Sanclemente
Sanclemente | |
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D'azzurro, alla campana d'argento | |
Stato | Regno di Sicilia |
Casata di derivazione | Santcliment |
Titoli | |
Fondatore | Pedro de Sanclemente[5] |
Data di fondazione | XIII secolo |
Etnia | catalana |
I Sanclemente o San Clemente sono un'antica famiglia nobile siciliana, ramo della famiglia catalana Santcliment di Barcellona[6][7]. Godette di nobiltà in Palermo nel XIV secolo e fu tra le più influenti e cospicue casate delle città di Trapani e Salemi nel XV e nel XVI secolo. Il ramo trapanese fu insignito del titolo di baroni di Inici e si estinse nel XVII secolo.
Storia
[modifica | modifica wikitesto]La famiglia Sanclemente fu portata dalla Spagna in Sicilia da Pedro, annoverato da Ramon Muntaner tra i cavalieri di nobili famiglie catalane che il 31 agosto 1282 sbarcarono a Trapani al seguito di Pietro III di Aragona[8].
Nel 1349 un Pietro fu senatore di Palermo[9]. Nel 1356 Giuseppe fu pretore di Palermo[10][11]. Nel 1394 un altro Pietro fu senatore di Palermo[12].
Ancora nel XIV secolo troviamo un Pericono - marito di Contessa Caltagirone e genero del dominus Giovanni Caltagirone - il quale vendette hospicium unum domorum sito nel Cassaro per 100 onze alla suocera Astolfa, figlia di Filippo Sacco da Castronovo, feudatario del casale di Santo Stefano Quisquina, e vedova di Giorgio Caltagirone, figlio di Dionisio[13].
Ramo salemitano
[modifica | modifica wikitesto]A Salemi i Sanclemente sono presenti a partire dalla fine del XIII secolo con Pedro e Rumbao: Pedro vi giunse da Barcellona nel 1282, stabilì dapprima la sua residenza a Trapani, dove ottenne l'ufficio di conservatore della gente d'armi[14] e, come scrive il Barberi venne in seguito investito signore di Gibilichaleph e Gibiluasili[15][16][17][18], quindi, avendo acquistato la castellania di Salemi, piantò ivi la sua famiglia, che vi fiorì[19]; Rumbao venne creato miles nel 1283 da Pietro III di Aragona[20].
Nel XIV secolo troviamo a SalemiLuigia, figlia di Pietro e moglie di Pietro Bruno, signore di Canetici, procuratore generale del re Martino I di Sicilia, giurato nel 1391, regio cavaliere e regio familiare; e una Giovanna, moglie di Antonio, figlio primogenito di Pietro Bruno[21].
Dal XV al XVII secolo diversi esponenti della famiglia ricoprirono la carica di giurato[22]. Giacomo fu baiulo nel 1557-1558[22]; Simone fu vicesecreto nel 1565[22]; Giovanni Antonio fu, nel 1671, maestro notaro delle appellazioni[23]; Antonino, dottore in leggi, esercitò, nell'anno 1742-1743, la carica di giudice della corte capitaniale salemitana[23].
Ramo trapanese
[modifica | modifica wikitesto]Parlando dei Sanclemente, Giuseppe Maria Di Ferro li definisce[24]:
«[...] una delle più illustri famiglie di Trapani.»
A Trapani i Sanclemente sono presenti a partire dall'inizio del XV secolo; troviamo infatti un Giovanni, creato regio cavaliere da re Alfonso V d'Aragona nel 1416[25], e sappiamo che nel 1458 la famiglia è stata ammessa ai gradi di nobiltà[26].
Nel rivelo dei benefici della diocesi di Mazara del Vallo del 1430, viene nominato un Bartolomeo, canonico, il quale riceveva pro Sancto Jacubo La Yicta un'onza e ventiquattro tarì e due salme pro formenteo de terrageis[27].
