Repubblica Sociale Italiana

Repubblica Sociale Italiana
Repubblica Sociale Italiana - Localizzazione
Repubblica Sociale Italiana - Localizzazione
In verde scuro la Repubblica Sociale Italiana, in verde chiaro le due Zone d'operazioni (OZAK e OZAV) teoricamente parte della RSI, ma de facto territori annessi alla Germania nazista.
Dati amministrativi
Nome completoRepubblica Sociale Italiana
Nome ufficialeRepubblica Sociale Italiana
Lingue ufficialiitaliano
Lingue parlateItaliano
InnoNessuno[1]
CapitaleRoma (proclamata, ma mai sede del governo)
Altre capitaliSalò, Brescia, Gargnano, Verona, Milano (sede di ministeri, agenzie governative e corpi militari della RSI)
Dipendente daGermania (bandiera) Germania
DipendenzeItalia (bandiera) Dodecaneso italiano (in subordine ai tedeschi[2])
Politica
Forma di StatoStato totalitario
Forma di governoRepubblica presidenziale (de iure)[3]
Dittatura militare fascista (de facto)
Duce e Capo del GovernoBenito Mussolini
Nascita23 settembre 1943 con Benito Mussolini
CausaOccupazione militare tedesca dell'Italia dopo l'armistizio e la fuga di Vittorio Emanuele III; decisione di Hitler di avallare la creazione di uno stato fascista satellite nell'Italia occupata, con a capo Benito Mussolini.
Fine25 aprile 1945 con Benito Mussolini
CausaCampagna d'Italia
Resa di Caserta
Territorio e popolazione
Bacino geograficoAlla nascita: Italia settentrionale (1943-1945) e Italia centrale (1943-1944), eccetto l'exclave di Campione d'Italia e, parzialmente, i territori sottoposti all'amministrazione territoriale della Germania nazista: Venezia Tridentina, Cadore, Friuli, Venezia Giulia.
Economia
ValutaLira italiana
Commerci conGermania (bandiera) Germania[4]
Religione e società
Religioni preminentiCattolicesimo
Religione di StatoCattolicesimo
Evoluzione storica
Preceduto daItalia (bandiera) Regno d'Italia
Succeduto da Regno d'Italia
Ora parte diItalia (bandiera) Italia
Croazia (bandiera) Croazia
Francia (bandiera) Francia
Slovenia (bandiera) Slovenia
Montenegro (bandiera) Montenegro

La Repubblica Sociale Italiana (RSI) fu un regime collaborazionista con la Germania nazista esistito tra il settembre 1943 e l'aprile 1945, voluto da Adolf Hitler e guidato da Benito Mussolini al fine di governare i territori italiani controllati militarmente dai tedeschi dopo l'armistizio di Cassibile.[5] È conosciuta anche come Repubblica di Salò, in quanto a Salò (BS) aveva sede l'Agenzia di stampa Stefani, che emetteva in esclusiva notizie stampa e comunicati della RSI, ognuno dei quali iniziava con luogo (Salò) e data.

La RSI, riconosciuta principalmente solo dalle altre Potenze dell'Asse e priva di un impianto giuridico-costituzionale ufficiale, è stata considerata uno Stato fantoccio da gran parte della storiografia[6][7][8][9][10] e dalla prevalente dottrina in materia di diritto internazionale;[11] tuttavia alcuni storici e giuristi le hanno attribuito un qualche grado di sovranità.[12] Lo stesso Mussolini era comunque consapevole che i tedeschi considerassero il suo regime alla stregua di uno Stato fantoccio.[13] L'attuale ordinamento italiano non le riconosce alcuna legittimità; infatti, nel decreto legislativo luogotenenziale 5 ottobre 1944, n. 249 sull'"Assetto della legislazione nei territori liberati" essa è definita «sedicente governo della repubblica sociale italiana».[14]

La strutturazione giuridico-istituzionale della RSI sarebbe dovuta essere demandata a un'assemblea costituente, come richiesto dal congresso del Partito Fascista Repubblicano (14-16 novembre 1943). Si sarebbe dovuta instaurare una «repubblica sociale» in linea con i principi programmatici, a cominciare dalla «socializzazione delle imprese», tracciati nel documento noto come Manifesto di Verona e approvato durante i lavori congressuali. Mussolini preferì però rinviare la convocazione della Costituente al dopoguerra, limitandosi a far approvare al Consiglio dei ministri del 24 novembre la denominazione di RSI. Nel Consiglio dei ministri del 16 dicembre 1943[15] venne poi presentata una bozza completa di una possibile costituzione della RSI.[16]

L'avanzata angloamericana nella primavera del 1945 e l'insurrezione del 25 aprile 1945 determinarono la fine della RSI, la quale cessò ufficialmente di esistere con la resa di Caserta del 29 aprile 1945 (operativa dal 2 maggio) sottoscritta dagli Alleati con il Comando Tedesco Sud-Ovest anche a nome dei corpi militari dello Stato fascista, in quanto quest'ultimo non era riconosciuto dagli Alleati come valido e autonomo.

Fondamenti ideologico-giuridico-economici della Repubblica Sociale Italiana furono il fascismo, il socialismo nazionale, il repubblicanesimo, la socializzazione, la cogestione, il corporativismo e l'antisemitismo.[17][18]

La denominazione

La creazione di uno Stato italiano fascista guidato da Mussolini fu annunciata dallo stesso il 18 settembre 1943 attraverso Radio Monaco.[19] Tre giorni prima l'agenzia ufficiosa del Reich, la DNB, aveva comunicato che Mussolini assumeva «nuovamente la suprema direzione del Fascismo in Italia» diramando i primi cinque fogli d'ordini del duce.

Il 23 settembre si tenne il primo Consiglio dei ministri della RSI presso l'ambasciata tedesca a Roma, costituendo il nuovo governo della RSI guidato da Mussolini, benché in assenza di quest'ultimo, ancora in Germania. In questa fase viene usata l'espressione "Stato Fascista Repubblicano d'Italia". Il 27 settembre il governo comunicava che «si dà inizio al funzionamento del nuovo Stato Fascista Repubblicano».[20]

Il 28 settembre nel secondo Consiglio dei ministri, il primo presieduto da Mussolini, tenutosi alla Rocca delle Caminate presso Forlì, venne usata la denominazione di "Stato Nazionale Repubblicano".[21] La prima Gazzetta Ufficiale a non riportare le insegne e le intestazioni monarchiche fu quella pubblicata il 19 ottobre.[22] Il 20 ottobre il ministro guardasigilli dispose «che la denominazione "Regno d'Italia" negli atti e documenti e in tutte le intestazioni relative a questo Ministero e agli Uffici da esso dipendenti, sia sostituita dalla denominazione: "Stato Nazionale Repubblicano d'Italia"».

Al terzo Consiglio dei ministri del 27 ottobre, tenutosi nella sede definitiva di Palazzo Feltrinelli a Gargnano, Mussolini annunciò «la preparazione della Grande Assemblea Costituente, che getterà le solide fondamenta della Repubblica Sociale Italiana»; tuttavia lo Stato non cambiò nome. Il 17 novembre il Manifesto di Verona approvato dal nuovo Partito Fascista Repubblicano delineò la creazione di una «Repubblica Sociale».

Il 24 novembre il quarto Consiglio dei ministri deliberò che «lo Stato nazionale repubblicano prenda il nome definitivo di "Repubblica Sociale Italiana"» a partire dal 1º dicembre 1943.[23]

La RSI fu ben presto nota anche come "Repubblica di Salò", dal nome del comune sul lago di Garda sede del Ministero degli esteri e del Ministero della cultura popolare con le agenzie di stampa, onde per cui la maggior parte dei dispacci ufficiali recavano l'intestazione "Salò comunica…" o "Salò informa…" o "Salò dice…".[24]

  • 23.09.1943-28.09.1943: Stato Fascista Repubblicano d'Italia
  • 28.09.1943-30.11.1943: Stato Nazionale Repubblicano d'Italia
  • 01.12.1943-02.05.1945: Repubblica Sociale Italiana

Storia

Le origini

Durante la seconda guerra mondiale, dopo lo sbarco americano in Sicilia e l'ormai ritenuta inesorabile sconfitta dell'Italia, furono a molti livelli cercate soluzioni per uscire dalla crisi. Il 25 luglio 1943 il Gran Consiglio del Fascismo, organismo costituzionale e direttorio politico del PNF, con l'ordine del giorno Grandi[25] aveva invitato Mussolini:

«a pregare la Maestà del Re […] affinché Egli voglia, per l'onore e la salvezza della Patria, assumere – con l'effettivo comando delle Forze Armate […] – quella suprema iniziativa di decisione che le nostre istituzioni a Lui attribuiscono e che sono sempre state […] il retaggio glorioso della nostra Augusta Dinastia di Savoia.»

Nell'approvazione dell'ordine del giorno c'era stato il voto, se non decisivo almeno assai significativo, di Galeazzo Ciano, ex ministro degli esteri e genero del Duce, e di Dino Grandi, importante politico e diplomatico che aveva rappresentato nel mondo il prestigio dell'Italia fascista.

Nel pomeriggio dello stesso 25 luglio, Mussolini era stato ricevuto dal Re nella sua residenza di Villa Savoia. Dopo un breve colloquio, che si era concluso con la richiesta delle dimissioni da Capo del governo, Mussolini fu arrestato e condotto, con un'ambulanza della Croce Rossa, presso la caserma della Legione Allievi Carabinieri di via Legnano, ove restò recluso per tre notti prima di essere trasferito altrove il 28 luglio. Non presso la sua residenza di Rocca delle Caminate, come egli sperava, ma imbarcato a Gaeta sulla corvetta Persefone e trasferito prima a Ventotene, poi sull'isola di Ponza e, dal 7 agosto, con la corvetta Pantera,[26] sull'isola della Maddalena. Infine, dal 28 agosto, ai piedi del Gran Sasso, per poi salire il 3 settembre a Campo Imperatore, dove restò, controllato da 250 carabinieri e guardie di pubblica sicurezza, sino alla sua liberazione da parte di un reparto di paracadutisti tedeschi.

Al posto di Mussolini il Re aveva nominato Pietro Badoglio, il quale subito aveva sedato l'euforia popolare sorta alla notizia della caduta del capo del fascismo e spento le speranze di pace con un proclama radiofonico caratterizzato dall'impegno: "La guerra continua". Dopo lunghe trattative, si giunse alla firma dell'armistizio di Cassibile tra l'Italia e gli Alleati, firmato il 3 settembre 1943 ed effettivo dopo il proclama Badoglio dell'8 settembre 1943. A ciò seguì un generale sbandamento, durante il quale la famiglia reale fuggì da Roma insieme a Badoglio e al suo governo, rifugiandosi a Brindisi.

Le autorità e i dirigenti dello Stato, compresi gli stati maggiori delle forze armate, si resero irreperibili, mentre le truppe tedesche prendevano il controllo del Paese seguendo un preciso piano organizzato mesi prima (Operazione Achse). La penisola restava così divisa in due, occupata dalle forze alleate al sud e dalle forze tedesche al centro-nord, con Roma tenuta dai tedeschi sino al 4 giugno 1944.

Dal Gran Sasso al lago di Garda, passando per la Germania

La nascita di un governo fascista nell'Italia occupata dai tedeschi era già stata pianificata segretamente (Operazione Achse) dai vertici di Berlino prima della liberazione di Mussolini: inizialmente si pensò ad un governo con Alessandro Pavolini, Vittorio Mussolini e Roberto Farinacci – esuli in Germania dopo il 25 luglio –, ma nessuno dei tre sembrava dare sufficienti garanzie alla Germania, mentre Farinacci rifiutò ogni incarico.[27] Si ventilò allora la possibilità di affidare il governo a Giuseppe Tassinari. La liberazione di Mussolini risolse il problema.[27]

La liberazione di Mussolini era stata minuziosamente organizzata dai tedeschi,[28] per diretto ordine di Hitler, e venne realizzata il 12 settembre da truppe scelte guidate da Kurt Student, Harald-Otto Mors e dal maggiore Otto Skorzeny, che dopo aver preso possesso dei luoghi e liberato il prigioniero, lo condusse a Monaco di Baviera. Qui Mussolini discusse della situazione del nord Italia in una serie di colloqui (durati due giorni) con Hitler dei quali non è giunto alcun verbale.[27] Inizialmente depresso e incerto, Mussolini fu convinto da Hitler,[27] che avrebbe minacciato di ridurre l'Italia "peggio della Polonia", e accettò di costituire un governo fascista al nord.[29]

Il 15 settembre furono emanate da Monaco le prime direttive[30] per riorganizzare il Partito fascista, che nel frattempo si stava ricostituendo spontaneamente dopo la dissoluzione sotto il peso degli avvenimenti dell'Armistizio, e della MVSN, in parte rimasta armi al piede.

Riprendendo il programma dei Fasci italiani di combattimento del 1919, richiamandosi a Mazzini ed enfatizzando le origini e i contenuti repubblicani e socialisti,[30] il 17 settembre Mussolini proclamò da Radio Monaco, emittente captata in buona parte dell'Italia settentrionale, la prossima costituzione del nuovo Stato fascista. Questa sarebbe stata formalizzata il giorno 23, quando la prima riunione del Governo della Repubblica Sociale Italiana si insediò a Roma.[31]

«Lo Stato che noi vogliamo instaurare sarà nazionale e sociale nel senso più lato della parola: sarà cioè fascista nel senso delle nostre origini.»

A novembre fu istituita un'ambasciata della RSI in Germania: fu nominato ambasciatore Filippo Anfuso, che si accreditò a Hitler il giorno 13. Il Reich ricambiò inviando a Salò Rudolf Rahn, già ambasciatore a Roma prima dell'armistizio, che si accreditò a Mussolini l'11 dicembre, anniversario della firma del Patto Tripartito. Le sedi degli organi istituzionali, dei ministeri e delle forze armate della RSI vennero distribuite in tutto il nord Italia.

Villa Simonini, sede del Ministero degli Esteri della RSI

Il circondario di Salò, sede di alcuni dei maggiori uffici governativi, non era solo di grande bellezza paesaggistica, ma era anche strategicamente assai importante: oltre alla vicinanza alle industrie siderurgiche e alle fabbriche d'armi (ad esempio a Gardone Val Trompia, ove avevano sede la Beretta e altri impianti minori), vantava la prossimità a Milano e alla frontiera tedesca; oltre ad essere riparato dall'arco alpino, risultava equidistante dalla Francia e dall'Adriatico. Inoltre all'epoca l'attuale autostrada A4 era stata realizzata solo fra Torino e Brescia; pertanto uno dei collegamenti stradali più veloci fra Milano e il Brennero era costituito dalla Strada Statale 237 del Caffaro, che passava a pochi chilometri da Salò e, snodandosi in valli montane piuttosto strette, era difficilmente attaccabile da velivoli militari.

Salò era pertanto nel cuore dell'ultima parte dell'Italia ancora in grado di svolgere la produzione e dunque capace di creare merci da esportare, ancorché sottoprezzo e soltanto alla Germania.

La caduta

Lo stesso argomento in dettaglio: Caduta della Repubblica Sociale Italiana.

