019.
  2. ^ Pavan 2006, p. 3.
  3. ^ Guido Angelo Fanchini, p. 44.
  4. ^ Pavan 2006, pp. 17-18.
  5. ^ Pavan 2006, p. 23.
  6. ^ Il vessillo israelitico: rivista mensile per la storia, la scienza, e lo spirito del giudaismo., vol. LXVII, 1921 [1874-1922], p. 358.
    «Giovedì 2 giugno ebbero luogo in casa dell’esimio cav. rag. Riccardo Modena benemerito consigliere di questa Opera Pia Israelitica di Carità, le ben auspicate nozze della sig.ina Lucia Modena sua figlia con l’egregio giovane sig. avv. Renzo Ravenna di Ferrara, nipote dal lato materno dell’ecc.mo rabbino maggiore Pardo. Le nozze furono celebrate dal zelante e benemerito presidente dell’Università Israelitica di Parma, sig. rag. Giacomo Levi, zio dello sposo»
  7. ^ A.Guarnieri, D.Guarnieri, Tromboni 2014.
  8. ^ Guarnieri 2011, pp. 37-38.
  9. ^ Fabre 2005, pp. 93-95.
  10. ^ RAVENNA, Renzo, su treccani.it. URL consultato il 17 settembre 2020.
  11. ^ Guarnieri 2011, p. 51.
  12. ^ A.Guarnieri, D.Guarnieri, Tromboni 2014, p. 6.
  13. ^ Pavan 2006, pp. 39-41.
  14. ^ Pavan 2006, p. 42.
  15. ^ Provasi 2010, p. 95:

    «La parabola personale di Renzo Ravenna è forse quella che meglio fotografa l’idea di un legame tutt’altro che flebile tra fascismo, patriottismo, mondo ebraico. Come detto, Ravenna non fu un iscritto al PNF della prima ora… prese la tessera nel gennaio 1924…non fu mai uno squadrista.»

  16. ^ Pavan 2006, p. 44.
  17. ^ Archivio personale del podestà di Ferrara Renzo Ravenna, b. I, fasc. Balbo.
  18. ^ Guarnieri 2011, p. 52:

    «nella città estense non si verificò la gestione del potere spericolata e disonesta, che caratterizzò il governo di altre amministrazioni fasciste in altre città.»

  19. ^ Pavan 2006, p. 49.
  20. ^ Tromboni 2005, p. 391:

    «a chiudere definitivamente la partita sarà l'avvocato Renzo Ravenna, amministratore giudiziario e curatore del fallimento della Cooperativa Fascista di Produzione e Lavoro di Bondeno nonché podestà di Ferrara»

  21. ^ L'attività del fascismo nell'amministrazione civica durante il decennio 1923-1932, Ferrara, 1933, pp. XIII-XIV.
  22. ^ Pavan 2006, p. 64.
  23. ^ Melchiorri 2009, pp. 224-228.
  24. ^ a b Guarnieri 2011, p. 41.
  25. ^ A.Guarnieri, D.Guarnieri, Tromboni 2014, passim (Tutta la pubblicazione parla diffusamente, con testo, documenti e foto, delle violenza squadriste).
  26. ^ Silvana Onofri, Giorgio Bassani sui banchi di scuola (PDF), su Collana Quaderni dell’Ariosto, n. 62, Ferrara, Liceo Ariosto. URL consultato il 20 giugno 2019.
  27. ^ Guarnieri 2011, pp. 31, 37, 38, 39:

    «Dopo la marcia su Roma e gli anni che portarono al sempre maggiore consolidamento del regime fascista e all’abbattimento delle libertà individuali e politiche degli italiani, sia a livello nazionale sia locale si assistette all’incessante lavoro delle gerarchie per costruire un clima nuovo che contribuisse a far dimenticare i lutti che stavano all’origine della distruzione della democrazia e della instaurazione della dittatura. Fu in questo panorama che Italo Balbo ed il suo gruppo iniziarono a lavorare a quello che può essere considerato il più grande successo del fascismo estense…»

    «La cultura a Ferrara, in periodo fascista, assume un ruolo di primo piano…»

    «Il massimo gerarca estense investì Nello Quilici di un mandato di grande importanza, che … prevedeva la supervisione dei vari aspetti che caratterizzavano la cultura ferrarese.»

