Massimo Severo Giannini
Massimo Severo Giannini | |
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Ministro per l'organizzazione della pubblica amministrazione e per le Regioni | |
Durata mandato | 4 agosto 1979 – 28 settembre 1980 |
Capo del governo | Francesco Cossiga |
Predecessore | Giovanni Del Rio (Sottosegretario con delega per i Problemi della pubblica amministrazione) Tommaso Morlino (Ministro del bilancio e per le Regioni) |
Successore | Clelio Darida |
Dati generali | |
Partito politico | PSI (1945-1992) SìR (1992-1993) |
Università | Università degli Studi di Roma "La Sapienza" |
Professione | Docente universitario, avvocato |
Massimo Severo Giannini (Roma, 8 marzo 1915 – Roma, 24 gennaio 2000) è stato un giurista e politico italiano, Ministro per l'organizzazione della pubblica amministrazione e per le Regioni nel Governo Cossiga I e II dal 4 agosto 1979 al 28 settembre 1980.
Era figlio del giurista Amedeo Giannini.
Biografia
[modifica | modifica wikitesto]L'impegno nella Resistenza
[modifica | modifica wikitesto]Durante l'occupazione tedesca di Roma Giannini, di fede socialista, operò nelle Brigate Matteotti, agli ordini del collega giurista Giuliano Vassalli.
Il 24 gennaio 1944 partecipò all'azione di un gruppo di partigiani socialisti che permise la fuga di Sandro Pertini e Giuseppe Saragat, assieme ad altri cinque patrioti socialisti, dal carcere di Regina Coeli. L'azione, dai connotati rocamboleschi, fu ideata e diretta da Giuliano Vassalli, con l'aiuto di diversi partigiani delle Brigate Matteotti, tra cui, oltre a Giannini, Giuseppe Gracceva, Filippo Lupis, Ugo Gala, Alfredo Monaco, medico del carcere, e sua moglie Marcella Ficca Monaco[1][2]. Si riuscì così prima a far passare Saragat e Pertini dal "braccio" tedesco del carcere a quello italiano e quindi a produrre degli ordini di scarcerazione falsi, redatti dallo stesso Vassalli. I due leader del PSIUP furono dunque scarcerati insieme agli altri esponenti socialisti Luigi Andreoni, Luigi Allori, Carlo Bracco, Ulisse Ducci, Torquato Lunedei. Pertini stesso narrò in seguito questi fatti nelle sue memorie[3] e in un'intervista concessa ad Oriana Fallaci nel 1973[4]. Quest'audace azione partigiana salvò probabilmente la vita dei due futuri Presidenti della Repubblica che, se ancora incarcerati a Regina Coeli, sarebbero stati sicuramente inseriti nell'elenco dei detenuti politici da uccidere alle Fosse Ardeatine.
Carriera accademica
[modifica | modifica wikitesto]Allievo di Santi Romano e Guido Zanobini, diventa professore ordinario di diritto amministrativo a 24 anni, nel 1939. Ha insegnato nelle università di Sassari, Perugia, Pisa e università di Roma La Sapienza. Fu anche avvocato.
Fu direttore della Rivista trimestrale di diritto pubblico ed autore di centinaia di pubblicazioni in materia di diritto costituzionale, amministrativo ed economico.
Movendo dalla teoria istituzionalistica di Santi Romano, fu il primo sostenitore dello studio del diritto pubblico fondato su un approccio interdisciplinare e realistico, osservando come lo studio di un sistema giuridico non potesse limitarsi allo studio delle norme che lo componevano, dovendo abbracciare anche l'economia, la sociologia, la scienza politica etc.
È stato membro dell'Accademia dei Lincei e vice presidente del Consiglio superiore dei Beni Culturali.