La caduta della Repubblica Sociale Italiana avvenne in tre momenti:

  • il 25 aprile 1945, con lo scioglimento dal giuramento per militari e civili, quale ultimo atto di governo di Mussolini;
  • il 28 aprile 1945, con la fucilazione di Mussolini e di gran parte del governo della RSI a Dongo;
  • il 29 aprile 1945, con la resa di Caserta, entrata in vigore il 2 maggio: una resa incondizionata, congiunta a quella dei Comandi tedeschi operanti sul territorio italiano, che impose alle Forze Armate repubblicane la consegna delle armi, oltre il passaggio in prigionia a discrezione dei vincitori della campagna d'Italia (anche se alcuni reparti in Venezia Giulia e Piemonte si arrenderanno solo ai primi di maggio del 1945).

Nel 1944 gli angloamericani erano riusciti a superare le linee di resistenza lungo la penisola e alla conquista del Nord Italia si frapponeva soltanto la linea Gotica. Quello che restava dello Stato repubblicano istituito il 28 settembre 1943 a Rocca delle Caminate di Meldola, trafitto da bombardamenti, guerriglie, razionamenti, requisizioni e sabotaggi, era sempre più in difficoltà. Un ultimo tentativo di simbolica resistenza disperata fu progettato con il "Ridotto alpino repubblicano", ma l'inconsistenza delle forze che avrebbero dovuto sostenere tale resistenza fece naufragare il progetto.

La fine politica della RSI avvenne la sera del 25 aprile 1945 nella sede della Prefettura milanese. Determinanti furono la disfatta tedesca del 21 aprile a Bologna a seguito dell'offensiva di primavera degli alleati e la decisione di Mussolini di non difendere Milano, aggiunte al fallimento di accordi di resa tramite esponenti moderati del PSI o, in extremis, tramite l'arcivescovo di Milano, cardinal Alfredo Ildefonso Schuster.

Traduzione in tedesco della delega di Graziani a Wolff per una resa delle Forze Armate della RSI identica a quella dei Comandi tedeschi in Italia

Dopo aver trasferito i poteri governativi al ministro della giustizia e aver disimpegnato tutti dalla fedeltà alla RSI, Mussolini partì per Como, disarmato e con intenti di fuga, probabilmente in Svizzera, dove aveva già tentato di far riparare sia la famiglia, sia l'amante Clara Petacci. I partigiani lo bloccarono su un camion tedesco, vestito da caporale dell'esercito germanico.

A conferma della sua volontà di fuga, le dichiarazioni contenute nel libro di Silvio Bertoldi I tedeschi in Italia, relative al tenente delle SS Fritz Birzer, che aveva ricevuto direttamente da Berlino a metà del mese di aprile 1945 l'ordine di non perdere di vista Mussolini. Birzer affermò che si sarebbe potuto fare di più e meglio, per evitare la cattura del Duce; in particolare perché nelle ultime ore di libertà sia i gerarchi fascisti, sia il piccolo drappello di Birzer vennero raggiunti dai circa 200 uomini del Battaglione Fallmeyer (dal nome del suo comandante), in ritirata organizzata e potentemente armati verso la Germania.

Mussolini pretese di raggiungere il confine italo-elvetico sganciandosi da Fritz Birzer, che lo raggiunse in modo rocambolesco e quasi grottesco, viste le funzioni di salvaguardia che avrebbe dovuto esercitare.

Una volta catturato, Mussolini venne giustiziato il 28 aprile a Giulino. L'indomani il suo corpo venne portato a Milano insieme ai fucilati sul Lungolago di Dongo e appeso a testa in giù alla pensilina di una stazione di servizio nei pressi del luogo nel quale il 10 agosto 1944 era stata consumata la strage di Piazzale Loreto, che aveva visto la fucilazione da parte dei nazifascisti di 15 partigiani ed antifascisti lasciati esposti con ludibrio e per intimidazione per tutto il giorno.

Alle ore 14:00 dello stesso 29 aprile 1945, le Forze Armate della RSI risultarono definitivamente sconfitte secondo le convenzioni de L'Aia e di Ginevra perché, dopo un impegno firmato da Graziani per una resa militare alle stesse condizioni imposte ai tedeschi, in modo esplicito erano state incluse in un documento a validità internazionale, passato alla storia come resa di Caserta. Detto documento era attinente alla capitolazione del Comando tedesco del Sud Ovest e di quello delle SS und Polizei in Italia (per le retrovie) e fissava dopo tre giorni, alle ore 14:00 del 2 maggio, la cessazione delle ostilità sull'intero territorio di competenza.

Con la fine della Repubblica Sociale, iniziarono le trattative per il trattato di pace che sarà firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, che vedrà la definitiva perdita dell'Istria oltre al pagamento di ingenti risarcimenti ai paesi vincitori. Tuttavia, a causa della pace separata dell'8 settembre 1943, l'Italia poté evitare di subire la spartizione in zone di occupazione (come la Germania) nonché la consegna dei propri poteri esecutivi all'esercito americano (come il Giappone).

Alla fine della guerra ebbe luogo un regolamento dei conti con i fascisti, alcuni dei quali, oltre ad avere a vario titolo partecipato alla oppressione del ventennio del regime e/o alle violenze squadriste nel periodo dell'ascesa del fascismo, si erano macchiati nel corso della guerra anti-partigiana delle più gravi efferatezze, in concorso con le truppe tedesche (come per esempio negli eccidi di Marzabotto e Sant'Anna di Stazzema, dove furono i repubblichini a guidare le truppe della Wehrmacht e delle SS al massacro delle popolazioni inermi). Come spesso accade in questi casi, è possibile che anche degli innocenti siano stati coinvolti. I registri ufficiali riportano un numero totale di 9.237 esecuzioni ove non vengono tuttavia conteggiate le "sparizioni", gli assassinii ufficialmente rimasti irrisolti, le violenze diffuse su ampie porzioni del territorio, dal cosiddetto Triangolo della morte alle zone vicine al confine con la Jugoslavia, violenze in quest'ultimo caso che confluiranno nei massacri delle foibe.[senza fonte]

Per porre fine a questo clima di violenza, il ministro di grazia e giustizia del governo provvisorio del CLN, Palmiro Togliatti, decise un'amnistia per i reati comuni e politici, compresi quelli di collaborazionismo con il nemico e reati annessi, come anche il concorso in omicidio.

Geografia

Repubblica Sociale Italiana - Le aree segnate in verde facevano ufficialmente parte della R.S.I. ma erano considerate dalla Germania zone di operazione militare e sottoposte a diretto controllo tedesco.

Pur rivendicando tutto il territorio del Regno d'Italia,[32] la RSI si estese solo sulle province non soggette all'avanzata alleata e all'occupazione tedesca diretta. Inizialmente la sua attività amministrativa si estendeva fino alle province del Lazio e dell’Abruzzo[senza fonte], ritirandosi progressivamente sempre più a nord, in concomitanza all'avanzata degli angloamericani.

A nord, inoltre, i tedeschi istituirono due "Zone di operazioni" comprendenti dei territori che erano state parti dell'Impero austro-ungarico: le province di Trento, Bolzano e Belluno (Zona d'operazioni delle Prealpi) e le provincie di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana (Zona d'operazioni del Litorale adriatico), sottoposte rispettivamente ai Gauleiter tedeschi del Tirolo e della Carinzia, de facto anche se non legalmente governate dal Terzo Reich, tranne la Carniola che fu sottoposta ad un regime speciale.[33] L'exclave di Campione d'Italia fu inclusa nella Repubblica solo per pochi mesi, prima di essere liberata grazie ad una rivolta popolare appoggiata dai carabinieri.[34][35]

Ordinamento istituzionale

Il Governo della RSI

La Repubblica Sociale Italiana ebbe un governo de facto, ovvero un esecutivo che operava in mancanza di una Costituzione, la quale pur essendo stata redatta[38][39][40][41][42] non venne mai discussa e approvata.

Tale organo, pur sembrando possedere tutte le prerogative essenziali per essere considerato sovrano (potere legislativo, autorità sul territorio, esclusività della moneta e disponibilità di forze armate) le esercitò de facto, ma non de iure. Benito Mussolini fu – sia pure mai proclamato – Capo della Repubblica (così il Manifesto di Verona definiva la figura del capo dello Stato, mentre nel citato progetto di Costituzione si parla di "Duce della Repubblica")[43], capo del Governo e ministro degli Esteri. Il Partito Fascista Repubblicano (PFR) fu retto da Alessandro Pavolini. Erede di ciò che rimaneva al nord della MVSN, dell'Arma dei Carabinieri e della Polizia dell'Africa Italiana, fu creata la Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) con compiti di polizia giudiziaria e di polizia militare, posta sotto il comando di Renato Ricci.

Il 13 ottobre 1943 fu annunciata l'imminente convocazione di un'Assemblea Costituente, che avrebbe dovuto redigere una Carta costituzionale nella quale la sovranità sarebbe stata attribuita al popolo. Dopo la prima assemblea nazionale del PFR, svoltasi a Verona il 14 novembre 1943, questo annuncio fu annullato da Mussolini, avendo deciso di convocare detta Assemblea Costituente a guerra conclusa. Il 20 dicembre 1943 il Consiglio dei Ministri della Repubblica Sociale Italiana decise di soprastampare i francobolli con effigie di Vittorio Emanuele III affinché venissero usati nei propri territori. Solo alla fine del 1944 verrà emessa una serie con vignette appositamente illustrate.

Le norme ufficiali della Repubblica Sociale Italiana venivano pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale d'Italia.[44]

Mussolini riprese la tradizione di ricevere in udienza chiunque.[45]

Ideologia

Fondamenti ideologico-giuridico-economici della Repubblica Sociale Italiana furono il fascismo, il socialismo nazionale, il repubblicanesimo, la socializzazione dell'economia, la cogestione, il corporativismo e l'antisemitismo.[17][18]

Partiti politici

Ordine pubblico e politiche razziali

Forze dell'ordine e repressione

La principale forza dell'ordine era la Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) e le Brigate nere, affiancate da altri reparti anche tedeschi. Molto tristemente famosa fu la banda Carità (ufficialmente Reparto Servizi Speciali), che si distinse per la sua efferata repressione, l'uso costante della tortura e per i tentativi di corrompere persino i fiancheggiatori e i partigiani stessi, infiltrando le bande partigiane.

La persecuzione degli ebrei

La persecuzione fascista degli ebrei, formalizzata con le leggi razziali del 1938, si aggravò ulteriormente dopo la costituzione della Repubblica Sociale Italiana. Il manifesto di Verona stabilì infatti all'articolo 7 che: «Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica».

«Affermazione gravissima ed aberrante moralmente e storicamente, ma che – a ben vedere – non aggiungeva nulla di nuovo alla posizione che, come abbiamo dimostrato, Mussolini e Buffarini Guidi erano andati prendendo negli anni precedenti […]. L'intenzione di Mussolini e dei "moderati" era senza dubbio di concentrare sino alla fine della guerra tutti gli ebrei […] e di rinviare la soluzione a guerra finita […]. L'assurdità della soluzione adottata è evidente: per qualsiasi persona di buon senso non poteva infatti esservi dubbio che […] concentrare gli ebrei volesse in pratica dire permettere ai nazisti di impadronirsene quando volevano e, quindi, di sterminarli. […] Anche in questo aspetto particolare si rileva dunque la insostenibilità della RSI o meglio di coloro che dandole vita e aderendovi ritennero non solo di salvare l'onore italiano, ma di poter così operare per la tutela di alcuni interessi italiani […]. Ciò che in questo senso essi poterono ottenere non giustifica certo, anche nei più onesti, l'essersi messi in pratica al servizio dei nazisti e l'aver in tal modo avallato il loro regime di terrore.»

La creazione della Repubblica Sociale Italiana sotto diretta tutela della Germania fu l'inizio della caccia all'ebreo anche in territorio italiano, cui contribuirono attivamente reparti e bande armate della RSI. Talvolta il movente era costituito da ricompense in denaro « […] essendo a conoscenza che i tedeschi pagavano una certa somma per ogni ebreo consegnato nelle loro mani, vi furono elementi delle Brigate Nere, delle SS italiane, delle varie polizie che infestavano il nord, pronti a dedicarsi a questa caccia con tutto lo slancio possibile...».[46] Secondo Liliana Picciotto Fargion, risulta che del totale degli ebrei italiani deportati, il 35,49% venne catturato da funzionari o militari italiani della Repubblica Sociale Italiana, il 4,44% da tedeschi e italiani insieme e il 35,49% solo da tedeschi (il dato è ignoto per il 32,99% degli arrestati).[47]

I principali rastrellamenti effettuati nella RSI furono:

  • il rastrellamento e la deportazione degli ebrei romani (effettuata dai tedeschi sotto il comando di Herbert Kappler) del 16 ottobre 1943, che comunque vide l'attiva collaborazione delle autorità della Repubblica Sociale Italiana e in particolare del commissario Gennaro Cappa, responsabile del Servizio Razza della questura di Roma.
  • il rastrellamento di Venezia effettuato tra il 5 e il 6 dicembre 1943:[48] 150 ebrei furono arrestati in una sola notte.[49] Questo rastrellamento invece fu completamente organizzato ed eseguito da italiani della RSI.

Il 30 novembre 1943 fu emanato da Buffarini Guidi l'Ordine di polizia nº 5 secondo il quale gli ebrei dovevano essere inviati in appositi campi di concentramento. Il 4 gennaio 1944 gli ebrei vennero privati del diritto al possesso. Subito dopo iniziarono ad essere emessi i primi decreti di confisca che già il 12 marzo successivo ammontavano a 6.768 (fra terreni, fabbricati e aziende); agli ebrei venivano sequestrati anche arti ortopedici, medicine, spazzole da scarpe e calzini usati.[50] Nel frattempo iniziarono le deportazioni, effettuate dai nazisti con l'aiuto e la complicità della RSI come si è già avuto modo di segnalare. Guido Buffarini Guidi concesse ai tedeschi l'uso del campo di Fossoli, attivo fin dal 1942 e preferì ignorare l'apertura del campo di concentramento della Risiera di San Sabba che, sebbene situato nella Zona d'operazioni del Litorale adriatico, faceva ancora parte de iure della Repubblica Sociale Italiana.

Con la nomina di Giovanni Preziosi, nel marzo del 1944, a massimo responsabile della Direzione per la demografia e la razza, si assistette a un ulteriore inasprimento della persecuzione anti-ebraica. Vennero emanate nuove disposizioni ancora più vessatorie, sostenute da Alessandro Pavolini e sottoscritte da Mussolini. Preziosi tentò anche, nel maggio 1944, di strappare al Duce il consenso su un progetto di legge che prevedeva non dovessero essere considerati di sangue italiano tutti coloro che non potessero dimostrare la purezza del proprio lignaggio "ariano" fin dal 1800. Il ridicolo insito in tale proposta spinse Buffarini Guidi ad intervenire presso Mussolini che inizialmente non firmò. « […] Tuttavia, come al solito, Mussolini sceglierà una situazione di compromesso: la legge viene modificata ma passa».[51]

Gli ebrei fatti prigionieri dal regime erano prima internati nei campi provinciali di raccolta, e quindi concentrati nel campo di Fossoli, a partire dal quale la polizia tedesca organizzava i convogli diretti ai campi di sterminio. Michele Sarfatti, storico di origini ebraiche, ha rilevato che «è vero che i convogli vengono organizzati dalla polizia tedesca, ma questa lo può fare perché quella italiana trasferisce gli ebrei a Fossoli. E siamo in assenza di un qualsiasi ordine che blocchi il trasferimento dai campi provinciali a quello di Fossoli. Da qui nasce la convinzione che esisteva un accordo esplicito o tacito tra la Repubblica Sociale e il terzo Reich», e che «Governo, grandi industrie, Santa Sede sapevano dall'estate del '42 cosa accadeva. Potevano non sapere di Auschwitz, ma dei massacri di massa sì»[52].