Un altro Giovanni, forse lo stesso del precedente, si segnalò per singolare valore al servizio della monarchia[28]: fu regio consiliario[6] e regio cavaliere[23][29], servì re Alfonso V d'Aragona in Corsica e a Napoli[6] e fu, negli anni 1459-1460[29], 1466-1467[30] e 1477-1478[31] capitano di giustizia di Trapani, e negli anni 1470-1472 di Salemi[23]; sposò Bartolomea Mannina, figlia di Simone, regio consiliario, e di Costanza Naso Sieri Pepoli, che gli apportò il territorio di Inici e la tonnara di Scopello. I Mannina[32], di Monte San Giuliano, erano imparentati e discendevano dalla famiglia Chiaramonte[33].
Giovanni ebbe, tra gli altri figli, Simone, regio consiliario, tenente capitano di Trapani[6] e barone di Inici, che fu nominato e inviato come ambasciatore della città di Trapani più volte presso il re Ferdinando il Cattolico, presso l'imperatore Carlo V d'Asburgo e diversi viceré[34]; durante la rivolta del 1516, appoggiato da Giovanni Sieri Pepoli, signore di Recalcata, osteggiò i Fardella[6][35]. Fu senatore di Trapani nel 1503-1504[36], nel 1526-1527[37], e nel 1536-1537[38] e tenne in detta città la carica di capitano di giustizia negli anni 1505-1506[36], 1507-1508[39] e nel 1516, rinunziando però in seguito a tale carica[40]; fu poi sindaco di Trapani nel 1529 e vice portolano nel 1532[41]. Nel 1535 fu inviato insieme a Gaspare Fardella come sindaco e ambasciatore della città al Parlamento siciliano convocato da Carlo V d'Asburgo[42]. Sposò prima Diana Ponte[43] e poi Francesca Sieri Pepoli[44]; la figlia Bartolomea sposò Francesco Sieri Pepoli, signore di Recalcata, figlio di Giovanni[34].
Il figlio Giuseppe, barone di Inici e di Mokarta[45] fu ambasciatore presso il viceré nel 1544[6] e sposò Masella Cavaleri[46].
Francesco, fratello del precedente, fu senatore di Trapani nel 1546-1547[47].
Giovanni, fratello del precedente, fu capitano di due galere, e nel 1535 partecipò con 400 fanti al suo comando alla conquista di Tunisi[6]. Meritatamente ottenne un lauto stipendio e l’ufficio di capitano di giustizia[6]. Fu poi senatore di Trapani nel 1545-1546[47] e nel 1572-1573[48]. Sposò Allegranza Fardella Sieri Pepoli, figlia del barone di Fontanasalsa[6].
Simone, figlio del precedente fu sergente maggiore della milizia nel 1566 e capitano di fanteria nel 1575[6]; fu senatore di Trapani nel 1567-1568[48] e capitano di giustizia nel 1575-1576[48].
La sorella Francesca sposò Giovanni Antonio Margagliotti e in seconde nozze Ottavio Gioacchino, patrizio romano e governatore di Trapani; non ebbe figli. Fondò il monastero della Beata Vergine Maria del Santissimo Rosario sotto il titolo di sant'Andrea con il patrocinio del Senato trapanese, provvedendolo di dodici ragazze senza dote per il monacaggio[6].
Troviamo ancora un Luca, il quale - quando Giovanni de Pignero, capitano d'armi della città, fece arrestare nel 1550 alcuni nobili che, contravvenendo al bando di disarmo da lui emanato, erano stati trovati con armi addosso - essendo insignito del titolo di Don, insieme a Giuseppe e Simone suoi parenti, si rivolse al viceré Juan de Vega, reclamando il privilegio di portare armi. Il viceré, nel dare soddisfazione ai Sanclemente, ordinò che nessun nobile fosse molestato nel portare armi addosso[49].