Nel 1984 viene istituita una Commissione - da lui presieduta - per dare attuazione all’indirizzo programmatico di governo circa la “messa a fuoco di definiti diritti del cittadino nei rapporti con l’amministrazione per porre fine alle imperscrutabilità, alle immotivate lentezze, ai superati autoritarismi dei comportamenti amministrativi”. La Commissione ha il compito di formulare proposte per la revisione della disciplina dei procedimenti amministrativi allo scopo di promuovere la democratizzazione e la semplificazione amministrativa. Sarà grazie a questa Commissione, da lui tanto voluta, che saranno poste le fondamenta della famosa legge sul procedimento amministrativo e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni, che rivoluzionerà per sempre i rapporti tra cittadino e pubblici poteri (legge 7 agosto 1990, n. 241).
Nel 1988 è stato insignito del premio Aldo Sandulli. Nel 1990 l'Accademia dei Lincei gli ha conferito il Premio Feltrinelli per le Scienze Giuridiche.[5]
Professore emerito dal 1990, è morto nel 2000 a seguito di una crisi cardiaca.
Carriera politica
[modifica | modifica wikitesto]Fu capo di gabinetto del ministro per la Costituente Pietro Nenni dal 12 agosto 1945 al 2 agosto 1946.[6] Dal luglio 1946 ai primi mesi del 1948 è capo dell'ufficio legislativo del ministero dell'Industria, nominato da Rodolfo Morandi. Iscritto al Partito Socialista Italiano, se ne allontana nel 1953. Rientrerà nel Psi qualche anno più tardi, e fino al 1991 farà anche parte dell'Assemblea nazionale del PSI istituita da Bettino Craxi nel 1984.[7]
Giannini ha fatto parte di numerose commissioni ministeriali, in particolare la commissione creata dal ministro dell'Industria e commercio Emilio Colombo e presieduta da Francesco Santoro Passarelli per la riforma del diritto societario (1959), e le commissioni istituite tra il 1962 e il 1966 dai successivi ministri dei Lavori pubblici Fiorentino Sullo, Giovanni Pieraccini e Giacomo Mancini per l'elaborazione di una riforma della legge urbanistica. Nel 1976 presiede la commissione ministeriale che redigerà i decreti del Presidente della Repubblica che trasferiscono le funzioni alle Regioni.[8] Come tecnico di area socialista è ministro per la Funzione pubblica nel governo Cossiga I (4 aprile 1979 - 4 agosto 1980) e nel Cossiga II (4 agosto 1980 - 18 ottobre 1980).
Durante questo periodo dà alle stampe un rapporto per la riforma della pubblica amministrazione in Italia, dando luogo a quello che è stato definito[9] il suo terzo periodo di esperienza da riformatore, in cui "riuscì da un lato a far acquisire consapevolezza della grande importanza politica dell'amministrazione e della necessità della sua riforma; dall'altra impostò il problema della riforma come problema economico (di maggiore efficienza dei servizi amministrativi), con le conseguenti necessità di razionalizzazione e di diminuzione dei costi"[9]. Ciò lo indusse - al di là della riproposizione di alcune posizioni che aveva avanzato in gioventù[10] - a riprendere l'assunto secondo cui "la prima parte della Costituzione è opera monumentale, degna di figurare accanto alle più grandi Costituzioni esistenti. La seconda parte è un obbrobrio"[11].
«Lo Stato repubblicano è ancora un edificio in costruzione: per alcune parti anzi malfatto; per altre perfino somigliante ad un bel rudere, come quello di un palazzo imperiale del Palatino»
All'inizio degli anni '90 si schiera a favore di un sistema elettorale maggioritario, aderendo al comitato promotore presieduto da Mario Segni. Fonda il CORID (Comitato per la Riforma Democratica)[12] che promuove i quesiti referendari per l'abolizione del Ministero delle Partecipazioni Statali, la riforma dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno, il sistema delle nomine bancarie, e aderısce al referendum sul finanziamento pubblico dei partiti promosso dai radicali (i referendum si tennero tutti insieme il 18 aprile 1993).