Le cifre degli italiani di religione ebraica deportati fino alla caduta della RSI, se rapportate alla consistenza complessiva della comunità israelita presente in Italia (costituita da 47.825 unità nel 1931, di cui 8.713 ebrei stranieri),[53] sono elevate e rappresentano la quarta o la quinta parte del totale. Secondo fonti affidabili, i deportati furono 8.451, di cui solo 980 fecero ritorno; agli scomparsi nei campi di concentramento e di sterminio vanno aggiunti tuttavia 292 ebrei uccisi in Italia.[54] In totale vennero assassinati dai nazifascisti 7.763 ebrei italiani.

Relazioni internazionali

La Repubblica Sociale Italiana venne riconosciuta da otto Stati dell'Asse e dai loro alleati; ovviamente venne subito riconosciuta dalla Germania nazista e dall'Impero giapponese poi dal Regno di Romania, dal Regno di Bulgaria, dallo Stato Indipendente di Croazia di Ante Pavelić, dalla Repubblica Slovacca di Jozef Tiso e solo dietro pressioni tedesche anche dal Regno d'Ungheria il 27 settembre 1943 anche se il riconoscimento ufficiale venne retrodatato[55]. Il Manciukuò riconobbe la Repubblica Sociale Italiana solo il 1º giugno 1944 e inoltre ci furono anche rapporti non ufficiali con la Svizzera tramite il console svizzero a Milano e l'agente commerciale della RSI a Berna[56].

In totale, la RSI fu riconosciuta da Germania, Giappone, Bulgaria, Croazia, Romania, Slovacchia, Ungheria, Repubblica di Nanchino, Manciukuò e Thailandia, vale a dire da paesi alleati alle potenze dell'Asse o con truppe dell'Asse presenti al loro interno. Finlandia e Francia di Vichy, pur navigando nell'orbita nazista, non la riconobbero. Relazioni ufficiose furono mantenute con Argentina, Portogallo, Spagna[57] e, tramite agenti commerciali, anche con la Svizzera.[58][59] La Città del Vaticano non riconobbe la RSI[60].

La RSI come Stato fantoccio

Il problema della natura della Repubblica Sociale italiana come fantoccio nelle mani dell'occupante tedesco fu posto dallo stesso Benito Mussolini - utilizzando proprio tale termine - già nell'ottobre del 1943, in un promemoria stilato esattamente un mese dopo l'annuncio dell'armistizio:[61]

«Le autorità politiche tedesche hanno nominato un Governo fascista per puri motivi di interesse politico interno tedesco. Le autorità militari germaniche, e lo Stato maggiore in particolare, con visione ristretta della situazione, non desiderano dare alcuna possibilità di sviluppo a tale Governo, e ne ostacolano in tutti i modi ogni attività. Tale Governo è pertanto un Governo fantoccio e chi governa in Italia sono le autorità militari tedesche. Queste sono, come è noto e la storia insegna, sprovviste di senso psicologico e di comprensione, e provvedono con la loro opera a scavare un abisso sempre più profondo fra i due popoli. È nell'interesse comune di colmarlo: sia interesse contingente (retroterra assicurato per il fronte mediterraneo tedesco; ordine, lavoro e tranquillità per gli italiani) sia interesse per la collaborazione in un'Europa di domani.»

Tale promemoria includeva un appello personale ad Adolf Hitler nel quale Mussolini affermava che «Sta al Führer di decidere, in questa occasione, se gli italiani potranno volontariamente portare il loro contributo alla formazione della nuova Europa o dovranno per sempre essere un popolo nemico».[61] Trascorso circa un mese, e rimasto l'appello senza alcuna risposta, secondo Giovanni Dolfin, segretario del Duce, Mussolini così si espresse relativamente ai tedeschi: «È perfettamente inutile che questa gente si ostini a chiamarci alleati! È preferibile che gettino, una buona volta, la maschera e ci dicano che siamo un popolo e un territorio occupati come tutti gli altri!».[62]

La lettura pessimista di Mussolini fu più tardi confermata non solo dalle frequenti "rappresaglie" (in realtà crimini di guerra) operate dai tedeschi contro la popolazione civile italiana e i suoi beni, incluse uccisioni di massa – comprese donne e bambini – ed incendi di intere località, senza contare il sistematico saccheggio del Paese (dal furto delle riserve auree della Banca d'Italia, al trasporto in Germania delle materie prime e dei macchinari industriali necessari allo sforzo bellico, o alla loro distruzione quando non fossero trasportabili, assieme a quella delle infrastrutture, quando si temeva un'avanzata del fronte alleato), ma dalle stesse analisi di autorità italiane e tedesche.

Il Maresciallo Rodolfo Graziani, massima autorità militare della Repubblica Sociale italiana, scrisse nell'estate del 1944 a Mussolini:[63]

«Il popolo sente sempre più profondamente in tutti gli organismi nazionali l'occupazione germanica, traendone la convinzione che il Governo non conta nulla e che i padroni assoluti sono i germanici: le belle dichiarazioni ufficiali – specie quelle che seguirono il convegno Duce-Führer dell'aprile – sono commentate con ironia ed appaiono come una beffa.»

Tale orientamento era d'altra parte confermato nella sostanza da massimi esponenti nazisti, come Ernst Kaltenbrunner, che a Martin Bormann, nell'agosto 1944, spiegava[64]:

«Il governo italiano, che sin dall'inizio non ha trovato alcun sostegno nella popolazione, non è più in grado di affrontare questioni decisive. Le leggi più importanti restano praticamente sulla carta e il potere del governo è in via di disfacimento.»

Ancora, nel dicembre 1944 Mussolini scriveva all'ambasciatore-plenipotenziario politico tedesco presso la RSI, Rudolf Rahn per denunciare brutali rastrellamenti condotti dai tedeschi con uccisioni sommarie anche di donne ed incendi di centri abitati:[65]

«Credo, caro Ambasciatore, che concorderete con me nel ritenere che tutto quanto vi ho scritto non è tale da convincere il popolo italiano che la Repubblica è indipendente, almeno per quanto riguarda la politica interna, e che è quindi assolutamente necessario che tutte le Autorità germaniche militari e politiche, lascino al Governo alleato della Repubblica la facoltà e la responsabilità di effettivamente governare.»

Nella seconda metà del gennaio 1945, solo tre mesi prima della fine della Repubblica Sociale Italiana, il consiglio dei ministri approvò un documento nel quale si richiama l'attenzione sulle prevaricazioni tedesche che umiliavano il governo repubblicano:[66]

«Il Ministero dell'Interno deve richiamare l'attenzione sull'azione assolutamente indipendente delle diverse polizie tedesche, nei confronti dei cittadini italiani. Le autorità italiane vengono sistematicamente ignorate. Non ricevono nemmeno la comunicazione delle misure adottate e degli arresti eseguiti. È umiliante che il Capo della Repubblica non sia in grado di rispondere alle famiglie che domandano - dopo sei, dodici mesi dall'arresto - che cosa sia avvenuto dell'arrestato.»

Secondo Mimmo Franzinelli, veniva resa evidente l'abdicazione di prerogative elementari per uno Stato sovrano cui la RSI era costretta dall'occupante germanico, mostrando "l'insignificanza del governo repubblicano". Pertanto, la Repubblica Sociale Italiana è considerata dalla maggioranza degli storici e dei giuristi come uno Stato fantoccio asservito alla Germania nazista, che ne aveva voluto la creazione e ne occupava militarmente l'intero territorio, sostituendosi completamente alle autorità fasciste nel governo delle province di Bolzano, Trento e Belluno, riunite nella Zona d'operazioni delle Prealpi (Operationszone AlpenvorlandOZAV), ed in quelle di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana, che formavano invece la Zona d'operazioni del Litorale adriatico (Operationszone Adriatisches KüstenlandOZAK).

Inoltre furono di fatto sottratte all'amministrazione delle autorità fasciste repubblicane (o questa venne comunque ridotta in effetti ed efficacia) tutte le regioni dichiarate unilateralmente dalle autorità militari tedesche "zona d'operazione", ossia le zone a ridosso del fronte e le sue retrovie, per profondità anche di decine di chilometri. In tali zone vigeva direttamente la legge marziale imposta dai militari tedeschi e, con lo spostarsi verso nord del fronte dal settembre 1943 alla primavera del 1945, questa situazione interessò praticamente tutta l'Italia centrale, sino alla parte meridionale della Romagna. In ogni caso, tutta l'amministrazione della RSI era interamente sottoposta al controllo tedesco: secondo Lutz Klinkhammer «una fitta rete di uffici tedeschi controllarono l'amministrazione fascista della repubblica di Salò sia a livello nazionale sia a livello provinciale».[67]

Lo stesso Benito Mussolini, per tutta la durata della sua presenza nella RSI, e sino alla sua cattura da parte dei partigiani sul lago di Como, fu sempre sorvegliato da una nutrita "scorta" di SS specialmente dedicata a "proteggere" la sua persona, che verificava ogni suo movimento e "filtrava" tutti i suoi visitatori. Per espressa volontà di Hitler, a Mussolini fu perfino imposto un medico personale tedesco che gli prescrisse una particolare dieta e che lo curava con terapie farmacologiche di sua scelta esclusiva. La natura della RSI ed il suo grado di dipendenza dall'«alleato invasore» tedesco, con conseguente dibattito sulle responsabilità fasciste nella conduzione della "guerra ai civili", sono tuttavia oggetto di diverse opinioni in sede storiografica.

Sin dall'annuncio della sua fondazione, avvenuto il 17 settembre 1943 da Radio Monaco, Mussolini tentò di presentare all'opinione pubblica la Repubblica Sociale Italiana come legittimo successore dello Stato italiano. In questo intento fu favorito dai tedeschi, che pur mirando a spogliare i fascisti di ogni autorità sull'Italia occupata, erano consapevoli di dover dare alla RSI una parvenza di autogoverno per ragioni di propaganda. La stessa scelta di Hitler di porre Mussolini a capo del nuovo Stato rientrava a pieno in questa strategia.[68] I tedeschi intendevano inoltre far apparire la RSI come uno Stato sovrano anche per dimostrare che l'Asse era sopravvissuto all'armistizio del Regno d'Italia,[69] e a tale scopo si adoperarono, con parziale successo, per ottenere il riconoscimento diplomatico della repubblica fascista presso gli altri Stati.[70]

Soddisfare tali esigenze propagandistiche comportava il riconoscimento alla RSI dello status di alleato, prospettiva che preoccupava Joseph Goebbels, che nel suo diario, cinque giorni prima dell'annuncio di Radio Monaco, aveva scritto:

«Sotto la guida del Duce, sempre che egli riprenda la sua attività, l'Italia tenterà di riorganizzare un troncone di Stato verso il quale avremo, sotto molti aspetti, degli obblighi. […] Un regime sotto la guida del Duce diverrebbe presumibilmente erede di tutti i diritti e doveri contemplati dal Patto Tripartito. Una prospettiva piuttosto preoccupante! Ma ci sarà tempo dopo, per preoccuparci di ciò.[71]»

Secondo Renzo De Felice, la presenza di Mussolini alla guida della RSI riuscì effettivamente a garantirle alcuni margini di autonomia dai tedeschi, tali da rendere "fuorviante" la sua definizione come Stato fantoccio.[72]

Analisi revisioniste analoghe, per certi versi, a quelle espresse anche da De Felice sono criticate, tra l'altro, da Mimmo Franzinelli il quale sostiene: «L'impotenza delle autorità di Salò dinanzi alle reiterate violenze commesse dall'alleato germanico contro le popolazioni solleva interrogativi di fondo sulla reale capacità di interposizione del governo mussoliniano, in funzione di moderazione della violenza […]. "Repubblica necessaria" per alleviare la sofferenza dei civili? Da un esame fattuale, la Repubblica sociale italiana appare – sulle grandi questioni di fondo – non già necessaria, ma piuttosto insignificante o addirittura legittimante rispetto alla presenza militare germanica in Italia».[73]

La moderna storiografia tedesca ha sottoposto a vaglio critico tale qualifica.[74] Secondo Lutz Klinkhammer, i fascisti non erano «né pochi né impotenti», «neppure il loro Stato fu soltanto un fantoccio» e le loro responsabilità sarebbero aggravate proprio dal non essere «né dei fantasmi, né dei burattini o dei meri servi dei tedeschi».[75] Lo storico tedesco ritiene inoltre che la storiografia italiana sia «influenzata da una visione un po' contraddittoria del fascismo di Salò. Infatti, da un lato il fascismo degli anni 1943-45 venne demonizzato a causa del suo potenziale di repressione, dall'altro nell'uso linguistico venne addirittura minimizzato. Tale minimizzazione si esprime in termini quali "i repubblichini", "Stato fantoccio", "Stato farsa" generalmente usate nella storiografia di sinistra nei confronti dei fascisti di Salò».[76]

Lo Stato occulto

Soldati tedeschi della "divisione Hermann Göring" in posa di fronte a Palazzo Venezia a Roma con un quadro prelevato nella Biblioteca del Museo Nazionale di Napoli prima dell'ingresso delle truppe alleate nella città, durante la cerimonia di restituzione delle opere alla RSI (4 gennaio 1944)[77]

La RSI fu in realtà un protettorato tedesco, sfruttato dai nazisti per legalizzare alcune loro annessioni e per ottenere manodopera a basso costo.[78]

Milano Piazza del Duomo, propaganda bellica della RSI dopo l'armistizio: "La guerra continua contro la Gran Bretagna e continuerà sino alla vittoria"

Voluto dal Terzo Reich come apparato per amministrare i territori occupati del Nord e Centro Italia, lo Stato della RSI era infatti una struttura burocratica non dotata di potere autonomo effettivo, che in realtà era detenuto dai tedeschi.[79] Con il funzionamento di uno Stato fantoccio i tedeschi potevano così riscuotere le spese di occupazione, stabilite nell'ottobre 1943 a 7 miliardi di lire, passate successivamente a 10 miliardi (17 dicembre 1943) e infine a 17 miliardi.[80]

L'intero apparato della Repubblica di Salò era infatti controllato dai militari tedeschi, memori del "tradimento" che gli italiani avevano consumato con l'armistizio dell'8 settembre[81]. Il controllo non veniva esercitato solo sulla direzione della guerra e degli affari militari, ma spesso anche sull'Amministrazione della Repubblica. Le stesse autorità militari potevano avere infatti anche funzioni civili. In tal modo « […] una vasta rete di autorità avente competenze militari ma anche civili fu stesa dai tedeschi nell'Italia da essi controllata...».[82]

Alla Repubblica Sociale non fu consentito di riportare in patria i militari internati dai tedeschi in seguito all'8 settembre, ma solo di reclutare volontari fra di essi per la costituzione di divisioni dell'Esercito da addestrarsi in Germania[83]. In Italia il volontariato fascista e la militarizzazione di organizzazioni esistenti dotarono la RSI di forze armate numericamente consistenti (complessivamente fra i 500 e gli 800.000 uomini e donne sotto le armi), ma queste furono impiegate, a volte anche contro il loro desiderio, soprattutto in operazioni di repressione, sterminio e rappresaglia contro i partigiani e le popolazioni accusate di offrire loro sostegno.