È infine meritevole di nota un Giuseppe, frate minore scalzo, il quale, nel 1542, coadiuvò padre Giacomo da Gubbio e il nobile Pietro Di Ferro juniore nella fondazione del reclusorio di Santa Maria Maddalena, dove erano accolte quelle donne che, abbandonata una vita licenziosa, ne abbracciavano una tutta cristiana[50].
I Sanclemente furono una delle ventotto famiglie che intervennero alla fondazione della Confraternita della Carità della Santa Croce il 2 aprile 1555[51].
La famiglia godeva del giuspatronato della cappella e altare di san Nicola di Bari nel duomo di Erice[52], ereditato dai Mannina e dai Chiaramonte, casati dai quali discendeva[33], e possedeva una cappella nella chiesa di san Domenico a Trapani, dove è conservata la tomba di Simone Sanclemente.
La lotta con i Fardella
[modifica | modifica wikitesto]Alla morte di Ferdinando il Cattolico la contrastata successione al trono del nipote Carlo d'Asburgo fu accompagnata in Sicilia (e altrove nei regni iberici) da un'ondata di malessere che sfociò in una complessa trama di congiure e rivolte che interessarono il panorama politico siciliano in particolare negli anni compresi tra il 1516 e il 1523[53]. Profittando dei tumulti, Simone Sanclemente, barone di Inici, scatenò a Trapani una sanguinosa faida, assediando e incendiando il palazzo di Giacomo Fardella[54]:
«[...] Drepani etiam Iacobi Fardella domus incensa ab adversariis qui Simonem San Clementem sequebantur. [...]»
«[...] A Trapani la casa di Giacomo Fardella fu incendiata dai suoi avversari, guidati da Simone Sanclemente. [...]»
Il Fardella riparò con la famiglia a Messina[55]. Le violenze perpetrate dai sostenitori di una famiglia ai danni di quelli dell'altra tuttavia continuavano ed erano divenute così frequenti e terribili che gli stessi cittadini di Trapani ne sollecitavano la cessazione: pertanto, il 15 settembre 1550, su richiesta di alcuni cittadini e con l'intervento del maestro razionale del Regno Pietro De Agostino, il quale esercitava in quel tempo anche la carica di capitano d'armi di Trapani, si addivenne alla conclusione di un contratto di pace[56][57]. Alla firma del documento furono in 65 ad assistere per la fazione guidata dal barone Giuseppe Sanclemente, figlio di Simone, e 55 per quella di Giovan Gaspare Fardella, figlio di Giacomo[45]. Molte famiglie dell'élite trapanese e del patriziato avevano partecipato schierandosi chi per i Sanclemente, chi per i Fardella: tra i sostenitori dei Sanclemente si annoverano i Sieri Pepoli, i Vento, i Naso, i Carissima; tra i sostenitori dei Fardella i Burgio, i Montegiardino, gli Omodei, i Monaco, i Ferro[45]. Altri importanti provvedimenti che tendevano alla riconciliazione ed alla pace tra queste due famiglie rivali sono rappresentati dal matrimonio, celebrato nel 1544, tra Bartolomea Sanclemente, figlia del barone Simone, e Cristoforo Fardella, barone di Fontanasalsa, e da quello tra Giovanni Sanclemente, fratello di Bartolomea Sanclemente, e Allegranza Fardella Sieri Pepoli[58].
Albero genealogico
[modifica | modifica wikitesto]Nello schema che segue è riportata una sintesi dell'albero genealogico del ramo trapanese della famiglia:
Parentadi
[modifica | modifica wikitesto]Tra il XV e il XVI secolo i Sanclemente si sono imparentati con le primarie famiglie nobili trapanesi: Vincenzo, Ferro, Mannina (o Mannini), Staiti, Naso, Crapanzano, Fardella, Ravidà, Sieri Pepoli, Scalense, Cavaleri, Bandino, Margagliotta.
