Buddismo in Italia

Pagoda della Pace a Comiso

Il buddismo in Italia è la terza religione più diffusa, dopo il Cristianesimo e l'Islam. Secondo l’ultimo rapporto realizzato da CESNUR, al 2024 i praticanti di tradizione buddhista in Italia ammontano a circa 342mila, pari allo 0,6% della popolazione residente. [1] [2][3]

In Italia diversi centri buddhisti si sono associati all'Unione Buddhista Italiana, fondata nel 1985 e riconosciuta come Ente di culto con Decreto del Presidente della Repubblica nel 1991. [4] Essa riunisce centri, fondazioni, templi e monasteri appartenenti alle tre tradizioni Buddhiste del Theravada, Mahayana e Vajrayana. l'UBI aderisce all'Unione Buddhista Europea e dichiara di raccogliere circa 70.000 membri, dei quali 50.000 cittadini italiani.[5]

Gli altri fedeli - circa 96.100 al 2022 - appartengono invece all'altra grande organizzazione buddhista della Soka Gakkai,[6] un nuovo movimento religioso[7] derivato dal Nichiren Shōshū giapponese,[7] non facente parte dell'UBI, pur essendo membro dell'Unione Buddhista Europea.

L'Albero con gli Occhi, sotto il quale meditava Tiziano Terzani, presso Orsigna (Pistoia), circondato da bandiere di preghiera tibetane e cairn.
Tempio buddista della comunità srilankese a Ponte a Moriano (Lucca)
Veduta dell'Istituto Lama Tzong Khapa, a Pomaia
Il Centro di Merigar West a Grosseto, fondato da Namkhai Norbu nel 1981 per la conservazione della tradizione Dzogchen.

Secondo alcune fonti il buddismo era praticato in Italia, per quanto marginalmente, già in epoca romana[8]. L'esistenza a quel tempo di correnti sincretiche greco-buddhiste, inoltre, rende plausibile la presenza di altre piccole comunità nelle province orientali dell'Impero. Tuttavia con ogni probabilità la tradizione andò scomparendo dalla penisola in seguito alle persecuzioni dei culti non-abramici a partire dal IV secolo d.C.

La presenza contemporanea invece è il risultato di sviluppi più recenti ed in continuità con l'interesse sorto anche in altri paesi europei verso le religioni "dharmiche", inizialmente sul piano filosofico, verso la fine dell'Ottocento.

Nell'accettazione del buddismo possiamo distinguere tre diverse fasi, seguendo le indicazioni di Martin Baumann: la prima fase è caratterizzata dall'interesse per il buddismo a livello però puramente teorico da parte di alcuni filosofi, quali Ralph Waldo Emerson, fino a Arthur Schopenhauer che è stato definito “il precursore del buddismo in Occidente”.

La seconda fase è data dopo la fondazione della Società Teosofica nel 1875. Dopo questa data cominciano a verificarsi in Occidente vere e proprie "conversioni" al buddismo. Il primo monaco italiano fu Salvatore Cioffi, ordinato nel 1925.

La terza fase del buddismo occidentale, con la nascita di vere e proprie comunità, comincia dopo la prima guerra mondiale ed è caratterizzata dal contatto sempre più frequente fra maestri orientali.

Si può parlare così di un'esplosione di interesse per il buddismo tibetano che va dagli anni '60-'70 soprattutto negli ambienti della controcultura hippie. Questo successo passa anche per la letteratura e il cinema, dal Siddartha di Hermann Hesse a film come Piccolo Buddha di Bernardo Bertolucci, Sette anni in Tibet e Kundun. Questi spunti letterari e cinematografici - insieme con la notorietà del XIV Dalai Lama - hanno sicuramente favorito anche la diffusione del buddismo in Italia.

La presenza buddhista in Italia comincia a farsi notare nel 1960, con la fondazione a Firenze dell'Associazione Buddhista Italiana e con la pubblicazione dal 1967 della rivista Buddhismo Scientifico. Vincenzo Piga si pone a capo dell'Unione Buddhista Italiana (U.B.I.). La firma da parte dell'allora Presidente del Consiglio Massimo D’Alema dell'Intesa fra lo Stato italiano e l'U.B.I., nel 2000, pure non ancora ratificata dal Parlamento, consacra e conferma la crescita del buddismo nel nostro Paese.

L'Intesa tra lo stato italiano e l'Unione Buddhista Italiana è stata ratificata l'11 dicembre 2012[2][9]. L'evoluzione del buddismo in Italia è stata possibile anche grazie al coordinamento tra i centri buddhisti di tutte le tradizioni presenti in Italia che sentono la necessità di unirsi e cooperare promuovendo il dialogo interreligioso, l'incontro con le istituzioni culturali e promuovono attività didattiche sul buddismo. L'U.B.I è stata riconosciuta come ente religioso con personalità giuridica e riunisce i quarantaquattro maggiori centri italiani e i loro affiliati secondo le tradizioni Theravada (sud-est asiatico) Mahāyāna (Estremo Oriente), Vajrayana (Tibet) che sostengono la pratica e la diffusione dell'insegnamento spirituale storico (Shakyamuni Buddha).