1944, un soldato tedesco controlla i documenti di un civile italiano vicino a Milano

Unità della Xª Mas parteciparono comunque ai combattimenti contro gli Alleati a Anzio e Nettuno, in Toscana, sul fronte carsico e sul Senio; le divisioni addestrate in Germania si batterono sul fronte della Garfagnana (Monterosa e Italia) e su quello francese (Littorio e Monterosa). Reparti singoli furono incorporati in grandi unità tedesche, mentre nelle retrovie battaglioni del genio italiani furono utilizzati dai comandi germanici per la costruzione di opere difensive, per le opere di riattamento delle vie di comunicazione danneggiate dall'offensiva aerea nemica e dai sabotaggi e come salmerie da combattimento. Contributi marginali alle operazioni militari contro gli Alleati furono compiuti dal naviglio sottile della Marina Nazionale Repubblicana e dai reparti di volo dell'Aeronautica Nazionale Repubblicana; più intenso fu l'impiego dei reparti contraerei, inquadrati nella FlaK tedesca, e paracadutisti, sul fronte francese e laziale. Il grosso delle forze armate repubblicane fu impiegato soprattutto come presidio territoriale e guardia costiera.

L'integrità territoriale della RSI non fu rispettata dai tedeschi. Il 10 settembre del 1943, con un ordine segreto firmato a poche ore di distanza dalla liberazione di Mussolini,[84] Hitler concesse ai Gauleiter del Tirolo e della Carinzia di annettere ai rispettivi Reichsgau molte province del Triveneto.[85] Con la liberazione di Mussolini e la proclamazione della RSI, Hitler non tornò sulla propria decisione, ma la legittimò con la costituzione delle due zone di Operazioni delle Prealpi (province di Trento, Bolzano e Belluno) e del Litorale Adriatico (province di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume, Lubiana), ufficialmente con motivi militari,[86] ma in pratica amministrate da funzionari civili tedeschi che ricevevano direttamente dal Führer "le indicazioni fondamentali per la loro attività".[87] Una decisione che serviva alla Germania per lasciare aperta la questione delle frontiere con l'Italia, da ridisegnarsi a guerra eventualmente vinta[88]

Nei giorni successivi all'8 settembre 1943 la Croazia di Pavelić invase la Dalmazia, ma Hitler non le concesse anche il possesso di Fiume e Zara, sottoposte a comando militare tedesco (la prima nell'ambito dell'OZAK). Similmente, le Bocche di Cattaro furono sottoposte a comando militare tedesco, mentre l'Albania – unita dinasticamente dal 1939 all'Italia tramite la corona di Casa Savoia – fu dichiarata "indipendente". Il Dodecaneso rimase sotto nominale sovranità italiana, sebbene sottoposto a comando militare tedesco. Per la Provincia Autonoma di Lubiana (Provinz Laibach) il gauleiter Rainer impedì addirittura l'insediamento – ancorché solo formale – del capo-provincia (equivalente al prefetto) italiano nominato da Mussolini.[89]

Durante l'occupazione nazista numerose opere d'arte, quali dipinti e sculture, vennero trafugate dalle loro sedi italiane e trasferite in Germania: a tale scopo Hermann Göring istituì un apposito corpo militare nazista chiamato Kunstschutz (protezione artistica).[90]

Ordinamento giudiziario

La legislazione giudiziaria riprendeva quella previgente nel Regno d'Italia, anche perché le principali disposizioni in materia erano state riformate già durante il ventennio (il nuovo Codice Penale e di procedura penale entrarono in vigore nel 1930-'31). Si continuò a utilizzare il processo istruttorio.

Fu anche istituito un nuovo Tribunale speciale per la difesa dello Stato, che si renderà responsabile di alcuni processi di vendetta.

Processi di vendetta

Lo stesso argomento in dettaglio: Processo di Verona e Processo degli ammiragli.

Una volta instaurata la RSI, le autorità fasciste vollero perseguire coloro che erano stati i "traditori" della seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943 e di alti ufficiali militari che si erano opposti di eseguire particolari ordini.

Vennero così istruiti sia un processo per coloro che avevano votato per le dimissioni di Mussolini (noto come Processo di Verona, durato dall'8 al 10 gennaio 1944) e un processo nei confronti di 4 ammiragli che avevano opposto resistenza ai tedeschi e per essersi schierati con gli alleati (il cosiddetto Processo degli ammiragli, durato un solo giorno il 22 maggio 1944).

Si trattò in entrambi i casi sostanzialmente di processi farsa e svolti violando ampiamente le regole del diritto, sebbene non mancarono delle peculiarità che li resero dal giudizio finale un po' meno prevedibili. Giudice istruttore di entrambi i processi fu Vincenzo Cersosimo.

Economia

Lo stesso argomento in dettaglio: Carta del Lavoro.

Finanze e moneta

Il Palazzo della Banca d'Italia a Milano
Avviso dell'entrata in corso dei marchi tedeschi "di occupazione", del Comune di Toscolano Maderno
Francobollo da 25 centesimi di lira della Repubblica Sociale Italiana, raffigurante i Fratelli Bandiera

Ministro delle finanze del nuovo governo fascista fu nominato il professor Giampietro Domenico Pellegrini, insegnante di diritto costituzionale presso l'Ateneo di Napoli. Suo compito principale, per l'intera durata del suo incarico, sarebbe stato quello di difendere le casse del nuovo Stato dalle pretese tedesche e trovare una soluzione per la situazione che il comportamento delle truppe naziste d'occupazione aveva creato.

Armi alla mano, le SS di Herbert Kappler avevano rapinato a Roma le riserve della Banca d'Italia il 16 ottobre 1943, facendo un bottino di circa tre miliardi di lire (due miliardi in oro e un miliardo in valuta pregiata) e trasferendo il tutto a Milano. A questa somma si dovevano sommare molti altri milioni, prelevati dalle altre banche pubbliche e private.[senza fonte] L'economia rischiava un disastro per motivi legati all'inflazione, a causa della moneta d'occupazione, una sorta di carta straccia denominata Reichskredit Kassenscheine, controparte della Am-lira. A queste manovre si aggiunsero le pretese tedesche di ottenere che la nuova repubblica "pagasse" la guerra che la Germania conduceva in sua vece da quando era stato firmato l'Armistizio.[senza fonte]

Fin dai primi giorni dopo la sua costituzione, il governo della RSI si preoccupò di riprendere saldamente il controllo dell'economia, per salvaguardare il potere d'acquisto della moneta ed evitare fenomeni inflazionistici. Il ministro delle Finanze Giampietro Domenico Pellegrini, appena insediato, dovette occuparsi di un serio problema. I tedeschi, nei giorni immediatamente successivi all'8 settembre, avevano messo in circolazione dei marchi di occupazione. Ciò avrebbe potuto innescare dei processi inflattivi, per cui il problema andava rapidamente risolto: il 25 ottobre 1943 viene stipulato l'accordo monetario tra Germania e RSI, in forza del quale i marchi di occupazione non avevano più valore e pertanto vennero ritirati. Il 2 aprile 1944 il Comune di Milano, guidato dal podestà Piero Parini, per risanare le esauste casse comunali, lanciò una sottoscrizione per un prestito pubblico denominata "Città di Milano" ma, ancora oggi, ricordato in Milano come "prestito Parini". La somma stabilita di 1 miliardo di lire fu rapidamente coperta con il concorso popolare e il Comune di Milano incassò 1.056.000.000 lire.[91]

Le spese complessive della Repubblica Sociale Italiana, come dichiarato dallo stesso Pellegrini nell'articolo L'Oro di Salò[92] si possono suddividere come segue:

Voce Miliardi di lire
Spese ordinarie e straordinarie della Repubblica 170,6
Spese di guerra (contributi pagati al Terzo Reich) 189,0
Totale spese 359,6
Entrate ordinarie 50,4
Risultato economico netto − 309,2
Operazioni straordinarie
Depositi e conti correnti presso enti e istituzioni pubbliche 47,0
Buoni del tesoro 74,3
Anticipazioni della Banca d'Italia 183,0
Anticipazioni da altri istituti di credito 25,2
Totale entrate 380,5
Risultato finanziario netto 20,9

Come si può vedere, a causa delle ingentissime spese di guerra (contributi pagati all'esercito germanico e spese per le riparazioni dei danni causati dai bombardamenti indiscriminati sulle città) il conto economico si chiuse con un passivo di circa 300 miliardi di lire. Soltanto il ricorso a operazioni straordinarie, in larga parte prestiti ottenuti sia da banche private sia dalla banca centrale (venne, in pratica, stampata moneta), evitarono il tracollo finanziario.

La socializzazione delle imprese

Lo stesso argomento in dettaglio: Socializzazione dell'economia.

«I nostri programmi sono decisamente rivoluzionari, le nostre idee appartengono a quelle che in regime democratico si chiamerebbero "di sinistra"; le nostre istituzioni sono conseguenza diretta dei nostri programmi; il nostro ideale è lo Stato del Lavoro. Su ciò non può esserci dubbio: noi siamo i proletari in lotta, per la vita e per la morte, contro il capitalismo. Siamo i rivoluzionari alla ricerca di un ordine nuovo. Se questo è vero, rivolgersi alla borghesia agitando il pericolo rosso è un assurdo. Lo spauracchio vero, il pericolo autentico, la minaccia contro cui lottiamo senza sosta, viene da destra. A noi non interessa quindi nulla di avere alleata, contro la minaccia del pericolo rosso, la borghesia capitalista: anche nella migliore delle ipotesi non sarebbe che un'alleata infida, che tenterebbe di farci servire i suoi scopi, come ha già fatto più di una volta con un certo successo. Sprecare parole per essa è perfettamente superfluo. Anzi, è dannoso, in quanto ci fa confondere, dagli autentici rivoluzionari di qualsiasi tinta, con gli uomini della reazione di cui usiamo talvolta il linguaggio.»

«È certo che oggi – 20 giugno 1944 XXI – i lavoratori affermano che la socializzazione non si farà o se si farà essa contribuirà a rafforzare i ceti capitalistici e a mantenere in istato di soggezione il lavoro… Il che fa dileguare ogni speranza ed allontana sempre più da noi i lavoratori che ci considerano, a torto s'intende, gli sgherri del capitale; fa gravare su noi il loro disprezzo perché affermano che non siamo in buona fede, e fa ritenere l'annuncio della socializzazione come un ennesimo espediente per attirare nella nostra orbita i pochi ingenui che ci accorderebbero ancora del credito. Insomma, i lavoratori considerano la socializzazione come uno specchio per allodole e si tengono lontani da noi e dallo specchio»

Nella RSI si sarebbe dovuta attuare, secondo le intenzioni di Benito Mussolini, la trasformazione della struttura organizzativa economica da un sistema di tipo capitalista, quello trovato nel 1922, ad uno di tipo organico, corporativo e partecipativo. Nel Manifesto di Verona (il cui testo fu elaborato da Angelo Tarchi, Alessandro Pavolini, Nicola Bombacci, Manlio Sargenti, sotto la supervisione di Benito Mussolini) erano presenti alcuni richiami alla socializzazione delle imprese, che prevedeva la partecipazione dei lavoratori alle decisioni ed agli utili d'azienda, la nazionalizzazione e la gestione statale delle aziende strategiche per la nazione (tra cui la Fiat), il diritto al lavoro ed il diritto alla proprietà della casa. Con tali misure Mussolini sperava di raccogliere consensi fra le masse.[96]

La manovra per applicare la socializzazione ebbe il suo punto di partenza nel decreto di nomina dell'ingegner Angelo Tarchi a ministro dell'Economia Corporativa. Tarchi avrebbe voluto i suoi uffici a Milano, come li aveva il generale Hans Leyers (sovrintendente della produzione industriale italiana per conto del ministero degli armamenti del Terzo Reich), ma fu mandato a Bergamo. Per l'11 gennaio 1944 il programma sintetico della socializzazione era pronto. Seguirono altri documenti, il più importante dei quali fu un decreto (Decreto Legge sulla Socializzazione) approvato il 12 febbraio 1944, in quarantacinque articoli, che definì con maggiore precisione la desiderata nuova forma dell'economia della RSI, nella quale sarebbero stati fondamentali i seguenti istituti:

  • possibilità, per le aziende che estraevano materie prime, producevano energia o che erano impegnate in altri settori importanti per l'indipendenza dello Stato, di essere acquisite alla proprietà di quest'ultimo;
  • consigli di gestione che deliberassero sull'organizzazione della produzione e la ripartizione degli utili;
  • consigli di amministrazione formati da rappresentanti degli azionisti e dei lavoratori;
  • responsabilità personale dei dirigenti d'impresa di fronte allo Stato;
  • nuove regole sulle nomine dei sindacalisti, dei commissari governativi e sui compiti di un nuovo ente pubblico, l'Istituto di gestione finanziamento.

Cosciente che tale decreto avrebbe potuto suscitare le apprensioni dei tedeschi il Duce si preoccupò di tranquillizzarli ancor prima che venisse approvato. Rivolgendosi a Rudolf Rahn disse che:

  • non vi sarebbero state espropriazioni
  • a capo dei consigli di amministrazione misti con la partecipazione degli azionisti e dei dipendenti vi sarebbero stati i direttori d'impresa che non potevano essere respinti
  • i rappresentanti dei dipendenti dell'impresa sarebbero stati eletti su una lista appositamente predisposta da un commissario governativo « […] Si sarebbe così assicurato il controllo governativo dell'impresa attraverso un sistema di selezione ed elezione mentre i dipendenti avrebbero avuto la sensazione di essere direttamente rappresentati nella gestione dell'impresa...».[97]

Tre settimane più tardi iniziarono gli scioperi operai (1º marzo 1944) che paralizzarono la produzione bellica in Italia settentrionale facendo i lavoratori chiaramente intendere quali erano le forze politiche e i partiti (antifascisti) che li rappresentavano. Come scrisse alcuni mesi più tardi a Mussolini un noto dirigente sindacale fascista: «Le masse ripudiano di ricevere alcunché da noi […] Insomma la massa dice che tutto il male che abbiamo fatto al popolo italiano dal 1940 ad oggi supera il gran bene elargitole nei precedenti venti anni ed attende dal compagno Togliatti, che oggi pontifica a Roma in nome di Stalin, la creazione di un nuovo paese...».[98] I principali responsabili dello sciopero furono deportati in Germania.[99]

Sia gli imprenditori italiani che gli occupanti germanici videro nella socializzazione un tipo di normativa che avrebbe potuto avere conseguenze nefaste sulla produzione industriale in generale e bellica in particolare. Il generale Leyers si preoccupò di tranquillizzare i proprietari delle "ditte protette": « […] la legge sulla socializzazione non è attualmente in vigore… Se voi in futuro osserverete qualche tendenza alla socializzazione in qualcuna delle vostre ditte non esitate ad informarmene personalmente».[100] Nel febbraio 1945 l'attuazione della normativa relativa alla socializzazione era ancora quasi completamente inoperante, ma continuava a preoccupare il mondo economico italiano. Angelo Tarchi riportò a Mussolini le reazioni degli industriali italiani alla proposta di socializzazione, che, secondo loro, avrebbe paralizzato l'attività produttiva.[101]

Forze armate

Lo stesso argomento in dettaglio: Forze armate della RSI.
Facciata della Tenuta Le Posteghe a Polpenazze del Garda, sede del Ministero della Difesa guidato da Rodolfo Graziani

L'Esercito Nazionale Repubblicano (con la Guardia Nazionale Repubblicana e le Brigate Nere) dipendeva, formalmente, dal governo della RSI, « […] anche se, nell'impiego operativo sono di fatto subordinate ai comandi militari tedeschi...».[102] Le SS italiane dipendevano dal generale Wolff, mentre la Xª MAS del comandante Junio Valerio Borghese costituiva un vero e proprio esercito personale.[102]

Esercito Nazionale Repubblicano

Lo stesso argomento in dettaglio: Esercito Nazionale Repubblicano.