Tomba di Simone Sanclemente
[modifica | modifica wikitesto]La tomba di Simone Sanclemente è collocata nella cappella di famiglia presso la chiesa di san Domenico.
particolare | epitaffio | particolare |
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Recita l'epitaffio:
«Clare Simon atavis patrie lux stemma triquetre Sancti Clementis gloria summa domus robore et astrea virtute insignis et armis ingenio claro sanguine divitijs orbe tuis meritis pleno positisque sepulchri ossibus hinc celo restituendus ab is (O nobile Simone, per gli antenati e per la siciliana patria splendore e nobiltà, somma gloria della casa Sanclemente, per il vigore e la stellare virtù insigne, e per l'abilità nei combattimenti, l'illustre sangue e le ricchezze; essendo piena la terra dei tuoi meriti, sei da restituire al cielo, da qui, da queste ossa deposte nel sepolcro.)»
Feudi
[modifica | modifica wikitesto]Gibilichaleph ed il territorio di Gibiluasili
[modifica | modifica wikitesto]La più antica notizia è del 1310, grazie alla quale apprendiamo che Pedro de Sanclemente, il quale aveva ottenuto la castellania di Salemi, fu, a partire dal 1282, signore del feudo di Gibilichaleph[17], termine di chiara origine araba che sta a significare "piccola altura di Haleph", chiamato in seguito Mucharda e poi Moxharta[16]. Il feudo si trovava nel territorio di Salemi, presso Gibiluasili, un tenimento di terre da esso distinto del quale Pedro era parimenti feudatario[18]. Gli successe Claramunda, sua parente, alla morte della quale il feudo, il casale ed il tenimento di terre passarono alla Regia Curia; quindi re Federico III di Sicilia, con privilegio dato in Messina il 9 novembre 1310, assegnò il feudo a Simone de Curtibus[16], mentre Gibiluasili fu concesso a Guglielmo de Curtibus (Guglielmo Scurto)[18].
La baronia di Inici
[modifica | modifica wikitesto]La baronia di Inici fu creata nel 1507 con Simone Sanclemente[59][60].
Il feudo si trovava nella Val di Mazara, in un territorio sotto la giurisdizione di Monte San Giuliano e la località si trova oggi nel comune di Castellammare del Golfo[61]. Il nome originario potrebbe essere Inichi (come attestato nel manoscritto "Quinternus antiquus feudorum et bonorum feudalium aut membrorum Regie Curie cum nominibus et cognominibus baronum et feudatariorum infra scripta et notata possidencium tempore serenissimi et illustrissimi regis et principis domini regis Friderici tercii regis Sicilie") o Inithi (come attestato in altri manoscritti conservati nella Biblioteca centrale della Regione Siciliana).
Non si hanno molte notizie sulla cronotassi dei proprietari di Inici: il primo, a detta del Barberi, sembra essere stato Nicola Asmundo (in epoca normanna), troviamo quindi (in epoca sveva ed aragonese), un Gilberto Abate nel 1234, un Riccardo Abate nel 1335, e Filippa Abate, figlia del precedente, nel 1348; infine, nel 1408, Simone Mannina (Lamagnina)[62]. Ai Mannina succedettero i Sanclemente.
Proprietà
[modifica | modifica wikitesto]Il castello di Inici
[modifica | modifica wikitesto]Il castello di Inici sorge ai piedi del monte Inici nei pressi del torrente Mendola. Venne presumibilmente costruito tra l'XI ed il XVII secolo, e sicuramente prima del 1535, anno in cui Giovanni Sanclemente vi ospitò l'imperatore Carlo V d'Asburgo di ritorno dalla spedizione di Tunisi, il quale sostò una notte nel castello[63].
La tonnara di Scopello
[modifica | modifica wikitesto]La tonnara di Scopello è una delle più importanti e antiche di tutta la Sicilia, fu edificata e ampliata dalla famiglia Sanclemente nel corso del XV e del XVI secolo, passò quindi alla Compagnia di Gesù e infine alla famiglia Florio.