Villa Le Brache a Firenze, sede italiana della Soka Gakkai.

Nel corso degli anni sono sorti diversi templi buddhisti nelle maggiori città italiane e sono stati fondati diversi monasteri e centri di meditazione: i centri di Roma, dove sono presenti il centro Zen Soto tradizionale l'Arco, diversi centri Zen Rinzai legati al centro di Engaku Taino e l'Associazione laica A.Me.Co, fondata e diretta dall'insegnante laico Corrado Pensa; Milano, dove è presente il centro Zen Enso-ji Il Cerchio, fondato e diretto dal maestro Soto Testugen Serra; Scaramuccia, località presso Orvieto, dove è presente il monastero del Maestro Zen Rinzai Engaku Taino, Pomaia ed il centro di Comiso in Sicilia. Il buddismo Tibetano Vajrayana è rappresentato tra gli altri dai centri della Via di Diamante, appartenenti alla scuola Kagyu, diffusi ormai in buona parte delle regioni italiane.

In Italia è anche diffuso il buddismo di Nichiren Daishonin un maestro vissuto in Giappone nel XIII secolo, cui l'associazione Soka Gakkai Internazionale si richiama. L'Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai è stato fondato nel 1998 sulle ceneri dell'Associazione Italiana Nichiren Shoshu (nata negli anni '70 e trasformatasi nel 1990, dopo la separazione dal clero della Nichiren Shōshū, in Associazione Italiana Soka Gakkai, con 13.000 membri nel 1993. È riconosciuto come Istituto con decreto del Presidente della Repubblica nel 2000 e dichiara in quell'anno di raccogliere circa 33.000 aderenti[10]

Altre organizzazioni della tradizione di Nichiren, presenti in Italia ma non legate alla Soka Gakkai, sono: la Nichiren-shū, che ha un proprio Tempio (Tempio Renkoji) a Cereseto; la Nipponzan Myohoji, che ha provveduto all'edificazione del più grande stūpa presente in Italia; la Honmon Butsuryu Shu, che conta un tempio principale (Kofuji) a Firenze e diverse comunità sul territorio, già afferente alla Japan Buddhist Federation[11] come scuola secolare della tradizione Nichiren e che nel 2014 è entrata a far parte dell'U.B.I.[12]

Il buddismo cinese a Roma

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La "Chinatown" di Roma è il quartiere Esquilino, dove sorge anche il Tempio Buddhista Cinese Putuoshan dell'Esquilino, chiamato Putuoshan perché i fondatori provengono appunto dall'isola di Putuo. Il tempio è frequentato dalla Comunità cinese di Roma e gli altri fedeli. Però, il tempio Hua Yi Si, che è della stessa comunità del tempio Putuoshan, è quello dove vanno più spesso i buddhisti di Roma. Questo è anche il tempio più grande d'Europa, e si organizzano lezioni di meditazione.

Galleria d'immagini

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  1. ^ Il Buddhismo in Italia - La ricerca 2024, su unionebuddhistaitaliana.it, Unione Buddhista Italiana. URL consultato il 2 ottobre 2024.
  2. ^ a b Introduzione al buddhismo, su Le religioni in Italia, CESNUR. URL consultato il 29 marzo 2021.
  3. ^ Obadia Lionel, Il buddhismo in occidente, Bologna, Il Mulino, 2009. ISBN 88-15128-66-2, pag. 128.
  4. ^ Unione Buddhista Italiana, su Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione, Ministero dell'interno. URL consultato il 2 ottobre 2024.
  5. ^ Lionel Obadia. Il buddhismo in Occidente Bologna, Il Mulino, 2009, pag. 128
  6. ^ La Soka Gakkai, | Le Religioni in Italia, su cesnur.com. URL consultato il 12 novembre 2023.
  7. ^ a b Graham Harvey, Rituals in new religions, in Olav Hammer e Mikael Rothstein (a cura di), The Cambridge Companion to New Religious Movements, New York, Cambridge University Press, 2012, pp. 102-103, ISBN 978-0-521-19650-5.
  8. ^ Testimonianze - Buddismo nell'antica Roma?, su superzeko.net. URL consultato il 29 marzo 2021.
  9. ^ Articolo su Il Giornale
  10. ^ Lionel Obadia. Op. cit. pag. 128
  11. ^ Japan Buddhist Federation, su jbf.ne.jp (archiviato dall'url originale il 12 maggio 2015).
  12. ^ Honmon Butsuryu Shu tra i centri interbuddhisti dell'U.B.I, su buddhismo.it (archiviato dall'url originale il 3 luglio 2015).

Voci correlate

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