Secondo rilevamenti dell'Ufficio Storico dello Stato maggiore dell'Esercito Italiano nel periodo 1943-1945 l'Esercito della Repubblica Sociale contò 558.000 effettivi.[103]

Vertici dell'organizzazione militare

Milite della RSI

Ai vertici dell'organizzazione militare della RSI stava il Ministero della difesa nazionale che, dal 6 gennaio 1944 si chiamò Ministero delle Forze Armate. A capo di esso fu designato l'ex Maresciallo d'Italia Rodolfo Graziani, che a sua volta nominò quale Capo di stato maggiore generale il generale Gastone Gambara. Collaboravano col ministro un sottosegretario per l'Esercito, uno per la Marina Nazionale Repubblicana e uno per l'Aeronautica Nazionale Repubblicana, per ognuno di essi esisteva inoltre un capo di Stato maggiore.[104]

A livello gerarchico, le forze armate erano alle dipendenze del Capo di Stato che in tempo di pace esercitava il comando attraverso il Ministro della Difesa, in tempo di guerra a mezzo del Capo di Stato maggiore Generale.[105]

Impiego al fronte

La maggior parte delle azioni compiute da queste unità furono dirette contro il movimento partigiano: i comandanti tedeschi, poco inclini a fidarsi dei militari italiani dopo i fatti dell'8 settembre, preferivano evitare di coinvolgerle nei combattimenti del fronte, e si convinsero ad usarle solo nei momenti e nei settori più tranquilli della Linea Gotica. Questo atteggiamento contribuì a deprimere ulteriormente il morale di quanti, soprattutto giovani coscritti, avevano risposto al bando Graziani mossi dal sincero desiderio di difendere il suolo patrio, vedendosi invece costretti in buona parte alle azioni della controguerriglia perpetrate contro villaggi e popolazioni italiane.

Nonostante le pretese della propaganda fascista, che voleva far passare l'operazione Wintergewitter come una sorta di offensiva delle Ardenne italiana, la battaglia fu di proporzioni quantomeno limitate, sia per i risultati ottenuti (far ripiegare un gruppo di combattimento reggimentale statunitense) sia per le dimensioni dei reparti impegnati (tre battaglioni tedeschi e tre della RSI, più i supporti d'artiglieria). Entro il 31 dicembre il fronte si sarebbe nuovamente stabilizzato sulle posizioni di partenza, senza alcun mutamento strategico o tattico di rilievo.

Vi erano, infine, reparti che combattevano fuori dai confini: in Francia, Germania, Unione Sovietica, Penisola balcanica, Dodecaneso. I caduti in Italia di questo esercito furono circa 13.000 militari e 2.500 civili. I prigionieri di guerra vennero inviati dagli Alleati principalmente nel campo di concentramento di Hereford, nel Texas.

L'Aeronautica Nazionale Repubblicana

Lo stesso argomento in dettaglio: Aeronautica Nazionale Repubblicana.
Adriano Visconti, asso degli assi sia con la Regia Aeronautica che con l'Aeronautica Nazionale Repubblicana, ucciso da un partigiano con una raffica di mitra alla schiena nel cortile della caserma "Savoia Cavalleria" a Milano; era di ritorno da un incontro con i rappresentanti del CLN con i quali aveva trattato la resa
Riproduzione di Macchi MC.202 folgore esposto al Parco e Museo di Volandia e recante il distintivo del 2º Gruppo caccia "Gigi Tre Osei".

L'istituzione di un'aviazione per la nascente repubblica fascista si fa in genere risalire alla nomina del tenente colonnello Ernesto Botto a sottosegretario per l'aeronautica il 23 settembre 1943, durante la riunione del consiglio dei ministri della RSI.

Botto si insediò nel suo ufficio al Ministero dell'Aeronautica il 1º ottobre e si trovò di fronte una situazione assai ingarbugliata, le cui cause erano da ricercare nella mancanza di collegamenti e nelle iniziative tedesche: il comandante della Luftflotte 2, il Feldmaresciallo Wolfram von Richthofen, aveva già iniziato a radunare il personale della Regia Aeronautica da arruolare nella Luftwaffe. Il Feldmaresciallo Albert Kesselring, a sua volta, aveva nominato il tenente colonnello Tito Falconi "ispettore della caccia italiana", con il compito di rimettere la suddetta caccia in condizione di combattere. Per di più Richtofen aveva nominato un comandante per l'aviazione italiana nella persona del generale Müller.

Tra reciproche incomprensioni, distanze e differenze di vedute, la costituzione dell'Aeronautica Repubblicana dovette attendere l'autorizzazione personale di Hitler in novembre, dopo che le proteste ufficiali di Botto avevano risalito l'intera scala gerarchica tedesca. Nel gennaio del 1944 si iniziava così la formazione dei reparti: un gruppo per ogni specialità (caccia, su Macchi C.205V Veltro, aerosiluranti, su Savoia-Marchetti S.M.79 e trasporto) con una squadriglia complementare. Il tutto, per le operazioni, dipendeva dai comandi tedeschi[106]. In aprile veniva formato un ulteriore gruppo di caccia, su Fiat G.55 Centauro.

Nel giugno dello stesso anno iniziò il passaggio ai velivoli tedeschi Messerschmitt Bf-109G-6, che avrebbero dovuto armare anche il nuovo 3º Gruppo; questa espansione della caccia fu dovuta sia al crescente disimpegno della Luftwaffe dal settore meridionale sia dai buoni risultati conseguiti inizialmente, ma questi terminarono ben presto e il tasso di perdite cominciò a farsi in breve tempo superiore al numero di abbattimenti ottenuto.[107]

Complessivamente nel periodo tra il 3 gennaio 1944 e il 19 aprile 1945, il 1º gruppo registrò 113 vittorie sicure e 45 probabili nel corso di 46 combattimenti. Il 2º gruppo, entrato in linea nell'aprile 1944, all'aprile 1945 registrò nel corso di 48 combattimenti ben 114 vittorie sicure e 48 probabili.[108] L'aeronautica della RSI, che comprese anche l'artiglieria contraerea e i paracadutisti, era costituita da tre Gruppi Caccia (che contrastarono per quanto possibile la superiorità dell'aviazione nemica), il gruppo aerosiluranti Faggioni e due gruppi di aerotrasporti.

Il Gruppo Aerosiluranti "Buscaglia-Faggioni", comandato da Carlo Faggioni, ottenne risultati peggiori, subendo forti perdite mentre attaccava la flotta alleata che supportava la testa di ponte di Anzio. Nonostante le numerose navi colpite (secondo i bollettini ufficiali), la vita operativa del gruppo fu piuttosto avara di riconoscimenti: l'unico siluro messo a segno dopo tanto impegno, fu quello che danneggiò un piroscafo britannico, colpito a Nord di Bengasi, nel periodo in cui il reparto operava da basi ubicate in Grecia, e un piroscafo al largo di Rimini il 5 gennaio 1945.[109] Da segnalare dopo la morte di Faggioni il raid, che il gruppo fece contro la piazzaforte di Gibilterra, guidata dal nuovo comandante Marino Marini. Quanto al gruppo dei trasporti (al quale se ne aggiunse un secondo), fu utilizzato dalla Luftwaffe sul fronte orientale e poi sciolto nell'estate del 1944.

Anche gli altri reparti, in sostanza, subirono la stessa sorte nello stesso momento: in quei mesi i rapporti fra i vertici militari della RSI e quelli tedeschi erano peggiorati notevolmente, anche a causa dei sempre minori risultati raggiunti dai reparti dell'Aeronautica Repubblicana, i cui mezzi e piloti subivano un eccessivo logorio. Von Richtofen, che doveva ridurre ulteriormente la presenza aerea tedesca in Italia, pensò di risolvere la questione sciogliendo i reparti della RSI e sostituendoli con una sorta di "legione aerea italiana", strutturata secondo il modello del Fliegerkorps tedesco, il cui comandante sarebbe stato il generale di brigata aerea Tessari (che avrebbe così lasciato la carica di sottosegretario che ricopriva dopo l'esonero di Botto), affiancato da uno Stato maggiore germanico che avrebbe permesso alla Luftwaffe di mantenere il suo controllo sulle attività di guerra aerea in Italia.

Le solite rivalità interne e incomprensioni fecero bloccare il piano, lasciando la RSI di fatto senza aviazione fino a settembre, quando si riuscì a rimettere in moto il processo. Da ottobre fino al gennaio del 1945, quando il 1º gruppo tornò dall'addestramento in Germania, il 2º fu l'unico reparto di caccia disponibile per contrastare l'azione degli Alleati. Ma l'arrivo della nuova unità mutò di poco la situazione complessiva, che vedeva la caccia della RSI subire perdite sempre maggiori.

Le ultime missioni di volo vennero svolte il 19 aprile, quando i due gruppi intercettarono dei bombardieri e dei ricognitori, probabilmente statunitensi: uno dei ricognitori venne abbattuto, a prezzo di un caccia; quanto allo scontro con i bombardieri, questo fu disastroso e gli aerei della RSI, colti di sorpresa dalla reazione della scorta, subirono cinque perdite senza ottenere alcun abbattimento. Nei giorni successivi, impossibilitati a compiere decolli per mancanza di carburante e sottoposti a continui attacchi da parte dei partigiani, i reparti distrussero il materiale di volo e si arresero.

La Marina Nazionale Repubblicana

CB della Marina Nazionale Repubblicana nell'Adriatico: porto di Pola
Lo stesso argomento in dettaglio: Marina Nazionale Repubblicana.

La formazione di una nuova marina fu un'operazione assai più lenta e difficoltosa rispetto alla pur travagliata vicenda della costituzione delle altre due armi.

Il primo e più grosso problema che si poneva sulla via era quello di reperire i mezzi: il naviglio pesante e gran parte del naviglio leggero, in ottemperanza alle clausole armistiziali, si era messo in navigazione alla volta del Grand Harbour della Valletta per consegnarsi agli Alleati; i mezzi che erano stati abbandonati nei porti italiani avevano subito l'ormai usuale operazione di sabotaggio ad opera degli equipaggi, in modo che le truppe tedesche non se ne potessero impossessare.

Si schierarono con la nuova repubblica il comandante Grossi, che aveva autorità sui sottomarini della base di BETASOM (Bordeaux) ed il principe Junio Valerio Borghese, comandante la Xª MAS. Il caso della Xª MAS sotto il comando di Borghese merita un discorso a parte, in quanto questi aveva preso accordi pressoché privati con gli alti comandi della Kriegsmarine e, pur appartenendo lui ed il suo reparto a quella che era stata la Regia Marina, non intesero divenire parte dell'organigramma della futura marina della RSI, mantenendosi a sicura distanza, almeno nella fase iniziale, dal coinvolgimento politico.

Il sottosegretario per la marina, capitano di fregata Ferruccio Ferrini, nominato il 26 ottobre, tentò subito di inglobare la "Decima" direttamente nella sua forza armata (come arma subordinata), ma con scarso successo e scatenando pericolosi incidenti che per poco non spinsero i "marò" del principe Borghese all'insurrezione armata contro il governo (questo fu peraltro uno dei motivi del successo e della popolarità della Flottiglia, che solo contando sull'immagine del comandante e sulla sua "indipendenza" politica, riuscì a raccogliere un numero impressionante di arruolamenti volontari e crebbe, allargandosi anche ad attività di terra, sino a divenire una sorta di esercito autonomo). Questi accadimenti, uniti alla scarsità del materiale navale rimasto in mano ai fascisti, portarono i comandi tedeschi ad arroccarsi su posizioni di diffidenza e di non collaborazione. La sostituzione di Ferrini con Giuseppe Sparzani (già capo di Stato maggiore) dissolse le reticenze tedesche circa l'istituzione della nuova arma navale, che comunque sarebbe avvenuta alla condizione di mettere i reparti della marina della RSI alle dipendenze tedesche.

La marina di Salò, oltre ai Comandi di zona servizi della marina (che ne costituivano l'organizzazione territoriale), aveva previsto l'istituzione di Comandi navali per l'impiego delle unità militari: uno per le unità di superficie, uno per i sommergibili, e infine uno per le unità anti-sommergibile. L'ultimo fu l'unico effettivamente funzionante; i sommergibili per il secondo furono impiegati principalmente per trasportare spie e agenti oltre le linee alleate; il primo non venne mai istituito in quanto non vi sarebbero state navi da assegnargli. Le uniche navi che videro un limitato impiego furono due incrociatori che vennero usati come navi anti-aeree ormeggiate nel porto di Trieste.

Da ricordare che l'Italia, quando ormai le sorti del conflitto voltavano al peggio, decise di dotare la Regia Marina di due portaerei, l'Aquila e lo Sparviero, rimediando così ad una grave carenza strategica. Alla data dell'armistizio le due navi erano ancora in fase di costruzione nei cantieri di Muggiano (SP), quindi in territorio controllato dalle forze dell'Asse, ma non furono mai ultimate a causa dell'evolversi degli eventi bellici. Per evitare che venisse affondata dai tedeschi all'ingresso del porto, bloccandolo, l'Aquila non completata venne affondata dagli incursori della Regia Marina prima del termine delle ostilità.

La Guardia Nazionale Repubblicana

Lo stesso argomento in dettaglio: Guardia Nazionale Repubblicana.

La Guardia Nazionale Repubblicana fu creata con il Decreto Legislativo del Duce913 dell'8 dicembre 1943 - XXII E.F. "Istituzione della «Guardia Nazionale Repubblicana»", pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale d'Italia nº 131 del 5 giugno 1944. Con il successivo Decreto del Duce921 del 18 dicembre 1943 - XXII E.F. "Ordinamento e funzionamento della Guardia Nazionale Repubblicana", pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale d'Italia nº 166 del 18 luglio 1944, furono fissati l'ordinamento ed il funzionamento. La Guardia Nazionale Repubblicana con Decreto Legislativo del Duce469 del 14 agosto 1944 - XXII E.F. "Passaggio della G.N.R. nell'Esercito Nazionale Repubblicano" entra a far parte dell'Esercito Nazionale Repubblicano.