Si trova nel territorio di Castellammare del Golfo. La tonnara fu venduta per la prima volta a privati il 1º marzo 1442 e venne acquistata da Simone Mannina; per matrimonio con Bartolomea Mannina, figlia di Simone, che gliela portò in dote, pervenne a Giovanni Sanclemente. Quest'ultimo ottenne da Lope III Ximénez de Urrea y de Bardaixi, viceré di Sicilia, la concessione perpetua della stessa tonnara per sé e per i suoi discendenti il 28 marzo 1468 e la rese più produttiva ampliandone e ristrutturandone le struttura.
A Giovanni Sanclemente succedette l'unico figlio, Simone, barone di Inici, che ricevette la conferma della stessa successione con privilegio dato il 18 luglio 1502 a Toledo.
Donna Allegranza Sanclemente, nata Fardella, essendo premorto il figlio Simone, nel 1597, donò la tonnara al Collegio dei Gesuiti di Trapani insieme al castello di Inici e alla baronia di Inici ed alle altre proprietà della famiglia[64].
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Ovvero Gibilichaleph.
- ^ Mario Serraino, Di alcune famiglie nobili (PDF), su trapaninostra.it, p. 61.
- ^ Carlo Guida, Trapani durante il governo del viceré Giovanni de Vega (PDF), su trapaninostra.it, p. 35.
- ^ con trattamento di Don e Donna
- ^ Ovvero Pere de Santcliment (in catalano), o Pietro di Sanclemente (in italiano).
- ^ a b c d e f g h i j k Salvatore Accardi, Il testamento di Allegranza Sanclemente (PDF), su trapaniinvittissima.it, p. 2. URL consultato il 19 maggio 2013 (archiviato dall'url originale il 27 settembre 2013).
- ^ Giuseppe Castronovo, Casati nobili ericini, a cura di Anna Burdua, Trapani, Corrao, 1997, p. 76.
- ^ Filadelfo Mugnos, Teatro geologico delle famiglie nobili, Palermo, Pietro Coppola, 1647, p. 53.
- ^ Filadelfo Mugnos, Raguagli historici del Vespro siciliano, Palermo, Domenico d'Anselmo, 1669, p. 290.
- ^ Vincenzo Auria, Historia cronologica delli signori Viceré di Sicilia, Palermo, Pietro Coppola, 1697, p. 255.
- ^ Gioacchino di Marzo, Diari della città di Palermo, volume II, Palermo, Luigi Pedone Lauriel, 1869, p. 241.
- ^ Filadelfo Mugnos, Raguagli historici del Vespro siciliano, Palermo, Domenico d'Anselmo, 1669, p. 297.
- ^ Giovanni Luca Barberi, Repertorio della feudalità siciliana (1282 - 1390), Le famiglie feudali (PDF), su storiamediterranea.it, p. 105.
- ^ Padre Benigno di Santa Caterina, Trapani nello stato presente, profana e sacra (PDF), su trapaninostra.it, p. 450.
- ^ Giovanni Luca Barberi, Repertorio della feudalità siciliana (1282 - 1390), Le famiglie feudali (PDF), su storiamediterranea.it, p. 378.
- ^ a b c Di Bartolo, Gli abitati della Sicilia occidentale dal periodo bizantino all'età normanno-sveva (PDF), su amsacta.unibo.it, p. 16.
- ^ a b Giovanni Luca Barberi, Repertorio della feudalità siciliana (1282 - 1390), I feudi (PDF), su storiamediterranea.it, p. 508.
- ^ a b c Giovanni Luca Barberi, Repertorio della feudalità siciliana (1282 - 1390), I feudi (PDF), su storiamediterranea.it, p. 496.
- ^ Filadelfo Mugnos, Raguagli historici del Vespro siciliano, Palermo, Domenico d'Anselmo, 1669, p. 131.
- ^ Filadelfo Mugnos, Raguagli historici del Vespro siciliano, Palermo, 1669, p. 155.