    «Manifestare interesse attivo per argomenti così elevati (Celebrazioni Ariostesche), presenziare a mostre e convegni … forniva a personaggi tanto pesantemente compromessi, primo tra tutti Italo Balbo, l’opportunità di ricostruirsi una facciata accettabile.»

  28. ^ Stefano Lolli, Il podestà ebreo, su rivista.fondazionecarife.it, Carife, 2006. URL consultato il 20 giugno 2019.
    «Tra le grandi mostre e la riproposta del Palio, l'operazione ebbe un'indubbia valenza e rappresentò una sorta di autarchia alla ferrarese, distinta e distante dall'agiografia della romanità su cui si basava invece il fascismo. Altro particolare importante, a pilotare questa operazione fu essenzialmente il Comune, il fascio ferrarese non ne era in pratica coinvolto»
    .
  29. ^ Filmato audio Nelle celebrazioni ferraresi di Ludovico Ariosto l'Italia rivendica con rinnovato titolo le glorie spirituali del rinascimento che diedero luce e lezione al mondo, su YouTube, Istituto Luce Cinecittà, maggio 1933. URL consultato il 20 giugno 2019..
  30. ^ Filmato audio Ferrara. Alla presenza di S.M. il Re si è chiusa la celebrazione del IV Centenario Ariostesco, su YouTube, Istituto Luce Cinecittà, ottobre 1933. URL consultato il 20 giugno 2019..
  31. ^ Guarnieri 2011, pp. 40-41.
  32. ^ Il Palazzo Ducale Estense - Di Minerbi è la Vittoria del Piave posta nella Torre della Vittoria a Ferrara, su artecultura.fe.it. URL consultato il 20 giugno 2019..
  33. ^ Pavan 2006, p. 78.
  34. ^ Pavan 2006, pp. 91-93.
  35. ^ Enrico Gallerani, p. 123.
  36. ^ Archivio di Stato di Ferrara, Lettera del Ministero dell'interno al prefetto di Ferrara,21 aprile 1934.
  37. ^ LA STORIA Il podestà ebreo di Ferrara - "Tra il 1934 e il 1935, l’atmosfera cominciò tuttavia a cambiare, e non solo a Ferrara, ma in tutta Italia, dove si cominciò a prendere di mira gli ebrei che occupavano posizioni di spicco nello Stato e nella società per allontanarli" Hans Woller, ricercatore presso l’Institut für Zeitgeschichte di Monaco, su ferraraitalia.it. URL consultato il 20 giugno 2019..
  38. ^ Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direzione Generale dell'Amministrazione Civile, Podestà, b. 150, fasc. 999, s. fasc. 8, Prefetto di Ferrara a Direzione Generale dell'Amministrazione Civile del Ministero dell'Interno, 15 dicembre 1935.
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  40. ^ Archivio di Stato Ferrara, Prefettura, Gabinetto, cat. 30, b. 2, fasc. Situazione degli ebrei, Lettera del prefetto al Ministero dell'Interno, 11 luglio 1936.
  41. ^ Pavan 2006, pp. 116-120.
  42. ^ Pavan 2006, p. 124.
  43. ^ «Il podestà Renzo Ravenna si dimise dalla propria carica adducendo motivi di salute, prima di essere umiliato dal regime.», Guarnieri 2011, p. 59.
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  47. ^ Balbo si oppone alle leggi razziali, su rai.it. URL consultato l'11 febbraio 2016 (archiviato dall'url originale il 21 maggio 2016).
    «Paolo Ravenna, figlio di Renzo, parla del rapporto di grande amicizia tra suo padre e Balbo, con interventi anche di Giordano Bruno Guerri, Giorgio Rochat e Angelo Del Boca»
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  48. ^ Pavan 2006, pp. 125-126.
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  50. ^ Giuseppe Bottai, Diario 1935-1944, a cura di G.B. Guerri, Bur Biblioteca Universale Rizzoli, 2001, p. 136, ISBN 88-17-86643-1.
    «Nella riunione del Gran Consiglio dell'ottobre 1938 Mussolini, per mettere in difficoltà Balbo, citò un articolo di Nello Quilici pubblicato sulla rivista Nuova Antologia, diretta da Luigi Federzoni, nel quale si difendeva la razza ariana e si spiegava come l'indole semita fosse infida e la razza inferiore»
    .
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  58. ^ Provasi 2010, p. 105:

    «a Renzo Ravenna, già rimosso dalla carica di podestà, venne impedito di presenziare alla cerimonia funebre dell’amico Italo Balbo.»