Le Brigate Nere

Lo stesso argomento in dettaglio: Brigate nere.
Mussolini incontra un milite adolescente della RSI (1944)

Le Brigate nere furono l'ultima creazione armata della Repubblica. L'idea di un «esercito fascista», politicizzato, di partito, era sempre stata uno dei cavalli di battaglia del segretario del Partito Fascista Repubblicano Alessandro Pavolini, che aveva proposto l'istituzione di un corpo con queste caratteristiche sin dai primi del '44, ma aveva ottenuto ben poco: il suo «centro di arruolamento volontario», nel quale si sarebbero dovuti presentare in massa i fascisti non ancora sotto le armi, rimase deserto: in circa tre mesi, solo il 10% degli iscritti, circa 47.000 su 480.000, rispose alla chiamata. La Guardia Nazionale Repubblicana fu sempre a corto sia di uomini che di mezzi.

Pavolini riuscì però a sfruttare due opportunità che gli si offrirono una di seguito all'altra: l'occupazione di Roma da parte degli Alleati a giugno, e l'attentato a Hitler a luglio. Mussolini, scosso da questi avvenimenti, cedette ed emanò il decreto (pubblicato sulla Gazzetta il 3 agosto) per l'istituzione del Corpo ausiliario delle Camicie Nere. Il nuovo corpo, sottoposto a disciplina militare ed al Codice penale militare di guerra, fu costituito da tutti gli iscritti al Partito Fascista Repubblicano di età compresa tra i diciotto e sessanta anni non appartenenti alle Forze Armate, organizzati in Squadre d'Azione; il segretario del Partito dovette trasformare la direzione del Partito in un ufficio di Stato maggiore del Corpo ausiliario delle Squadre d'Azione delle Camicie Nere, le Federazioni si trasformarono in Brigate del Corpo ausiliario, il cui comando fu affidato ai capi politici locali. Il decreto, in poche parole, come recitava il testo, faceva sì che «la struttura politico-militare del Partito si trasformasse in un organismo di tipo esclusivamente militare».

Fu Pavolini a coniare la denominazione «Brigate Nere», con la quale voleva esprimere la loro contrapposizione alle formazioni partigiane della Resistenza legate ai partiti di sinistra, «Brigate Garibaldi», «Brigate Giustizia e Libertà» e «Brigate Matteotti».[110] Essendo segretario del Partito e quindi comandante delle Brigate, spettò a lui compito di scegliere i suoi collaboratori: Puccio Pucci, funzionario del CONI, fu il suo più stretto aiutante, ed il primo capo di Stato maggiore fu il console Giovanni Battista Raggio. Il loro tentativo di riesumare lo squadrismo degli inizi (ma su scala più vasta) non si rivelò molto efficace: dei 100.000 uomini previsti da Pavolini se ne reperirono formalmente circa 20.000, e di questi solo 4.000 furono combattenti, militi cioè realmente operativi. Furono inquadrati nelle cosiddette Brigate Nere mobili, che sarebbero risultati gli unici reparti di questa milizia a combattere contro i partigiani.

Per le armi e i mezzi di trasporto le Brigate mobili dipendevano dai militari tedeschi, inizialmente più che contenti di poter contare sui fascisti repubblicani per le imprese antipartigiane, e specialmente per il "lavoro sporco", come incendiare paesi, passare per le armi donne e bambini ed eseguire deportazioni, sequestri, torture ed esecuzioni sommarie. Ai crimini tipici delle azioni di contro-guerriglia, si aggiunsero quelli tipici di reparti che avevano arruolato ogni sorta di elemento, includendo anche più di un criminale: i rapporti della Guardia Nazionale Repubblicana elencano numerosi casi di saccheggio, furto, rapina, arresto illegale, violenze a cose e persone[senza fonte].

L'indisciplina e la violenza gratuita e scoordinata manifestate dalle Brigate sono dati accertati dagli stessi comandanti tedeschi, che persero il loro iniziale - seppur tiepido - entusiasmo verso la loro istituzione registrando come le Brigate fossero incapaci di coordinarsi con i reparti della Wehrmacht e non obbedissero agli ordini (che generalmente ignoravano); le loro violenze erano tali che, nelle zone in cui operavano, per reazione popolare i partigiani aumentavano di numero. Il comandante in capo delle SS in Italia, generale Karl Wolff, forse per evitare un ulteriore aggravio del problema (ma anche perché stava per prendere iniziative di colloqui separati con gli Alleati e voleva operare un gesto di «distensione»), decise di mettere fuori combattimento le Brigate Nere mobili, prosciugando i loro canali di rifornimento[senza fonte].

Servizio ausiliario femminile

Lo stesso argomento in dettaglio: Servizio Ausiliario Femminile.

Il Servizio Ausiliario Femminile era un corpo militare composto unicamente da donne. Furono in tutto oltre 6.000 le donne, di ogni ceto sociale e provenienti da ogni parte d'Italia, a presentare domanda di arruolamento. Il corpo venne istituito con il decreto ministeriale n. 447 del 18 aprile 1944. Fu lo stesso Mussolini a ritenere importante la creazione di un corpo speciale come quello delle ausiliarie.

Per le ausiliarie era previsto uno stipendio oscillante tra le 700 lire per il personale impiegatizio e le 350 lire del personale di fatica. Al corpo vennero affidati anche compiti importanti e rischiosi, quali vere operazioni di sabotaggio. Nella Corrispondenza repubblicana del 15 agosto 1944, il Duce esaltò l'ardore combattivo di venticinque franche tiratrici fasciste di Firenze contro gli invasori angloamericani, e descrisse la sorpresa dell'agenzia Reuters e del giornale inglese The Daily Mirror espressi da Curzio Malaparte.[111]

I reparti non indivisionati

Dopo l'8 settembre 1943 molti ufficiali cercarono di riorganizzare gli sbandati, formando piccoli reparti che restarono in generale autonomi nella nascente RSI.[104]

I Servizi Speciali della RSI

Furono organizzati diversi organismi che preparavano volontari per missioni di sabotaggio e di informazione nei territori controllati dagli Alleati. Si trattava di missioni naturalmente molto rischiose e diversi volontari furono catturati e fucilati o condannati a pene detentive.

Le Volpi argentate
Gruppo Speciale Autonomo al comando del tenente colonnello della G.N.R. Tommaso David,[112], che agiva oltre le linee nemiche. Molti degli agenti erano donne.[104]
I servizi speciali della Marina
Furono quelli del Battaglione Nuotatori Paracadutisti della Xª Flottiglia MAS.
I servizi speciali dell'aeronautica
Anche l'aeronautica ebbe i suoi servizi speciali (Coordinatore il tenente colonnello Ferruccio Vosilla) che, con personale addestrato all'aviolancio, compì missioni in territorio controllato dagli Alleati.
Il nucleo paracadutisti dalmati
Fu creato per iniziativa del colonnello Giovanni Host Venturi e comandato dal sottotenente paracadutista Ruggero Benussi. Operò nei Balcani con lanci di uomini che compirono azioni contro i partigiani jugoslavi di Tito e a sostegno dei cetnici di re Pietro II che collaboravano con le truppe dell'Asse.
I servizi speciali della polizia
Uno di questi servizi fu organizzato dal Comando della Legione Autonoma Mobile Ettore Muti e fu denominato «Squadra servizi speciali». Distaccato presso il comando della Divisione Hermann Göring, operò sul fronte di Bologna compiendo azioni oltre le linee. Furono organizzati anche altri Servizi Speciali di Polizia dal Ministero dell'Interno, per addestrare squadre di sabotatori.

Simboli

La bandiera della Repubblica Sociale Italiana

Heuberg 17 luglio 1944, il Duce passa in rassegna i reparti della divisione "Italia", in primo piano si nota il Tricolore della Repubblica Sociale Italiana, identico a quello regio ma privato dello scudo sabaudo (analogamente alla bandiera dell'attuale Repubblica Italiana)

Lo Stato Nazionale Repubblicano, nato il 23 settembre 1943 ebbe una bandiera de facto nel Tricolore italiano, che venne utilizzata fino al 30 novembre 1943. Il 1º dicembre 1943 furono ufficializzate la bandiera nazionale e la bandiera di combattimento per le Forze armate del nuovo Stato denominato Repubblica Sociale Italiana. La bandiera di combattimento delle Forze armate della Repubblica Sociale Italiana fu cambiata il 6 maggio 1944.

La bandiera nazionale fu ammainata definitivamente il 25 aprile 1945, con lo scioglimento dal giuramento per militari e civili, quale ultimo atto del Governo di Benito Mussolini, mentre la bandiera di combattimento fu ammainata ufficialmente il 3 maggio 1945, con la Resa di Caserta, realmente il 17 maggio 1945, quando cessò le ostilità arrendendosi l'ultimo reparto combattente della Repubblica Sociale Italiana, la Sezione di Artiglieria di Marina, dipendente dalla Compagnia di Artiglieria di Marina dell'Unità Atlantica di Fanteria di Marina, a Saint Nazaire, base navale per sottomarini tedeschi sull'estuario della Loira (Francia); altro posizionamento alternativo era la Fortezza del Vallo Atlantico "Gironde Mündung Süd" a Pointe de Grave sull'estuario della Gironda (Francia).[113][114]

L'aquila argentea fu il tradizionale simbolo dell'antica repubblica romana (mentre l'aquila aurea lo era dell'impero romano). Il fascio littorio dorato è un antico simbolo romano che fu scelto da Mussolini ad emblema ufficiale del fascismo. Esso intendeva rappresentare l'unità degli italiani (il fascio di verghe tenuto assieme), la libertà e l'autorità intesa come potere legale (in origine il fascio littorio era usato come insegna dai magistrati che disponevano dell'imperium, ovvero aventi potere di presiedere i processi, giudicare i casi ed emettere le sentenze).

La bandiera nazionale

La bandiera nazionale della Repubblica Sociale Italiana fu ufficializza da tre atti pubblici:

«Il Consiglio dei Ministri ha poi deciso che dal 1º dicembre p.v. lo Stato nazionale repubblicano prenda il nome definitivo di "Repubblica Sociale Italiana". Ha inoltre stabilito che la bandiera della Repubblica Sociale Italiana è il tricolore, col fascio repubblicano sulla punta dell'asta...»

«Schema di decreto col quale si stabilisce la foggia della bandiera della Repubblica Sociale Italiana e della bandiera di combattimento delle Forze Armate

«La bandiera della Repubblica Sociale Italiana è formata da un drappo di forma rettangolare interzato in palo di verde, di bianco e di rosso con il verde all'asta sormontata dal fascio Repubblicano. Il drappo deve essere alto due terzi della sua lunghezza e i tre colori vanno distribuiti nell'ordine anzidetto ed in parti uguali.»

La bandiera di combattimento

Aquila raffigurata nella bandiera di guerra della Repubblica Sociale Italiana

Le bandiere di combattimento delle Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana furono ufficializzate da tre atti pubblici:

«Il Consiglio dei Ministri ha poi deciso che dal 1º dicembre p.v. lo Stato nazionale repubblicano prenda il nome definitivo di "Repubblica Sociale Italiana". [omissis] la bandiera di combattimento per le Forze armate è il tricolore con frange e un fregio marginale di alloro e con ai quattro angoli il fascio repubblicano, una granata, un'ancora, un'aquila.»

«Schema di decreto col quale si stabilisce la foggia della bandiera della Repubblica Sociale Italiana e della bandiera di combattimento delle Forze Armate

«La bandiera di combattimento delle Forze Armate è caricata di un'aquila in nero ad ali spiegate poggiata su un fascio Repubblicano posto in senso orizzontale, il tutto come dalla tavola annessa al presente decreto. Il drappo deve essere alto un metro e lungo metri 1,50.»

Lo stemma della Repubblica Sociale Italiana

Stemma della Repubblica Sociale Italiana

Lo stemma si basava sulla bandiera d'Italia, il tricolore verde, bianco e rosso, ma coi colori invertiti (ossia il rosso a sinistra e il verde a destra); entro la fascia centrale bianca dello stemma era inserito un fascio littorio, simbolo del Partito Fascista Repubblicano (erede del Partito Nazionale Fascista); il tutto era sormontato da un'aquila monocefala ad ali spiegate[115]. Entrambi i simboli erano stati ripresi dall'Antica Roma: i fasci littori erano esibiti infatti dalle guardie personali dei consoli prima e degli imperatori poi, l'aquila era simbolo di molte legioni.

"Repubblicani" o "repubblichini"?

Il termine «repubblichino», era stato coniato il 15 aprile 1793 da Vittorio Alfieri in una lettera a Mario Bianchi, per definire con intento spregiativo tutti i fautori della repubblica durante la Rivoluzione francese:[116]

«Che belle fughe che han fatto i nostri repubblichini dal 1º marzo fino al 26!»

Fu utilizzato per la prima volta in riferimento a dirigenti, membri dell'esercito, sostenitori e militanti della Repubblica Sociale Italiana nel 1943 da Umberto Calosso in una trasmissione di Radio Londra, in seguito alla nascita della Repubblica Sociale Italiana il termine «repubblichino» si radicò ampiamente nella storiografia e nella pubblicistica in Italia, anche per evitare confusione con «repubblicano» in riferimento alla nuova forma statuale dell'Italia post-bellica. La desinenza diminutiva era naturalmente mirata a fungere da sfumatura spregiativa[117].

Gli aderenti alla Repubblica Sociale Italiana, proclamata dai fascisti in seguito al trasferimento da Roma a Brindisi del re Vittorio Emanuele III capo supremo delle Forze Armate Italiane[118] e di suo figlio, il futuro re Umberto II, utilizzavano invece l'aggettivo «repubblicano» (ad esempio nelle denominazioni ufficiali del nuovo partito fascista e dei corpi militari della RSI).

Tuttavia, tale termine non era nuovo nell'ambito politico italiano che anche durante la guerra era utilizzato dal Partito Repubblicano Italiano, un movimento di origine risorgimentale che aveva aderito al fronte antifascista e puntava ad abolire la monarchia in Italia instaurando una Repubblica democratica. Gli antifascisti, specie se di posizioni repubblicane (come i comunisti, i socialisti e gli azionisti), che nel frattempo avevano creato il Comitato di Liberazione Nazionale nel "Regno del Sud", si rifiutavano di chiamare «repubblicano» il regime politico collaborazionista instaurato al Nord.

Lo storico Luigi Ganapini, autore nel 1999 dello studio La repubblica delle camicie nere, affermò di aver deliberatamente evitato nel suo saggio l'uso del termine «repubblichini», ritenendo che «la storia non si fa con l'insulto»[119]. Lo storico Sergio Luzzatto, per identificare il periodo in esame, ha usato l'aggettivo «saloino» (nel suo saggio Il corpo del duce), che designa propriamente gli abitanti di Salò, de facto capitale della RSI.