- ^ Filadelfo Mugnos, Teatro genologico delle famiglie nobili titolate feudatarie ed antiche nobili del fidelissimo Regno di Sicilia viventi ed estinte, Palermo, Pietro Coppola, 1647, p. 186.
- ^ a b c Ugo La Rosa, Antonella Cuccia e Paolo Cammarata, Rollus rubeus officii spectabilium juratorum baronum regiarum secretiarum huius fidelis civitatis Salem, Palermo, La Rosa, 1998.
- ^ a b c d Antonino Mango di Casalgerardo, Nobliario di Sicilia, su bibliotecacentraleregionesiciliana.it.
- ^ Giuseppe Maria Di Ferro, Guida per gli stranieri in Trapani, con un saggio storico, Trapani, 1825, p. 188.
- ^ Giuseppe Fardella, Annali della Città di Trapani, Trapani, 1810, pp. 175-176.
- ^ Giuseppe Fardella, Annali della Invittissima e Fidelissima Città di Trapani, Trapani, 1810, p. 54r.
- ^ Diego Taranto, La diocesi di Mazara nel 1430 : il Rivelo dei benefici, su persee.fr, 1980, p. 529.
- ^ Giovanni Battista Comandé, Ricerche di storia siciliana (secoli XV-XIX), Palermo, Editore Lo Monaco, 1956, p. 16.
- ^ a b Francesco Maria Emanuele Gaetani, Della Sicilia nobile, parte terza, Palermo, Pietro Bentivegna, 1759, p. 389.
- ^ Francesco Maria Emanuele Gaetani, Della Sicilia nobile, parte terza, Palermo, Pietro Bentivegna, 1759, p. 390.
- ^ Francesco Maria Emanuele Gaetani, Della Sicilia nobile, parte terza, Palermo, Pietro Bentivegna, 1759, p. 391.
- ^ Ovvero Mannini, o Magnini, o Lamagnina.
- ^ a b Giuseppe Castronovo, Casati nobili ericini, a cura di Anna Burdua, Trapani, Corrao, 1997, pp. 31, 33, 80.
- ^ a b Salvatore Accardi, I Sieri Pepoli, parte quarta (PDF), su trapaniinvittissima.it, p. 66. URL consultato il 1º giugno 2013 (archiviato dall'url originale il 27 settembre 2013).
- ^ Salvatore Accardi, I Sieri Pepoli, parte quarta (PDF), su trapaniinvittissima.it, p. 60. URL consultato il 1º giugno 2013 (archiviato dall'url originale il 27 settembre 2013).
- ^ a b Francesco Maria Emanuele Gaetani, Della Sicilia nobile, parte terza, Palermo, Pietro Bentivegna, 1759, p. 393.
- ^ Francesco Maria Emanuele Gaetani, Della Sicilia nobile, parte terza, Palermo, Pietro Bentivegna, 1759, p. 396.
- ^ Francesco Maria Emanuele Gaetani, Della Sicilia nobile, parte terza, Palermo, Pietro Bentivegna, 1759, p. 397.
- ^ Francesco Maria Emanuele Gaetani, Della Sicilia nobile, parte terza, Palermo, Pietro Bentivegna, 1759, p. 394.
- ^ Francesco Maria Emanuele Gaetani, Della Sicilia nobile, parte terza, Palermo, Pietro Bentivegna, 1759, p. 395.
- ^ Stefano Fontana, Il '500 a Trapani (PDF), su trapaninostra.it, p. 23.
- ^ Carlo Guida, Trapani durante il governo del viceré Giovanni de Vega (PDF), su trapaninostra.it, p. 37n.
- ^ Salvatore Accardi, I Sieri Pepoli, parte quarta (PDF), su trapaniinvittissima.it, p. 62. URL consultato il 1º giugno 2013 (archiviato dall'url originale il 27 settembre 2013).