  59. ^ Gandini 1994, p. 35.
  60. ^ Rabbini italiani, su rabbini.it. URL consultato il 20 giugno 2019..
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    «Solo negli ultimi anni della sua vita iniziò a ricevere riconoscimenti pubblici per la sua onestà come amministratore e l'impegno per la rinascita di Ferrara»
    .
  87. ^ Pavan 2006, p. 214.
  88. ^ «Pochi anni dopo, anche l’associazione della stampa ferrarese volle ufficialmente riconoscere e premiare il ruolo svolto dall’ex-podestà nel promuovere le iniziative culturali cittadine. Ma fu il figlio Paolo a presenziare, Renzo infatti era scomparso il 29 ottobre precedente. Ancora un attacco di cuore, l’ultimo.» Pavan 2006, pp. 212-213.
  89. ^ Pavan 2006, p. 213.
  90. ^ Pavan 2006, p. 272.
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  95. ^ Paolo Ravenna (Ferrara, 1926-2012) - "Paolo Ravenna nasce a Ferrara il 6 marzo 1926, in una delle famiglie più antiche della Comunità ebraica, secondogenito di Renzo Ravenna, che alla fine di quell’anno viene nominato podestà di Ferrara. La sua vita scorre tranquilla fino al 1938, quando il padre viene costretto alle dimissioni e lui e i fratelli sono espulsi dalle scuole cittadine a causa delle leggi razziali.", su museoferrara.it. URL consultato il 20 giugno 2019..
  96. ^ Giorgio Bassani, Biografia, Opere, Bibliografia, Immagini, su fondazionegiorgiobassani.it. URL consultato il 20 giugno 2019 (archiviato dall'url originale il 24 novembre 2015).
  97. ^ Pieri, p. 464:

    «Sembrerà strano: eppure erano pochissimi, prima del 1938, gli ebrei italiani che non fossero devoti di Casa Savoia, mentre il Duce, che aveva conquistato l’impero, rappresentava per molte nostre madri, zie e sorelle una specie di idolo.»

    e

    «La comunità israelitica di Ferrara, nel cui seno sono nato e cresciuto, era una piccola città dentro la città: così conformista e normale, anche essa, da fornire all’amministrazione comunale, per dodici lunghi anni, nientemeno che il podestà. È possibile essere più conformisti, più normali, più fedeli? Eravamo così conformisti, così normali, così beatamente normali, da sentirci allargare il petto di fierezza e di commozione se le maggiori autorità cittadine accettavano di intervenire alla solenne celebrazione della ricorrenza dello Statuto che si teneva ogni anno nella sinagoga di rito italiano (la celebrazione dello Statuto albertino, badate bene, che dichiarava religione dello Stato la religione cattolica, relegando le altre confessioni al rango di «tollerate»). Era, ogni anno, uno spettacolo grottesco; funebre, a pensarci adesso, dopo Auschwitz e Buchenwald.»

  98. ^ Matteo Provasi, FERRARA EBRAICA (una città nella città).
    «D’altro lato, Ravenna aveva sempre avuto rapporti solo formali con la comunità ebraica, vivendo in modo molto personale la propria religiosità»
  99. ^ Pavan 2006, pp. 97-100.
  100. ^ Archivio personale Renzo Ravenna, b 1.
  • Giorgio Bassani, Cinque storie ferraresi. Dentro le mura, Milano, Feltrinelli, 2012, ISBN 8807723387.
  • Giorgio Fabre, Mussolini razzista. Dal socialismo al fascismo: la formazione di un antisemita, Milano, Garzanti, 2005, ISBN 88-11-69328-4.
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Predecessore Sindaco di Ferrara Successore
Raoul Caretti 16 dicembre 1926 – 17 marzo 1938 Alberto Verdi
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