Note

  1. ^ Durante alcune cerimonie venivano cantati Giovinezza e l'Inno di Mameli (v. Giacomo De Marzi, I canti di Salò, su archiviostorico.info. URL consultato il 27 settembre 2016.)
  2. ^ Il governatore italiano, ammiraglio Inigo Campioni, rimase in carica fino al 18 settembre, quando fu deportato dai tedeschi, per non aver aderito alla RSI. A Rodi rimase il vicegovernatore Iginio Ugo Faralli, che mantenne un profilo nettamente apolitico. Il vero potere era in mano tedesca, con i generali Ulrich Kleemann (1943-1944) e Otto Wagener (1944-1945).
  3. ^ Viganò 1991, p. 24.
  4. ^ Patto commerciale in data 30 gennaio 1944.
  5. ^ Repubblica sociale italiana, in Dizionario di storia, III, P-Z, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana (Treccani), 2011. URL consultato il 19 maggio 2022.
  6. ^ Carocci 1994, p. 89: «La Repubblica sociale, stretta fra il martello tedesco e l'incudine partigiana, non fu che un'appendice e un sostegno del primo. Non mancarono, accanto alla dominante nota sanguinaria, dei tentativi […] per alleggerire la pesante mano tedesca, sia nei confronti degli internati in Germania, sia nei confronti del patrimonio industriale del Nord Italia. – Questi tentativi non ebbero che scarso o nullo successo».
  7. ^ Lupo 2013, p. 439: i «tedeschi ([…]) di fatto gestiscono politicamente, militarmente ed economicamente il territorio della cosiddetta Repubblica».
  8. ^ Riosa e Bracco 2004, p. 118: «La nuova formazione statuale, sovrana in apparenza, ma di fatto vassalla alla Germania»...
  9. ^ Emilio Gentile, Mussolini, Benito, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 77, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana (Treccani), 2012. URL consultato il 19 maggio 2022.: «Pur considerandosi ormai politicamente defunto, pressato da Hitler, che minacciava spietate rappresaglie sull'Italia, accettò di rientrare in Italia e mettersi a capo di un nuovo Stato fascista, la Repubblica sociale italiana (RSI), nota come Repubblica di Salò, tentando di conservare una qualche autonomia all'Italia occupata dai tedeschi e continuare la guerra come loro alleati. Ma sul piano sia politico sia militare, la RSI fu subordinata al potente alleato, che agiva da padrone e governava direttamente ampie porzioni del territorio italiano del nord-est».
  10. ^ Gentile 2015, cap. II, sez. 5.1: «A Mussolini non rimase che fungere da specchietto per le allodole: la sua figura serviva a mascherare l'occupazione tedesca. Sul fatto che il governo da lui presieduto fosse asservito alla Germania non può esserci alcun serio dubbio».
  11. ^ Conforti 1995, p. 15: «Governi fantoccio, come tali privi di soggettività internazionale, si ebbero ad es. all'epoca della seconda guerra mondiale nei territori occupati dai Nazisti (Governo Quisling in Norvegia, Repubblica sociale italiana, ecc.)».
  12. ^ A tal proposito si veda il paragrafo La RSI come Stato fantoccio. Un riassunto delle principali tesi giuridiche in Paolo Palchetti, L'organo di fatto dello Stato nell'illecito internazionale, Milano, Giuffrè Editore, 2007, pp. 87 ss.
  13. ^ Era «consapevole che [i tedeschi] consideravano il suo governo nulla più che un governo fantoccio, insediato al potere "per puri motivi di interesse politico"». Cfr. De Felice 1997, p. 437.
  14. ^ Decreto legislativo luogotenenziale 5 ottobre 1944, n. 249. URL consultato il 19 maggio 2022 (archiviato dall'url originale il 30 marzo 2022). Ospitato su Morashà.it.
  15. ^ Alcune idee sul futuro assetto politico e sociale del popolo italiano - Progetto di costituzione preparato, su incarico del Governo della R.S.I. dal ministro dell'educazione nazionale Biggini presentato il 16 dicembre 1943 alla riunione del Governo nella quale venne deliberata la costituzione dell'Assemblea Costituente, su it.wikisource. URL consultato il 26 agosto 2022.
  16. ^ Progetto di Costituzione, su it.wikisource. URL consultato il 26 agosto 2022.
  17. ^ a b RSI, controversa "utopia". Dal fascismo monarchico al fascismo repubblicano, su InStoria.it, dicembre 2010. URL consultato il 19 maggio 2022.
  18. ^ a b Fascismo: la Repubblica Sociale Italiana, su Storia XXI secolo. URL consultato il 19 maggio 2022.
  19. ^ Disse Mussolini: «Quando una monarchia manca a quelli che sono i suoi compiti, essa perde ogni ragione di vita. […] Lo Stato che noi vogliamo instaurare sarà nazionale e sociale nel senso più lato della parola: sarà cioè fascista nel senso delle nostre origini». Cfr. Dalla liberazione di Mussolini all'epilogo: la Repubblica sociale italiana. 13 settembre 1943-28 aprile 1945, in Opera omnia di Benito Mussolini, XXXII, Firenze, La fenice, 1960, p. 4.
  20. ^ Decreto del Duce, Capo dello Stato Fascista Repubblicano d'Italia, Capo del Governo del 25 settembre 1943, in Gazzetta Ufficiale d'Italia, n. 260, 8 novembre 1943.
  21. ^ Decreto del Duce del Fascismo, Capo dello Stato Nazionale Repubblicano dell'8 ottobre 1943, in Gazzetta Ufficiale d'Italia, n. 247, 22 ottobre 1943.
  22. ^ Gazzetta Ufficiale d'Italia nº244 del 19 ottobre 1943
  23. ^ Per i verbali dei Cdm del governo di Salò cfr. Francesca Romana Scardaccione (edizione critica a cura di), Verbali del Consiglio dei ministri della Repubblica sociale italiana. Settembre 1943-aprile 1945, I, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali, Direzione generale per gli archivi, 2002, pp. 76-162.
  24. ^ Giuseppe Leti, L'ISTAT e il Consiglio Superiore di Statistica dal 1926 al 1945, Roma, Sistema statistico nazionale, Istituto nazionale di statistica, 1996, p. 263.
  25. ^ Meldi 2008, p. 9: «Erano ormai passate le ore 2 del 25 luglio allorché si passò alla votazione degli O.d.G. Quello di Dino Grandi venne approvato con 19 sì, 7 no e 1 astenuto (Giacomo Suardo che ritirò la sua firma). Farinacci, il 28° membro, votò il proprio O.d.G.»
  26. ^ Roberto Roggero, Oneri e onori: le verità militari e politiche della guerra di liberazione in Italia, Milano, Greco & Greco Editori, 2006, p. 91.
  27. ^ a b c d Cospito, Neulen, p. 10.
  28. ^ Sulla liberazione di Mussolini al Gran Sasso, lo storico Vincenzo Di Michele ha ritenuto fondata l'ipotesi di un accordo fra il governo Badoglio e le Forze Tedesche. Tra le varie argomentazioni a sostegno della predetta tesi, Di Michele ha riportato la testimonianza di Nelio Pannuti, agente di P.S. addetto alla vigilanza del Duce nel settembre del 1943: "Su quell'incursione dei tedeschi, qualcosa non quadrava in riferimento ad un'azione militare vera e propria. Sì è vero, gli alianti tedeschi atterrarono sul pianoro di Campo Imperatore e ci fu una loro irruzione, ma di fatto da parte nostra, non ci fu alcuna resistenza non avendo avuto nessun ordine circa una nostra possibile reazione, né esisteva alcun piano di difesa. In effetti, sembrava come se fosse un'azione concordata. A tal proposito ci fu un particolare che ancora adesso è fermo nella mia mente. Una volta liberato il Duce e prima della sua partenza per la Germania ebbe luogo un incontro tra noi e i tedeschi nella sala dell'albergo, tutti con le armi in spalla, pacificamente. Fu proprio allora che davanti ai miei occhi il Generale Soleti si avvicinò al Tenente Skorzeny e gli intimò di restituirgli la sua pistola. Tale intimazione fu ripetuta una seconda volta ad alta voce. Sta di fatto che Skorzeny dopo una titubanza iniziale infilò una mano nella giacca da cui estrasse una piccola pistola consegnandola al generale Soleti", in Vincenzo Di Michele, L'ultimo segreto di Mussolini, Rimini, Il Cerchio, 2015, pp. 123-124, ISBN 8884744229.
  29. ^ Lo storico Renzo De Felice cita la frase che, secondo Carlo Silvestri, Hitler avrebbe rivolto a Mussolini: "L'Italia settentrionale dovrà invidiare la sorte della Polonia se voi non ridate valore all'alleanza fra la Germania e l'Italia mettendovi a capo dello Stato e del nuovo governo. In tal caso il conte Ciano non vi sarà consegnato. Egli sarà impiccato qui in Germania. O il nuovo governo della repubblica fascista si impernia sul binomio Mussolini-Graziani o l'Italia sarà trattata peggio della Polonia. Peggio, dico, perché la Polonia fu considerata un Paese di conquista; l'Italia sarà considerata il Paese dei traditori senza discriminazioni", in De Felice 1997, pp. 60 e 61. Peraltro altre fonti, tra cui Frederick William Deakin, Erich Kuby, Giorgio Bocca, non confermano l'autenticità della frase riferita da Silvestri.
  30. ^ a b Cospito, Neulen, p. 13.
  31. ^ Luigi Ganapini, Marco Turchi, Simonetta Bartolini, Aldo Giannulli e Giuseppe Parlato, Le fonti per la storia della RSI, a cura di Aldo G. Ricci, 8ª ed., Venezia, Marsilio, 2003.
  32. ^ Cfr. il punto 8) del Manifesto di Verona del PFR.
  33. ^ Nella provincia di Lubiana, in cui le autorità italiane non avevano avuto tempo di radicarsi, i tedeschi insediarono una separata amministrazione fantoccia slovena. I richiami alla sovranità italiana furono usati dai militari germanici solo per togliersi responsabilità negative, come l’inflazione derivante dall’emissione della valuta d'occupazione locale, mentre non esistono atti di governo della RSI che richiamino anche solo formalmente il territorio sloveno.
  34. ^ Ten. Col. Eduardo ALESSI, su ANC Sondrio. URL consultato il 19 maggio 2022.
  35. ^ Il comune sul Ceresio fu poi amministrato da un "Regio Commissario", un'autorità straordinaria e unica nel suo genere, nominato dall'ambasciata del Regno d'Italia presso la Svizzera.
  36. ^ La sede del Ministero degli Esteri era Villa Simonini, sottosegretario facente funzioni era Serafino Mazzolini
  37. ^ Trasferitasi definitivamente con l'ultimo ministro Tarchi
  38. ^ Progetto di Costituzione della RSI, art. 2 "Lo Stato italiano è una Repubblica sociale […]".
  39. ^ Progetto di Costituzione della RSI, art. 12: "Il popolo partecipa integralmente, in modo organico e permanente, alla vita dello Stato […]".
  40. ^ COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA. Ospitato su sito della cattedra torinese di diritto costituzionale.
  41. ^ Progetto di Costituzione della RSI, art.40: "Il Duce esercita il potere legislativo in collaborazione con il Governo e con la Camera dei rappresentanti del lavoro […]"; art. 45: "Al Duce appartiene il potere esecutivo. Esso lo esercita direttamente e a mezzo del Governo […]"
  42. ^ Nonostante il duce non sia eletto dal popolo ma dal parlamento, ad esempio ne L'origine della Costituzione italiana di Enrico Antoniazzo la forma di governo che la RSI avrebbe adottato se la guerra fosse finita è definita "un presidenzialismo puro"
  43. ^ Nella Gazzetta Ufficiale d'Italia si fa riferimento a Mussolini come "Duce del Fascismo, Capo dello Stato Nazionale Repubblicano": https://www.gazzettaufficiale.it/do/gazzetta/foglio_ordinario1/1/pdfPaginato?dataPubblicazioneGazzetta=19431022&numeroGazzetta=247&tipoSerie=FO&tipoSupplemento=GU&numeroSupplemento=0&progressivo=0&numPagina=1&edizione=0&rangeAnni=inRsi
  44. ^ Gazzetta Ufficiale, su www.gazzettaufficiale.it. URL consultato il 24 febbraio 2023.
  45. ^ Amedeo Osti Guerrazzi, Le udienze di Mussolini durante la Repubblica Sociale Italiana (1943–1945) (PDF), a cura di Istituto Storico Germanico di Roma, Heidelberg University Publishing (heiUP), 2020.
  46. ^ Cit. tratta da Bertoldi 1976, p. 405.
  47. ^ Liliana Picciotto Fargion, Il libro della Memoria, Milano, Mursia, 2002.
  48. ^ Cfr. p. es. (EN) Joshua D. Zimmerman, Jews in Italy under Fascist and Nazi Rule – 1922-1945, New York, Cambridge University Press, 2005, p. 217.
  49. ^ Alcuni autori riportano oltre 200 arresti, con una sessantina di arrestati poi liberati in base alle direttive di Buffarini Guidi circa la "protezione" di ebrei che avessero parenti o coniugi "ariani".
  50. ^ Bertoldi 1976, p. 404.
  51. ^ Cit. da Bocca 1977, p. 208.
  52. ^ Michele Sarfatti (direttore del Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano), Mussolini sapeva bene dell'olocausto», in la Provincia Pavese, 27 gennaio 2005. URL consultato il 10 maggio 2018 (archiviato il 10 maggio 2018).
  53. ^ Calendario Atlante De Agostini 1939, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1939, p. 56.
  54. ^ Bocca 1977, p. 210. Bocca riporta come fonte Giulia Donati
  55. ^ Fioravanzo 2009, pp. 62-63.
  56. ^ Amedeo Osti Guerrazzi, Le udienze di Mussolini durante la Repubblica Sociale Italiana 1943–1945 (PDF), in Pubblicazioni online del DHI Roma. Nuova serie, vol. 3, Deutsches Historisches Institut in Rom, 2019.
  57. ^ Franco dichiarò all'ambasciatore tedesco di essere disponibile solo ad un riconoscimento di fatto perché Mussolini era ormai "solo un'ombra". Deakin 1963, p. 568.
  58. ^ De Felice 1997, p. 358.
  59. ^ Per maggiori dettagli cfr. Viganò 1991.
  60. ^ Riccardi 2015, capitolo III: «la Santa Sede non riconosceva il regime di Mussolini e aveva relazioni diplomatiche con il governo del re d'Italia che non controllava Roma».
  61. ^ a b Franzinelli 2003, p. 70.
  62. ^ Giovanni Dolfin, Con Mussolini nella tragedia, Milano, Garzanti, 1949, p. 89. Citazione del diario del 12 novembre 1943 ripresa in Franzinelli 2003, p. 70.
  63. ^ Memoriale di Graziani a Mussolini sulle «operazioni coordinate contro il banditismo» dell'estate 1944, citato in Franzinelli 2003, p. 71.
  64. ^ Memoriale di Kaltenbrunner a Bormann del 16 agosto 1944 con oggetto «Governo italiano», in traduzione italiana a cura di Nicola Cospito e Hans Werner Neulen, in Cospito, Neulen, pp. 237-240, citato in Franzinelli 2003, p. 71.