- ^ Salvatore Accardi, I Sieri Pepoli, parte quarta (PDF), su trapaniinvittissima.it, p. 70. URL consultato il 1º giugno 2013 (archiviato dall'url originale il 27 settembre 2013).
- ^ a b c (ES) Pier Luigi Nocella, Tradición, familias y poder en Sicilia (siglos XVIII-XX), su ebuah.uah.es, p. 291.
- ^ Stefano Fontana, Il '500 a Trapani (PDF), su trapaninostra.it, p. 27.
- ^ a b Francesco Maria Emanuele Gaetani, Della Sicilia nobile, parte terza, Palermo, Pietro Bentivegna, 1759, p. 398.
- ^ a b c Francesco Maria Emanuele Gaetani, Della Sicilia nobile, parte terza, Palermo, Pietro Bentivegna, 1759, p. 400.
- ^ Carlo Guida, Trapani durante il governo del viceré Giovanni de Vega (PDF), su trapaninostra.it, pp. 36-37.
- ^ Giuseppe Maria Di Ferro, Guida per gli stranieri in Trapani, con un saggio storico, Trapani, 1825, pp. 188-189.
- ^ Francesco Maria Emanuele Gaetani, Della Sicilia nobile, Palermo, Pietro Bentivegna, 1759, p. 423.
- ^ Salvatore Accardi, Il testamento di Allegranza Sanclemente (PDF), su trapaniinvittissima.it, p. 4. URL consultato il 19 maggio 2013 (archiviato dall'url originale il 27 settembre 2013).
- ^ Rossella Cancila, Congiure e rivolte nella Sicilia del Cinquecento (PDF), su storiamediterranea.it, Associazione Mediterranea, aprile 2007, p. 47.
- ^ Marco Augugliaro, Guida di Trapani, Trapani, Fratelli Messina, 1914, pp. 285-286.
- ^ (ES) Pier Luigi Nocella, Tradición, familias y poder en Sicilia (siglos XVIII-XX), su ebuah.uah.es, 284-285.
- ^ (ES) Pier Luigi Nocella, Tradición, familias y poder en Sicilia (siglos XVIII-XX), su ebuah.uah.es, p. 290.
- ^ Carlo Guida, Trapani durante il governo del viceré Giovanni de Vega (PDF), su trapaninostra.it, p. 38.
- ^ (ES) Pier Luigi Nocella, Tradición, familias y poder en Sicilia (siglos XVIII-XX), su ebuah.uah.es, p. 425.
- ^ Francesco San Martino de Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, dalla loro origine ai nostri giorni (1925), volume decimo, Palermo, Boccone del Povero, 1941, p. XXX.
- ^ Antonino Mango di Casalgerardo, Sui titoli di barone e di signore in Sicilia, Palermo, A. Reber, 1904, p. 58n.
- ^ Salvatore Costanza, La patria armata, su trapaninostra.it.
- ^ Giovanni Luca Barberi, Repertorio della feudalità siciliana (1282 - 1390), I feudi (PDF), su storiamediterranea.it, p. 499.
- ^ Salvatore Dalia, Il viaggio e i luoghi di Carlo V in Sicilia, su iluoghidellasorgente.wordpress.com.
- ^ Rosario La Duca, La Tonnara di Scopello, Palermo, Grifo, 1989.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Francesco Maria Emanuele Gaetani, "Le tonnare della Sicilia" (a cura di G. Marrone), Palermo 1986
- Filadelfo Mugnos, "Teatro genealogico delle famiglie nobili, titolate, feudatarie ed antiche del fedelissimo regno di Sicilia viventi ed estinte", Palermo 1647
- Giovanni Luca Barberi, "I capiverbi III, I feudi di Val di Mazara" (a cura di G. Silvestri), Palermo 1888
- "De Rebus Regni Siciliae" (a cura di G. Silvestri), Palermo 1882
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- Antonino Mango di Casalgerardo, Nobiliario di Sicilia [collegamento interrotto], su bibliotecaregionalepalermo.it.