Sermone dell'Addio
Il sermone dell'Addio (in arabo ﺧﻄﺒـة ﻓﻲ ﺣﺠـة ﺍﻟﻮﺩﺍﻉ?, Khuṭba fī ḥajjat al-wadāʿ) fu un discorso che il profeta dell'Islam Maometto rivolse agli oltre 100.000 musulmani da lui convocati perché partecipassero insieme al rito del Pellegrinaggio maggiore (Ḥajj) il 2 febbraio del 632, equivalente al 5 Dhū l-Qaʿda del 10 E..
Dal Monte Arafat, dopo il wuqūf (stazione) e dopo la salat al-zuhr (preghiera del mezzodì), egli - secondo la versione fornitaci da Ibn Isḥāq nella al-Sīra al-nabawiyya e tradotta da Leone Caetani nei suoi Annali dell'Islām[1] - disse:
«Dopo ch'egli ebbe [due volte] lodato Dio,[2] proseguì dicendo:
O gente! Ascoltate le mie parole, perché io non so, se v'incontrerò mai di nuovo dopo questo anno in questa ricorrenza.
O gente! Il vostro sangue e i vostri beni devono esservi sacri (ḥarām), finché incontrerete il vostro Signore, sacri come sono sacri questo vostro giorno e questo vostro mese, perché un giorno dovrete incontrare il vostro Signore,[3] il quale v'interrogherà sulle vostre opere.[4] Ora io ho compiuto la mia missione. Chi ha in consegna beni affidati alla sua custodia, li restituisca a chi glieli ha consegnati. Tutti gli interessi sui capitali dati in prestito sono soppressi, ma il capitale rimane come debito, né dovete commettere alcuna ingiustizia: allora non avrete a soffrirne alcuna. Dio ha stabilito che nessun interesse debba essere più pagato, e tutti gli interessi dovuti ad ʿAbbās b. ʿAbd al-Muṭṭalib sono perenti e nulli. Del pari sono annullate tutte le vendette di sangue del tempo della barbarie (Jāhiliyya): la prima vendetta di sangue che io annullo fra voi è quella di Rabīʿa b. al-Ḥārith b. ʿAbd al-Muṭṭalib.
E in seguito:
Gente! Satana[5] ha perduto oramai ogni speranza di essere mai più adorato in questo vostro paese; se però taluni gli obbediscono in altre cose oltre a questo, allora egli rimane pur soddisfatto con le vostre azioni malvagie: perciò state in guardia contro di lui per la vostra religione.
O gente! Il Nasīʾ[6] è pure un atto di miscredenza, con il quale cadono in errore i miscredenti, dichiarando sacro un mese in un anno, e in un altro anno dichiarandolo libero: con la pretesa di uguagliare ciò che Dio ha consacrato, desecralizzano quello che Dio ha consacrato, e consacrano quello che Dio ha lasciato libero. Il tempo ha compiuto il suo giro, ritornando come era nel giorno, in cui Dio creò i cieli e la terra: il numero dei mesi presso Dio è dodici, dei quali quattro sono sacri: tre di essi si susseguono (Dhū l-Qaʿda, Dhū l-Ḥijja e Muḥarram, il quarto) Rajab di Muḍar sta fra i due Jumādā, e poi v'è Shaʿbān.
E in seguito:
O gente! Voi avete diritti sulle vostre donne, ma anch'esse hanno diritti su di voi. Voi avete diritto di esigere da loro, che nessuno, che a voi non piace, prema il vostro giaciglio, e che esse non abbiano a commettere alcuna azione manifestamente sconveniente. Se esse pur lo fanno, Dio vi concede di tenerle lontane dal vostro giaciglio e di punirle con moderazione: se però esse si astengono da ciò, voi dovete a loro, in conveniente misura, e vitto e vestiario. Trattate bene le donne, perché sono le vostre ausiliarie o per loro stesse nulla possono possedere. Voi le dovete prendere come beni affidati da Dio alla vostra custodia, e giusta le parole di Dio vi è permesso di giacere con esse. Meditate bene, o gente!, le mie parole, perché io ho compiuta la mia missione e ho lasciato fra voi quello che basta, affinché voi, se ad esso vi attenete, non possiate mai cadere in errore; vi lascio cioè un ordine chiaro e manifesto, il Libro di Dio, e l'esempio del suo Profeta (sunna nabiyyihi).
Gente! Ascoltate le mie parole e meditatele bene: sappiate che ogni musulmano è fratello di ogni altro musulmano: tutti i musulmani sono fratelli: a nessuno è permesso di prendere al fratello ciò che egli non ha dato con buona volontà: non commettete veruna ingiustizia a vostro danno. Dio! Non ho forse compiuto la mia missione?»»
Al che gli astanti risposero in coro:
«O Dio! Sì!»[7]
al che Maometto soggiunse:
«Dio! Siine testimonio!»[8]
Note
[modifica | modifica wikitesto]Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Ibn Isḥāq-Ibn Hishām, al-Sīra al-nabawiyya, 2 voll., Muṣṭafā al-Saqqā, Ibrāhīm al-Abyāri e ʿAbd al-Ḥafīẓ Šiblī (edd.), Il Cairo, Muṣṭafā al-Bābī al-Ḥalabī, 19552.
- Leone Caetani, Annali dell'Islām, 10 voll. Milano-Roma, Ulrico Hoepli-Fondazione Caetani della Reale Accademia dei Lincei, 1905-1926.