  65. ^ Memoriale del «DUCE Capo del Governo», all'ambasciatore germanico, 10 dicembre 1944-XXIII, citato in Franzinelli 2003, p. 71.
  66. ^ Relazione del Consiglio dei Ministri della Repubblica Sociale Italiana, 19 gennaio 1945-XXIII, citata in Franzinelli 2003, p. 71.
  67. ^ Lutz Klinkhammer, Roma durante l'occupazione nazifascista – Percorsi di Ricerca, Milano, Franco Angeli, 2009, p. 256, ISBN 978-88-568-1146-9.
  68. ^ Viganò 1991, pp. 11-12.
  69. ^ Da Tristano Matta, Un percorso della memoria. Guida ai luoghi della violenza nazista e fascista in Italia, Milano, Electa, 1996, p. 17.
    «Quando sul finire del settembre del 1943 fu annunciata la costituzione del governo neofascista della Repubblica sociale italiana la situazione del territorio occupato fu resa più complessa dalla coesistenza di un duplice livello di ordini e di ordinamenti: per formale che fosse la presenza degli organismi della RSI – quanto meno si trattava di una sovranità limitata –, nondimeno di essi doveva tenere conto anche l'autorità tedesca, che deteneva l'effettivo potere di disposizione del territorio italiano. Questo non cessò mai di essere considerato territorio occupato, quali che fossero le limitazioni, spesso meramente esteriori, che la dirigenza del Reich ritenne di dover imporre ai proprio comportamenti se non altro per rispondere ad un duplice ordine di esigenze: salvare la necessità propagandistica di mostrare verso l'esterno la persistente continuità dell'alleanza dell'Asse e del Tripartito, ad onta della rottura di fatto avvenuta con l'armistizio italiano e la defezione dalla guerra, senza d'altra parte nulla cedere sul controllo effettivo del territorio italiano ad opera delle forze tedesche»
  70. ^ Klinkhammer 1993, p. 101: «Al fine di mantenere di fronte all'opinione pubblica l'apparenza della «sovranità» italiana e suggerire che l'Asse continuava ad esistere, il ministero degli Esteri di Berlino si sforzò di ottenere il riconoscimento diplomatico del nuovo governo fascista. Ma questi sforzi ebbero un successo parziale».
  71. ^ Viganò 1991, p. 11.
  72. ^ Renzo De Felice, Storia del Fascismo, vol. 5: La caduta del Regime, edizione allegata al quotidiano Libero, Milano, 2004, pp. 46-47.
    «Fuorviante sarebbe continuare a battere sul tasto di una Repubblica sociale governo o Stato "fantoccio", completamente asservito ai tedeschi. È vero, infatti, che la nascita di quel governo e di quell'organismo statale fu imposta dai tedeschi (da Hitler anzi) a Mussolini, pena la messa a ferro e fuoco dell'Italia settentrionale da parte delle truppe del Reich. Ma è altrettanto vero che, nelle particolari condizioni in cui la Repubblica sociale nacque – nell'abisso del discredito internazionale in cui l'armistizio dell'8 settembre aveva piombato l'Italia – sarebbe stato impossibile per essa rivendicare una vera e propria autonomia. E quel poco che riuscì a ritagliarsi in tal senso lo si dovette unicamente alla presenza come capo dello Stato e del Governo (nonché del ministero degli Esteri) di una figura carismatica come quella di Mussolini. Al punto che quella figura – pur ridimensionata dal 25 luglio – avrebbe finito per legare le mani ai tedeschi (soprattutto ai militari) che avrebbero preferito avere a che fare con personaggi più "malleabili" come Roberto Farinacci, un Preziosi, un Augusto Turati. Non uno Stato "fantoccio", dunque, la Repubblica sociale, semmai uno Stato capace di mantenere, sino agli ultimi mesi di vita, una propria efficienza organizzativa, con una sua amministrazione e una sua burocrazia, un apparato militare (peraltro squassato da continue polemiche tra fautori di un esercito nazionale e apolitico, come Graziani, e quelli di un esercito "fascista" e politicizzato al massimo, come Renato Ricci e Pavolini) […]»
  73. ^ Franzinelli 2003, p. 61.
  74. ^ Lilio Giannecchini (a cura di), Eserciti, popolazione, Resistenza sulle Alpi apuane. Atti del Convegno internazionale di studi storici sul settore occidentale della linea gotica, vol. 2, S. Marco Litotipo, 1997, p. 125.
    «La definizione della RSI come "Stato-fantoccio" o "Stato-marionetta" è stata duramente criticata soprattutto dalla recente storiografia tedesca e indubbiamente non può essere usata meramente a scopi polemici o denigratori. Non si tratta cioè di sminuire una realtà di fatto che ebbe una sua consistenza. La definizione può conservare un senso se richiama ad una realtà comunque subordinata alle direttive o anche alle pre-condizioni implicite nell'occupazione tedesca: essa deve essere, però, integrata dall'avvertenza che uno "Stato-fantoccio" possiede sue proprie risorse e applica suoi propri mezzi e forze pur soggetti a centri decisionali "esterni" al suo controllo e alla sua sovranità»
  75. ^ Lutz Klinkhammer, Le strategie tedesche di occupazione, in Massimo Legnani e Ferruccio Vendramini (a cura di), Guerra, guerra di liberazione, guerra civile, Milano, Franco Angeli, 1990, p. 110. Citato da Andrea Mammone, Gli orfani del duce, in Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia, Italia contemporanea, vol. 238, Carrocci, 2005, ISBN 88-430-3645-9, p. 256: «I fascisti non erano né pochi né impotenti. Neppure il loro stato fu soltanto un fantoccio. Esistevano un governo, una dozzina di ministeri ed un'amministrazione abbastanza intatta con migliaia di funzionari. Addirittura i tedeschi ritenevano sufficiente l'edificio statale fascista. Se la situazione fosse stata diversa, la Wehrmacht avrebbe potuto istituire un suo governo militare. Se i fascisti fossero stati solo "burattini", non avrebbero potuto sparare ed uccidere i loro concittadini […]; i fascisti non erano né dei fantasmi, né dei burattini o dei meri servi dei tedeschi».
  76. ^ Klinkhammer 1993, p. 18 e nota 52 a p. 441.
  77. ^ Bertoldi 1992, p. 57.
  78. ^ Pierre Milza e Serge Berstein, Storia del Fascismo, traduzione di Maria Grazia Meriggi, Milano, Rizzoli, 1982, p. 481. Edizione originale (FR) Pierre Milza e Serge Berstein, Le fascisme italien (1919-1945), Paris, Editions du Seuil, 1980.
  79. ^ « […] checché venisse affermato dalla propaganda repubblicana… tre mesi erano bastati per far fallire i tentativi di Mussolini per stabilire con i tedeschi rapporti che assicurassero alla RSI un sia pur ridotto margine di autonomia e di sovranità…» Cit. da De Felice 1997, p. 470.
  80. ^ Erich Kuby, Il tradimento tedesco, Milano, Rizzoli, 1983, p. 278.
  81. ^ Costanti furono, da parte delle alte gerarchie naziste i riferimenti a un supposto tradimento italiano. Lo stesso Hitler ammise che: « […] in seguito agli avvenimenti dello scorso settembre le nostre relazioni con l'Italia sono difficili e devono rimanere tali…». Cit. da Deakin 1963, p. 416 (fonte tratta da Bocca 1977, p. 57). Per Keitel « […] il solo esercito italiano che non ci tradirà è un esercito che non esiste…», cit. da Ermanno Amicucci, I seicento giorni di Mussolini, Roma, Faro, 1948, p. 22. Fonte tratta da Bocca 1977, p. 57.
  82. ^ Cit. da Veneruso 1996, p. 417.
  83. ^ Complessivamente furono costituite quattro divisioni dell'ENR e una di SS italiane, costituite con ufficiali e graduati optanti per la RSI presi dai campi di internamento e reclute provenienti dall'Italia.
  84. ^ Cospito, Neulen, p. 127. L'ipotesi di allargare il Reich a sud era emersa già prima dell'8 settembre (Cospito, Neulen, p. 128). Il testo di Cospito e Neulen contiene per refuso la data del 10 settembre, ma i documenti riprodotti riportano correttamente la data del 12.
  85. ^ Il 1º ottobre il Gauleiter della Carinzia prendeva per decreto con valore retroattivo al 29 settembre il controllo militare e civile. Cfr. Gazzetta Ufficiale del Litorale Adriatico n. 1 del 15 ottobre 1943 e Franco Filanci, Trieste, tra alleati e pretendenti, ediz. Poste italiane – Museo Postale, dicembre 1995.
  86. ^ Cioè la protezione delle direttrici del Tarvisio e del Brennero e la difesa antisbarco in Istria. Cfr. Cospito, Neulen, p. 127.
  87. ^ Documenti diplomatici tedeschi Serie E VI n.311
  88. ^ Nelle Zone d'Operazioni si intrecciarono i differenti punti di vista e le aspirazioni dei diversi poteri del Terzo Reich, spesso anche incoerenti fra loro: per Göbbels sarebbe stato desiderabile annettere l'intero nord-est italiano, compresa Venezia. I Gauleiter di Tirolo e Carinzia invece rispondevano a progetti ambigui, proiettati alla ricostituzione di una "grande Austria" presentabile nei confronti dei futuri vincitori alleati della guerra o di un Tirolo unito e indipendente a guerra finita. Le SS insediarono in provincia di Udine oltre 20.000 cosacchi con le proprie famiglie, nella prospettiva di creare uno "Stato cuscinetto del Friuli" (Pufferstaat Friaul) o del Kosakenland, cercando anche di suscitare sentimenti anti-italiani nelle popolazioni ladine. Cfr. Pier Arrigo Carnier, Lo sterminio mancato e L'armata cosacca in Italia. 1944-1945 Mursia. Dal canto suo, l'ambasciatore tedesco Rahn cercò di moderare le prevaricazioni dei gauleiter Reiner e Hofer, rimandando ogni discussione a guerra finita. Cfr. Cospito, Neulen, pp. 128-129.
  89. ^ Cospito, Neulen, p. 128.
  90. ^ Parte delle opere rubate vennero recuperate dopo la guerra, in particolare grazie all'opera di Rodolfo Siviero, altre andarono perse o inglobate nel bottino di guerra raccolto dell'Armata Rossa in Germania e mai reso agli originali proprietari.
  91. ^ il prestito Farini, su Centro RSI. URL consultato il 19 novembre 2008.
  92. ^ Bertoldi 1976.
  93. ^ Luciano Lanna e Filippo Rossi, Fascisti immaginari: tutto quello che c'è da sapere sulla destra, Vallecchi, 2003, p. 176.
  94. ^ Secondo altri, è l'estratto di un discorso tenuto da Mussolini a Milano nella stessa data; in merito Benito Mussolini, Il manuale delle guardie nere, Edizioni Reprint, 1993.
  95. ^ Cit. da Deakin 1963, vol. 2, pp. 902-903.
  96. ^ Veneruso 1996, p. 422.
  97. ^ Cit. Deakin 1963, p. 894
  98. ^ Rapporto di Vaccari (capo della federazione fascista degli impiegati di commercio) a Mussolini, 20 giugno 1944. Questo documento è sottolineato e annotato con forti segni da Mussolini. Fonte tratta da Deakin 1963, p. 902.
  99. ^ Cfr. la testimonianza di Riccardo Lombardi al processo Graziani, la fonte è riportata da Deakin 1963, p. 899.
  100. ^ Cit. da Deakin 1963, p. 901.
  101. ^ Collezione italiana, Memorandum di Tarchi, febbraio 1945, tratto da Deakin 1963, p. 900.
  102. ^ a b Cit. da Gianni Oliva, L'Ombra Nera, Milano, Mondadori, 2007, p. 13.
  103. ^ Secondo Meldi 2008, p. 39, «non avrebbero superato quota 558.000». Invece, «Secondo alcune fonti della RSI […] l'Esercito (senza la GNR) avrebbero contato 780.000 uomini, però includendo circa 260.000 lavoratori militarizzati».
  104. ^ a b c Meldi 2008.
  105. ^ Art. 3 Decreto legge del 28 ottobre 1943 istitutivo dell'esercito della RSI, cit. in G. Galligani, L'Europa e il mondo nella tormenta. Guerra, nazifascismo, collaborazionismo, resistenza, Roma, Armando, 2012, p. 78.
  106. ^ Il fondo della Repubblica Sociale Italiana (PDF), su Aeronautica Militare italiana, 27 ottobre 2014 (archiviato dall'url originale il 27 ottobre 2014).
  107. ^ La RSI e l'Aeronautica Nazionale Repubblicana, su Aeronautica Militare italiana, 23 dicembre 2011 (archiviato dall'url originale il 23 dicembre 2011).
  108. ^ Igino Coggi, La caccia di Salò, in Storia Illustrata, n. 256, marzo 1979, p. 111.
    «fra il 3 gennaio 1944 e il 19 aprile 1945, il 1º gruppo, nel corso di 46 combattimenti, registrava 113 vittorie sicure e 45 probabili (e fra le "sicure" erano ben 34 Liberator) contro la perdita, sempre in azione, di 55 velivoli e di 49 piloti. In un periodo ancora più breve, aprile 1944-aprile 1945, il 2º gruppo sosteneva 48 combattimenti con 114 aerei alleati sicuramente abbattuti e 48 "probabili»
  109. ^ Giorgio Pisanò, Gli ultimi in grigioverde, Milano, CDL Edizioni, p. 1452.
    «L'ultima azione del Gruppo venne compiuta al largo di Rimini il 5 gennaio 45 e si concluse con l'affondamento di un piroscafo da carico di 5000 tonnellate»
  110. ^ Bertoldi 1976 p. 274.
  111. ^ Luciano Garibaldi, Le soldatesse di Mussolini. Memoriale inedito di Piera Gatteschi Fondelli, Milano, Mursia, 1995.
  112. ^ Già maggiore del CREM, Tommaso David, pluridecorato veterano della guerra italo-turca e della prima guerra mondiale, usò i nomi di copertura di Prof. D'Amato e Dott. De Santis.
  113. ^ Arena 1999 nel Capitolo 10 a pagina 374 del volume II menziona la presenza di marinai italiani aggregati alla M.A.A. 280 - Marine Artillerie Abteilung 280 (280º Gruppo di Artiglieria Navale tedesco) a Saint Nazaire, mentre a pagina 376 menziona la presenza di altri 111 italiani della ex 1ª Divisione Fanteria di Marina "Atlantica" di stanza a Saint Nazaire.
  114. ^ Rocco 1998 a pagina 79 menziona la presenza di marinai italiani aggregati alla Fortezza del Vallo Atlantico "Gironde Mündung Süd" a Pointe de Grave.
  115. ^ Ordine del giorno presentato da Dino Grandi e approvato nella Seduta del Gran Consiglio del fascismo del 24 luglio 1943., su collezioni-f.it. URL consultato il 31 dicembre 2020.
  116. ^ Nuova enciclopedia universale Rizzoli Larousse, vol. XVI, p. 689.
  117. ^ repubblichino, in Vocabolario della lingua italiana, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana (Treccani). URL consultato il 19 maggio 2022.
  118. ^ Art. 5 dello Statuto Albertino.
  119. ^ Simonetta Fiori, Salò, una storia italiana, in La Repubblica, 8 febbraio 1999.

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