In disaccordo con Mario Segni, fonda la lista Sì Referendum, con l'obiettivo di difendere in Parlamento le riforme referendarie. Vi aderiscono, tra gli altri, Ernesto Galli della Loggia, Federico Zeri, Nicola Matteucci, Franco Archibugi e Marcello Pera. Alle elezioni politiche del 5 aprile 1992 la lista avrà pochissimi voti e non riuscirà a conquistare alcun seggio.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Cfr. Giuliano Vassalli e Massimo Severo Giannini, Quando liberammo Pertini e Saragat dal carcere nazista Archiviato il 17 agosto 2016 in Internet Archive., in Patria Indipendente, pubblicazione ANPI
- ^ Davide Conti (a cura di), Le brigate Matteotti a Roma e nel Lazio, Roma, Edizioni Odradek, 2006, ISBN 88-86973-75-6. - Vedi anche Recensione dell'ANPI[collegamento interrotto]
- ^ « […] Si decide di sottrarre alla minaccia capitale Pertini, Saragat e altri cinque detenuti che sono nel braccio tedesco di Regina Coeli, sempre restando a disposizione della giustizia italiana. Gli autori del "colpo" partigiano sono Vassalli, Giannini, Lupis, Gracceva, Maiorca, Alfredo e Marcella Monaco. I primi due, entrambi professori universitari malgrado l’età giovanissima, sono stati fino all’8 settembre ufficiali al Tribunale militare di Roma. Essi non hanno abbandonato gli uffici senza provvedersi di moduli e timbri di scarcerazione. Collabora nell’azione Filippo Lupis, un giovane avvocato che, per la sua professione, può circolare senza troppa difficoltà a Regina Coeli. Gracceva, comandante partigiano, è alla testa, insieme con Vassalli, di un’organizzazione militare sorta dopo l’8 settembre. Maiorca, militante socialista, è tenente presso l’ufficio di polizia della PAI dove, per legge, i detenuti scarcerati debbono passare per un controllo dei documenti. Alfredo Monaco è medico a Regina Coeli e, come tale, ha sotto l’occhio ogni movimento del carcere. Marcella Monaco, infine, moglie del dottore, è addetta al luogo segreto dove i detenuti saranno portati se il colpo riesce. I soli a sapere del complotto sono Pertini e Saragat. È toccato al primo comunicare al compagno che, per loro, le cose si sono messe male, e che la condanna a morte è data come sicura […] Arriva il falso ordine di scarcerazione perfettamente strutturato, in ogni elemento burocratico, e i detenuti sono invitati dai funzionari tedeschi a preparare la loro roba per lasciare Regina Coeli. Andreoni, Bracco e gli altri perdono un po’ di tempo nei preparativi di partenza ed ecco Pertini fulminarli con lo sguardo, non potendoli avvertire con le parole […] Finalmente i detenuti sono pronti, vengono regolarmente dimessi da Regina Coeli. Il gran colpo è andato a segno… Per quattro giorni il silenzio sulla clamorosa evasione è completo; poi, improvvisamente, esso è rotto dalla "Voce dell’Italia" della BBC britannica. Parlando da Londra nella sua rubrica "Al di qua e al di là del fronte" Paolo Treves dice testualmente: «Stasera la solita rubrica non avrà luogo perché il nostro animo è commosso per l’evasione da Regina Coeli di Sandro Pertini e di Giuseppe Saragat condannati a morte dal tribunale di guerra tedesco. I nostri due compagni hanno ripreso in Roma il loro posto di lotta». Ad ascoltare Radio Londra ci sono i tedeschi, che prendono appunti. Alla notizia balzano dalle loro postazioni d’ascolto e chiamano al telefono il direttore di Regina Coeli. La risposta è che i detenuti, forniti di regolari mandati di scarcerazione, autenticamente firmati e bollati, sono stati dimessi. Identica risposta dall’ufficio della PAI. I tedeschi minacciano di fucilare tutti. Iniziano le indagini: risalgono al Tribunale militare dove constatano che l’iter cospirativo è tutto formalmente autentico, tranne la firma sul mandato di scarcerazione.» in Vico Faggi (a cura di), Sandro Pertini: sei condanne, due evasioni, Mondadori, Milano, 1978.
- ^ Intervista di Oriana Fallaci a Pertini, pubblicata su L'Europeo, 27 dicembre 1973, riportata nel sito dedicato ad Oriana Fallaci.
- ^ Premi Feltrinelli 1950-2011, su lincei.it. URL consultato il 17 novembre 2019.
- ^ Governo Italiano - Il Governo Informa
- ^ Carniti E Gattai Tra I Nuovi Eletti Dell'Assemblea - Repubblica.It » Ricerca
- ^ GEOPOLITICA.info - Approfondimento sugli assetti geopolitici mondiali - sviluppo e globalizzazione Archiviato il 31 luglio 2012 in Archive.is.
- ^ a b Sabino Cassese, Il politico, il riformatore, lo studioso, in Mondoperaio, n. 11-12/2015, p. 31.
- ^ Cesare Pinelli, Lavare la testa all'asino, in Mondoperaio, n. 11-12/2015, p. 35: la sua proposta di autogoverno ruotava intorno alla regione vista come “organo dello Stato fornito di autogoverno, nel senso che i funzionari della regione avrebbero lo stato giuridico dei funzionari dello Stato, pur essendo elettivi. In altre parole si tratterebbe di trasportare da noi l'istituzione delle contee anglosassoni”. Più in generale, delle sue proposte "sono testimonianza la relazione che presentò al congresso fiorentino del partito socialista dell'aprile 1946, e la conseguente mozione, anche questa da lui redatta: due atti con cui si definiva la linea del partito" socialista all'Assemblea Costituente: Sabino Cassese, Il politico, il riformatore, lo studioso, in Mondoperaio, n. 11-12/2015, pp. 29-30, dove si prosegue ricordando che sia la relazione sia la mozione concludevano affermando che la forma di governo proposta non era né parlamentare, né presidenziale, né assembleare, ma “una nuova forma di governo, che muove interamente dal popolo (capo dello Stato – assemblea – governo – tribunale costituzionale), il quale è raccordato allo Stato dagli enti locali e dall'autogoverno, dai partiti e dagli organismi di autogoverno del campo dell'economia”.
- ^ M.S. GIANNINI, Intervento, in Il pensiero giuridico di Carlo Lavagna (1996), in Scritti, X, Giuffrè, 2008, p. 83, ove proseguiva motivando così: "... perché se diciamo che fonda la democrazia ciò è accaduto in quanto si è avuta, da tutti, un'interpretazione, un'applicazione che oggi ci fanno dire che in questa parte della Costituzione, bene o male, è delineato uno Stato democratico”.
- ^ Si veda pagina 8 di questo documento
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- S. Cassese, G. Carcaterra, M. D’Alberti, A. Bixio (a cura di), L'unità del diritto. M.S. Giannini e la teoria giuridica, Bologna, Il Mulino, 1994.
- Sabino Cassese, Giannini: l’uomo e il lascito scientifico, in “Rivista trimestrale di diritto pubblico”, 2000, n. 4, pp. 955–965.
- Sabino Cassese, Dalle “Carte Giannini” (a cura di S. Cassese), in collaborazione con B.G. Mattarella, in “Rivista trimestrale di diritto pubblico”, 2000, n. 4, pp. 1337–1376.
- Sabino Cassese, Massimo Severo Giannini, l’eretico, in “Nomos”, n. 1, 2014, pp. 49–54.
Altri progetti
[modifica | modifica wikitesto]- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Massimo Severo Giannini
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- Giannini, Massimo Severo, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- Dante Cosi, GIANNINI, Massimo Severo, in Enciclopedia Italiana, V Appendice, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1992.
- Sabino Cassese, GIANNINI, Massimo Severo, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2012.
- (EN) Opere di Massimo Severo Giannini, su Open Library, Internet Archive.
Controllo di autorità | VIAF (EN) 79090773 · ISNI (EN) 0000 0000 8158 8889 · SBN CFIV003426 · BAV 495/255479 · LCCN (EN) n82009990 · GND (DE) 11890065X · BNE (ES) XX932082 (data) · BNF (FR) cb123168402 (data) · J9U (EN, HE) 987007347363805171 · CONOR.SI (SL) 106526819 |
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